MEZZOGIORNO: la Svimez indica le "mosse" per il rilancio
L'INTERVISTA - Bianchi: «Non c'È futuro per il Mezzogiorno senza un'industria manifatturiera competitiva»
MEZZOGIORNO: la Svimez indica le "mosse" per il rilancio
«La denuncia di troppo torpore, e ancora troppa disattenzione nei confronti del Sud, non può cadere nel vuoto. Negli ultimi anni non è stata messa in cantiere alcuna proposta efficace per affrontare i tanti ritardi strutturali presenti nel Mezzogiorno»
di Raffaella Venerando
A fine luglio, come di consueto, è stato pubblicato il Rapporto sull'economia meridionale a cura della
Svimez, l'Associazione per lo sviluppo e l'industria nel Mezzogiorno. I dati - neanche a dirlo - fotografano un Sud in profondo rosso. Risultano cancellati con un colpo di spugna dieci anni di vita economica di questa parte di Italia.
I passi in avanti in questo decennio non erano stati molti, ma in ogni caso ora risultano vanificati del tutto. Come si legge nel Rapporto, al Sud il Prodotto interno lordo nel 2009 è calato del 4,5%, un valore molto più negativo del -1,5% del 2008 e di poco inferiore al dato del Centro-Nord (-5,2%).
A livello regionale, la Campania mostra performance decisamente basse, con un -5,4%, mentre la produzione industriale, per ben l'ottavo anno di fila, cresce meno del Centro-Nord. A pagare il prezzo più alto della crisi è l'industria, specie quella manifatturiera che fa registrare una diminuzione del valore aggiunto nel 2009 del 15,8%, mentre le produzioni hanno segnato un calo del 16,6%.
Teste di serie di questa classifica negativa sono soprattutto i settori minerali non metallurgici (-26,9%), i metalli (23,9%) e le macchine e i mezzi di trasporto (-20,5%). Di rimando, anche il tasso di occupazione al Sud è andato a picco: più della metà dei posti di lavoro persi nell'ultimo anno in Italia a causa della crisi economica si sono avuti nel Mezzogiorno. Il tasso di occupazione nella media del 2009 è sceso di quasi un punto percentuale rispetto all'anno precedente, passando da 58,7% a 57,5%. Come detto, su 380mila posti di lavoro andati in fumo in tutto il Paese, 186mila sono stati al Centro-Nord (-1,1%), mentre nel Mezzogiorno, sono rimaste senza occupazione 194mila persone (-3%). Dei circa 530mila posti di lavoro persi nell'ultimo anno e mezzo, 335mila sono al Sud.
La Campania, in questo gioco al massacro, ha pagato più di altre regioni meridionali le spese della crisi, come testimoniano le tante chiusure industriali eccellenti sparse su tutto il territorio regionale. Il -4,1% segnato in Campania equivale a 68.700 posti di lavoro in meno. Non stupisce, quindi, se tra il 1990 e il 2009 - come si legge nel Rapporto - «circa 2 milioni 385mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno», alla volta del Centro-Nord, alla ricerca di condizioni di vita e di lavoro più appaganti, meritocratiche, possibili. Nel 2009, 114mila persone si sono trasferite dal Sud al Nord, di cui ben 38mila in partenza dalla Campania. Quella che la Svimez fotografa è un'emigrazione molto differente da quella degli anni del boom economico italiano: a lasciare la propria regione, con la laurea in tasca, sono tanti, tantissimi giovani e moltissime donne che, a casa propria, non trovano posto. Sono giovani con un livello di studio medio-alto: il 75% ha meno di 45 anni e quasi il 50% svolge professioni di livello elevato.
Oltre il 26% è laureato. «L'unica forma di mobilità sociale al Sud - come ha commentato il vice direttore Svimez Luca Bianchi (vedi intervista a pagina 10) - rischia di diventare la mobilità tout court e questo è inaccettabile». Ma l'allarme lanciato dalla Svimez mette in luce soprattutto i riverberi che queste cifre negative già hanno sulle condizioni di vita dei cittadini del Sud. Uno su tre è, infatti, a rischio povertà a causa di redditi troppo bassi, tanto che il 14% delle famiglie vive - sarebbe meglio dire "sopravvive", con meno di 1.000 euro al mese. Secondo la Svimez, come ci spiega in maniera dettagliata e minuziosa sempre Luca Bianchi per risalire il fondo, è necessario «un grande progetto di sviluppo nazionale che vada oltre le dicotomie oppositive nord-sud. Come accadde nel dopoguerra, dobbiamo dimostrare che la crescita del Mezzogiorno è funzionale allo sviluppo dell'intero Paese».
Occorre promuovere una nuova politica industriale specifica per il Sud, con risorse adeguate, la cui punta di diamante dovrebbe essere costituita dalla fiscalità di vantaggio. Preziosi saranno anche, sempre secondo gli studiosi "specialisti" del Mezzogiorno, gli investimenti in ricerca e innovazione, quelli per la costituzione delle reti di impresa, per la valorizzazione delle filiere produttive e quelli di "ultima generazione", figli della green economy. Sono tutte strade praticabili, ma nessuna di queste è davvero percorribile se prima non si mette il Mezzogiorno in condizioni reali di interconnessione con il resto del Paese, ma anche con il resto del mondo. Condizione necessaria risulta quindi superare una volta per tutte il gap infrastrutturale che isola il Sud d'Italia, relegandolo nei fatti ai margini di qualsiasi progetto di sviluppo, o almeno di rilancio. La Svimez ha proposto pertanto «un progetto di infrastrutture di trasporti che, con un costo complessivo di circa 38 miliardi di euro, consentirebbe di rendere finalmente realtà le grandi direttrici stradali nord-sud». I numeri del Rapporto 2010 della Svimez non lasciano spazio all'interpretazione.
La denuncia di troppo torpore, e ancora troppa disattenzione nei confronti del Sud, non può cadere nel vuoto. Negli ultimi anni questa in sintesi l'accusa basata su cifre e dati concreti da parte della Svimez - non è stata messa in cantiere, né dibattuta alcuna proposta efficace per affrontare i tanti ritardi strutturali e per garantire condizioni minime di sicurezza nel Mezzogiorno.
Non è stata colta la necessità e l'urgenza, nello scacchiere della oramai mutata competizione globale, di un Meridione forte, sviluppato, agganciato al resto del Paese. Eppure, tanto si è parlato e ancora si parla, di un Sud che, per la sua strategica posizione geografica, al centro dei traffici del Mediterraneo, ha l'opportunità di giocare un ruolo di primissimo piano e che possiede, a cominciare proprio dalla regione Campania, un tessuto industriale vivo, reattivo, che ha mostrato in questa crisi di avere i numeri per competere. La Svimez recupera - nella parte conclusiva del Rapporto riservata alle proposte per il rilancio del Mezzogiorno - un concetto importante e lungimirante: il Sud come frontiera. Sia ben chiaro, una frontiera che si apra, che rappresenti il futuro, non la somma dei problemi del passato.
Solo se il Paese è unito e omogeneo nelle sue reali possibilità di crescita, l'Italia tutta può recuperare la capacità di competere e di attrarre investimenti. Sta qui il senso di una politica industriale specifica per il Mezzogiorno. Non aiuti speciali, ma azioni necessarie al riequilibrio territoriale che, se accompagnate dal coraggio di scegliere, di decidere, di assumersi responsabilità, delle classi dirigenti regionali e nazionali possono imprimere - finalmente - quel colpo d'ala necessario perché il brutto anatroccolo "Mezzogiorno" sia considerato cigno e possa spiccare il suo volo verso l'alto. |