IL PAESE E IL RISCHIO DI UNA «LOTTA DI TASSE»
IL MANIFESTO DEL CONTRIBUENTE
IL MANIFESTO DEL CONTRIBUENTE»
MAURIZIO VILLANI
Avvocato Tributarista in Lecce Patrocinante in Cassazione
avvocato@studiotributariovillani.it
La modifica varata dal D.L. 27 giugno 2012, n. 87 – recante "misure urgenti in materia di efficientamento(!), valorizzazione e dismissione del patrimonio pubblico, di razionalizzazione dell'amministrazione economico – finanziaria, nonché misure di rafforzamento del patrimonio delle imprese del settore bancario" – prevede, all'art. 4, comma 6, che: «a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la direzione della giustizia tributaria e la direzione comunicazione istituzionale della fiscalità sono trasferite, con il relativo assetto organizzativo e gli attuali titolari, al dipartimento dell'amministrazione generale del personale e dei servizi. La direzione comunicazione istituzionale della fiscalità assume la denominazione di direzione comunicazione istituzionale e svolge propri compiti con riferimento a tutti i compiti istituzionali del Ministero. Il dipartimento delle finanze, direzione legislazione tributaria, esercita le competenze in materia di normativa, monitoraggio e analisi del contenzioso tributario; il predetto dipartimento continua inoltre ad esercitare le competenze in materia di coordinamento della comunicazione relativa alle entrate tributarie e alla normativa fiscale». Stando al tenore della norma, tutto il personale amministrativo delle commissioni tributarie provinciali e regionali passerà dal Dipartimento delle finanze al "Dag" – Dipartimento amministrazione generale del ministero dell'economia – , una struttura che non ha niente in comune con la Direzione di giustizia tributaria, in cui i funzionari hanno costruito la storia degli uffici, incentrando in modo univoco le proprie competenze da monomandatari della giustizia tributaria. L'evidente intento di sminuire l'importanza della giustizia tributaria contribuisce inevitabilmente ad un declassamento improvviso: ogni mansione sarà filtrata dal Ministero dell'Economia, con la sola e unica conseguenza di destrutturare, organicamente e proceduralmente, ogni significato ad una categoria, come quella tributaria, che svolge un ruolo fondamentale nella lotta all'evasione. Questa è l'esatta dimostrazione del fatto che, sia da un punto di vista organizzativo, che da un punto di vista gestionale, il MEF intende sminuire il valore e l'importanza della giustizia tributaria, affinché il processo di ridimensionamento delle commissioni tributarie sia predisposto e asservito sempre più al MEF stesso. Ricordiamo che il MEF è parte attiva del processo tributario; viene da sé, così, la palese violazione dei principi di terzietà e di imparzialità, garantiti dalla Costituzione e puntualmente violati dal "contraente più forte". Non è dato sapere quale connotazione giuridica, oltre che costituzionale, possa appartenere, in re ipsa, ad una "riorganizzazione" di questo genere, ma sarebbe auspicabile che la giustizia tributaria fosse gestita da un organo terzo, imparziale, estraneo ai fatti di causa, oltre che giusto, quale la Presidenza del Consiglio dei Ministri o il Ministero della Giustizia. Infatti, ai sensi dell'art. 111 della Costituzione, il Giudice, per essere terzo e imparziale deve anche "apparire tale", cioè non dipendere gerarchicamente da una delle parti in causa, com'è nell'attuale normativa. Alla luce di quanto esposto e documentato, anche in vista della prossima riforma fiscale, risulta assolutamente necessaria una riforma del processo tributario nel rispetto dell'art. 24 e111 della Costituzione. Il contribuente deve essere posto sullo stesso piano processuale del fisco, al fine di poter verificare le condizioni costituzionali degli articoli citati; deve poter esercitare tutti i poteri istruttori e difensivi, senza alcuna limitazione (tantomeno "legalizzata"). Legalizzare le restrizioni dei principi costituzionali a difesa dei contribuenti è la prima delle cause dell'evasione fiscale; i controlli e i poteri del fisco diventano sempre più pressanti, gli strumenti predisposti al fine di verificare le incongruenze normative fiscali aumentano sempre più, e in tale ottica è opportuno ampliare anche gli strumenti di difesa dei contribuenti, e non cercare di limitare gli unici mezzi di difesa, attualmente a disposizione, in funzione di una caccia alle streghe senza fine e senza risultati. In definitiva, de iure condendo, dopo aver completamente abrogato gli istituti relativi all'accertamento esecutivo, al reclamo obbligatorio ed ai profili di inammissibilità del ricorso per Cassazione – come espressi nei paragrafi precedenti – il nuovo processo tributario si deve preoccupare di rispettare i seguenti principi:
- il processo non deve essere più gestito dal MEF, che ricordiamo è parte processuale come il contribuente, ma deve essere gestito da un organo terzo e imparziale, come la Presidenza del Consiglio dei ministri o il Ministero della Giustizia;
- i giudici devono essere "a tempo pieno", professionali, specializzati nella materia tributaria e devono ricevere compensi dignitosi e congrui all'attività che svolgono, parificati a quelli dei giudici ordinari (ricordiamo che il MEF corrisponde ai giudici tributari la somma di euro 25,00 a sentenza depositata e nulla corrisponde per le ordinanze di sospensione – ad oggi, non è ancora stato corrisposto il compenso per il II semestre 2011!);
- questo provoca una palese e inequivocabile mortificazione per il delicato e importante ruolo svolto dai giudici tributari, circostanza di cui si dovrebbe assolutamente e immediatamente interromperne gli effetti;
- i conferimenti di incarichi ai giudici devono avvenire per concorso pubblico (in primo grado il giudice deve essere monocratico ed in secondo grado collegiale);
- non vi devono assolutamente essere limiti nella fase istruttoria della difesa, motivo per cui, in corrispondenza di quanto sancito dalla Costituzione, oltre che in pieno rispetto alle norme del codice di procedura civile applicabili al processo tributario, devono essere ammesse la testimonianza ed il giuramento;
- le ordinanze di sospensione devono potersi impugnare nel grado di appello, sia in caso di accoglimento che in caso di rigetto, corredate dalle opportune e congrue motivazioni;
- deve essere consentita, in appello, la sospensione della sentenza di primo grado;
- in appello, dev'essere consentita la conciliazione giudiziale, ovviamente, con una diversa gradazione delle sanzioni applicabili;
- le sentenze, ove non sospese, devono avere efficacia esecutiva immediata sia per quanto riguarda i rimborsi sia per le spese di giudizio; - ai giudici tributari deve essere concessa la facoltà di decidere secondo equità;
- tra gli atti impugnabili – ex art. 19 D.Lgs. 546/92 – deve essere inserito anche il diniego di autotutela, sia tacito che espresso;
- i giudici tributari devono poter decidere, sulla base delle loro valutazioni di merito, anche relativamente ai risarcimenti conseguenti ad atti illegittimamente notificati, purchè il contribuente ne dia opportuna e documentata prova.
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