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  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTOBRE 2011
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Un nuovo sistema di RELAZIONI industriali per aprire l'Italia agli investimenti stranieri

Bisin: «Abbiamo smarrito la via della CRESCITA»

Bianchi: «Non piÙ fuga, ma SPRECO di cervelli al Sud»



Bianchi: «Non piÙ fuga, ma SPRECO di cervelli al Sud»

Non solo disoccupati. Al Mezzogiorno cresce il numero di giovani che non studia, né lavora, né è in cerca di un'occupazione. La Svimez lancia l'allarme sulla bolla sociale potenzialmente esplosiva



di Raffaella Venerando

Luca Bianchi Vice Direttore Svimez


L' ultimo Rapporto Svimez presentato a Roma il 27 settembre scorso fotografa un Mezzogiorno ancora chino su se stesso, incapace di rialzare la testa. Più nello specifico, poi, in valori assoluti nel 2010 la regione più povera è stata la Campania con 16.372 euro di Pil pro capite. Cosa è accaduto?
Non solo i dati del Rapporto Svimez evidenziano che la Campania è la regione più povera di Italia, ma anche e soprattutto che il reddito pro capite è appena il 64% del livello nazionale, con un divario di sviluppo tra nord e sud del Paese quindi riaperto e vicino ai 40 punti. Dopo una fase di recupero altalenante prolungatasi fino al 2000, infatti, la Campania è rimasta ferma al palo non solo rispetto alle performance economiche registratesi al centro nord ma anche all'interno della macroregione meridionale, a sua volta fortemente indietro in relazione alle altre aree deboli dell'Europa. Quella campana pertanto è una crisi al quadrato, dovuta prima alle difficoltà del suo settore industriale nella riconversione dei settori tradizionali imposta dalla crisi globale, e poi successivamente ad alcune endemiche crisi istituzionali, di cui quella dei rifiuti è stata senz'altro la più imponente ed emblematica considerati i riverberi negativi avutisi sul turismo e l'agricoltura. A queste poi si sono via via aggiunte la crisi congiunturale e quella internazionale che hanno fatto in modo che la Campania perdesse sempre più terreno, con effetti devastanti sull'occupazione e sulla pericolosità dell'impatto sociale scatenato da questa crisi. Va detto però che non tutta la regione ha pagato in egual misura: in questo decennio orribile le aree più industrializzate di Napoli e Caserta hanno senz'altro sofferto di più, mentre meglio hanno tenuto le province di Salerno, Avellino e Benevento anche se rallentando il cuore economico della regione l'impatto sulla crescita economica complessiva è stato notevole.

Al Sud si concentra il 60% di perdita di posti di lavoro con un tasso di occupazione giovanile di 25 punti inferiore al Nord. Come la mettiamo con il 1 milione 800mila giovani che vive in Campania?
Uno degli effetti della crisi più devastanti per tutto il Sud, ma in particolare per la Campania, è per l'appunto l'abbassamento dei livelli di occupazione. I costi più elevati del difficile momento economico sono infatti scaricati inevitabilmente sulla componente giovanile. Ma quello che più dovrebbe preoccupare è l'esplosività potenziale di una tale situazione: non solo il tasso di occupazione giovanile al Mezzogiorno non raggiunge il 30%, ma se a questo si aggiunge una crescita rilevante di cosiddetti "Neet" ovvero giovani che non studiano né lavorano più i moltissimi che hanno addirittura smesso di cercare un'occupazione non rientrando quindi nella già ampia fascia di disoccupati tout court perché scoraggiati, è chiaro che siamo in presenza di uno spreco di risorse umane incredibili, risorse che presto usciranno dal silenzio. Finora la situazione è rimasta sotto controllo perché ha retto il sistema familiare che di questi giovani si è fatto carico, consentendo che non scoppiasse con violenza questa bolla di malcontento insopportabile, ma oggi che i consumi delle famiglie sono sempre più ridotti e la contrazione del risparmio sempre più forte, è ragionevole temere che la compensazione privata e familiare non sia più sufficiente e che presto verrà meno, con conseguenze tutt'altro che serene.

Lei spesso fa riferimento allo «spreco di cervelli, senza neppure più la valvola di sfogo delle migrazioni».
Negli ultimi anni noi della Svimez avevamo sottolineato la ripresa delle emigrazioni dal Mezzogiorno come uno degli effetti più vistosi della crisi. La Campania, poi, nello specifico aveva contribuito numericamente in modo determinante al nuovo esodo, con cifre quasi paragonabili a quelle degli anni '60. Oggi però anche il mercato del lavoro del Centro Nord è meno attrattivo e più precario e questo ha di fatto rallentato significativamente i flussi migratori dal Sud.
L'allarme di quest'anno è pertanto non la fuga dei cervelli, quanto lo spreco di questi. Al Mezzogiorno esiste una componente molto ampia di laureati che non fa più niente e se ne sta a casa. Lo spreco su cui vogliamo accendere i riflettori è quindi sì individuale ma soprattutto collettivo, se solo si considera il costo della collettività pubblico e privata sostenuto dalle famiglie che su questi giovani hanno investito, sperando in un'accelerazione dello sviluppo dell'area meridionale. È essenziale quindi, e non più rinviabile, introdurre di forti segnali di discontinuità con i modelli di sviluppo precedenti.

A questo proposito, che incidenza possono avere i fondi europei nel risolvere la crisi occupazionale al Sud?

Il problema numero uno non sono le risorse. Quello che più occorre oggi è un cambiamento di mentalità e delle regole che governano il mercato: per
questo la partita delle liberalizzazioni è e dovrebbe essere soprattutto una sfida del Sud per il Sud, ma di cui beneficerebbe tutto il Paese. Rompere meccanismi desueti e clientelari e accelerare i processi di riforma del Paese rappresentano un vincolo stringente al Sud. Certo, i soldi servono e non si possono ripetere gli errori commessi nell'ultimo decennio quando lo spreco è stato ingente per responsabilità congiunte della classe dirigente del centro e della periferia.
La Campania deve spendere quasi un miliardo di euro entro la fine dell'anno e per farlo occorre un impegno bipartisan, anche se il percorso tracciato dalla Regione concentrando le risorse in grandi progetti sembra quello corretto. È l'ultima chance da non perdere.

Passando alla manovra economica del Governo, anche qui i più esposti sono le fasce deboli: giovani e donne in testa che ne pagheranno più di altri, direttamente e indirettamente, in modo sproporzionato i costi…

La manovra è incompleta e, di rimando, iniqua proprio perché fa pagare un costo molto alto dell'esigenza di risanamento della cosa pubblica alle fasce più deboli. Alcune scelte hanno effetti territoriali evidenti. Mi spiego meglio: aver scelto di non intaccare le pensioni di anzianità per tre quarti concentrate nel centro nord mentre si è deciso di introdurre tagli consistenti agli enti locali, e quindi ai servizi alle famiglie e alle politiche per l'assistenza che sono dipendenti dalla domanda di questi servizi, concentrata specie nelle fasce più deboli presenti al Sud, equivale ad aver tutelato alcuni diritti acquisiti e non altri essenziali, come quello ad avere uguale qualità dei servizi su tutto il territorio nazionale. In altri termini, non solo nella manovra non c'è alcuna traccia di interventi a favore del Mezzogiorno, ma anzi.
A guardare bene cosa si è scelto di fare e come si è scelto di farlo significa nei fatti aver sfavorito il Sud del Paese. L'impatto rischia quindi di essere sempre più pesante al Sud.

Ma nella ripresa quando verrà aumenterà ancora il divario tra nord e sud del Paese?
A breve sì, anche se noi crediamo fortemente nelle capacità inespresse del Mezzogiorno. Si pensi all'energia, ad esempio. Se ci fosse un paino nazionale capace di mettere a frutto il potenziale di energie alternative del Mezzogiorno mi riferisco in particolare alla geotermia e al solare il Sud potrebbe contribuire in modo consistente al rilancio economico del Paese. Stesso dicasi per l'opzione del Mediterraneo che rimane una possibilità reale, o per il grande potenziale di capitale umano che esiste e può rendere se non lo sciupiamo del tutto nei prossimi anni. La convinzione è la stessa da tempo: se il Sud riesce a risalire la china, sarà l'Italia tutta a crescere.

Quanto è reale un rischio recessione bis per il nostro Paese?
A breve quello che si prospetta non è un domani facile. Il problema lo ripeto è la tenuta sociale del Mezzogiorno. Questo non vuol dire che si deve continuare ad alimentare un sistema di intermediazione politico burocratico al Mezzogiorno, anzi. Bisognerebbe invece snellire e molto, per creare un welfare più equo ed efficiente, ricreare le condizioni dello sviluppo e soprattutto favorire l'occupazione. Senza queste attenzioni, il futuro non soltanto del Mezzogiorno ma dell'intero Paese è di là da venire.
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