Due grandi eventi napoletani
Louise Bourgeois
e Robert Rauschenberg
Teatro e nuovi media
in Campania
di Alfonso Amendola, docente e vicepresidente “Centro Studi sulle Rappresentazioni Linguistiche” Università di Salerno
Teatro e nuovi media
in Campania
“Il sogno di Emily” una favola multimediale Sinfo Rock ispirata a Tim Burton
Verso un teatro trasformato dalla sperimentazione tecnologica. È questa la sfida che sempre di più caratterizza la scena contemporanea (con all’orizzonte i nomi centrali dei napoletani Falso Movimento, pionieri all’alba degli anni Ottanta di una radicale invenzione di una nuova spettacolarità). Oggi, con il marcato avanzamento delle tecnologie e dei flussi della comunicazione, ci troviamo in un denso percorso della contaminazione (quella ibridizzazione che di volta in volta è stata decifrata come “Teatro-immagine”, “Mediateatro”, “Media performativi”, “Teatro interattivo”, “Teatro ipermediale” e che noi oggi sinteticamente indichiamo come “Videoteatro digitale”). A riprova di questa decisa vitalità l’area campana si propone, ancora una volta, come vera fucina dal profondo respiro d’innovazione, con artisti che fondono assieme elettronica e corpo attoriale: da Mald’è a Max Coppeta, da Costabile Guariglia a Fakta/Soundbarrier, da Pier Paolo Patti a Makinef, dalla Piccola Officina di Teatro ad Andrea Saggiomo, da Eu.Ca. a Licio Esposito. Ulteriore avanzamento di quest’immaginario teatral-tecnologico è lo spettacolo diretto da Antonio Iavazzo “Il sogno di Emily” che, presentato in anteprima nazionale al Big Maxicinema di Marcianise lo scorso settembre, è ora in giro per l’Italia. Si tratta di un lavoro che con giocoso azzardo d’espressioni traduce in “favola multimediale Sinfo Rock” il film del 2005 firmato da Tim Burton: La sposa cadavere (film d’animazione a sua volta abile artificio di riuscite combinazioni tra 2D, 3D e l’arcaico passo uno).
Progetto di sicura ambizione, questo di Antonio Iavazzo, dove la centralità del teatro viene ricomposta da continue citazioni e pratiche cinematografiche, musicali, audiovisive. Un lavoro la cui preparazione è durata circa due anni e dove il cast (composto da una trentina d’attori) gioca nel flusso della contaminazione non solo nell’impianto tecnologico-espressivo, ma anche in quello citazionista e di generi (il musical, la favola, il cartone animato, il realismo narrativo). L’originalità di questa “favola” è costituita anche dall’impianto scenotecnico della rappresentazione (tre palchi in policarbonato trasparente larghi quasi 40 metri, sculture di taglio “vittoriano” di oltre 20 metri, diversi maxi schermi dove, come favolose luci in movimento, esplodono proiezioni interattive). Insomma una vera sintesi del nostro miglior presente post-moderno, neobarocco o post-storico, come dir si voglia. La scommessa, quindi, è di quelle belle ed importanti. Un’occasione per comprendere in che modo il gesto naturale del racconto teatrale possa reinventarsi e rinnovarsi attraverso il flusso delle neo-tecnologie. Un ulteriore sguardo in avanti verso la dimensione del “videoteatro digitale” che in Campania è produttivo dato di fatto. «I nuovi media non possono più essere considerati come elementi esterni alla scena teatrale, ma come elementi necessari alla nascita e allo sviluppo di nuovi linguaggi di rappresentazione e nuove prospettive estetiche» (come con rigore progettuale indica Matilde De Feo artifex dei Mald’è). Il videoteatro è una dimensione artistica che riesce a farci ritrovare con gusto d’innovazione stilistica quelle “necessità” dell’arte perfettamente indicate dal filosofo anarca Michel Onfray. Ovvero: l’atelier d’artista come mitica “fabbrica di sogni ed immagini” e la fondamentale “manifattura per le forme” dove poter con lucidità e vigore essere visionari e raccontarlo fino in fondo il mondo e le sue possibilità. |