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  Dicembre 2012

Articoli n° 07
AGOSTO/SETTEMBRE 2010
 
UNIONE Industriali DI napoli - Home Page
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LETTIERI: «Mettiamo i giovani in condizione di rilanciare Napoli»

La relazione del Presidente all'Assemblea Pubblica dell'Associazione svoltasi il 30 giugno all'Accademia Aeronautica di Pozzuoli

Foto di Cesare Purini



Di seguito pubblichiamo la versione integrale della relazione del Presidente dell'Unione Industriali di Napoli,
Giovanni Lettieri, all'Assemblea Pubblica di mercoledì 30 giugno 2010.


I 150 ANNI, LA CRISI ODIERNA, I GIOVANI
Questa Assemblea coincide con l'inizio delle celebrazioni per l'Unità d'Italia, e ciò mi spinge a fare qualche rapida riflessione sul problema storico del rapporto tra Nord e Sud. Spesso, in questi centocinquant'anni, gli italiani - meridionali o settentrionali, senza troppe distinzioni - si sono gettati con entusiasmo nell'impresa di costruire una comunità politica, sociale e culturale che fosse moderna e partecipata. Fu così nei primi decenni postunitari, con la scoperta del liberalismo costituzionale, con il grande sforzo di unificazione legislativa e amministrativa del paese, con la costruzione di ferrovie che per la prima volta avvicinavano il Mezzogiorno alle aree centro-settentrionali. Fu così nel primo Novecento, quando le strategie nittiane cercarono di dotare il Sud di grandi industrie, quando la Svimez di Saraceno e Cenzato elaborò un meridionalismo produttivo di alto profilo, quando la prima Cassa disseminò il nostro territorio rurale di moderne dotazioni civili. E soprattutto quando il boom economico riuscì a cambiare il volto del paese, dotandolo di un apparato industriale tecnologicamente avanzato e capace di competere con le maggiori economie del tempo.
Il 4 ottobre 1964, inaugurando l'Autostrada del Sole, Aldo Moro disse con orgoglio: «Quella italiana è una società viva, che si colloca tra le nazioni più moderne del mondo». Aveva ragione. In appena otto anni erano stati aperti 755 chilometri di viadotti temerari, gallerie ciclopiche, ingegneria da record mondiale. La nostra penisola era diventata decisamente più corta. Oggi, non è più così. Nel pieno di una crisi economica internazionale che sta mettendo a dura prova particolarmente il Mezzogiorno, quella storia appare lontana. Quasi che mancasse al paese la capacità di mobilitarsi come comunità nazionale, l'idea di un cammino condiviso, una coesione territoriale.
Le stesse divisioni politiche, che da anni investono con virulenza l'opinione pubblica, sembrano sbiadire di fronte all'acutizzarsi della frattura - culturale, oltre che strutturale - tra nord e sud.
Ma il Mezzogiorno e l'Italia sono legati a doppio filo. Prima della crisi, il Nord competeva stabilmente con le regioni europee più ricche: l'Île-de-France, l'ex-area del marco, il distretto di Londra. Al tempo stesso, il PIL dell'intero paese - compreso cioè il Mezzogiorno - restava e resta all'ultimo posto tra i principali stati continentali. Ciò significa due cose: la prima è che tocca a noi meridionali fare meglio e farlo subito. Ma la seconda è che - proprio per il suo ritardo - il Mezzogiorno si presenta oggi come l'unica macroregione che può determinare un salto nella crescita del paese.
Detto in altre parole: o ci si rassegna ad una sorta di secessione soft, lasciando al Mezzogiorno il ruolo di fanalino di coda dell'Unione, oppure è su di esso che occorre far leva, se non vogliamo che sia l'Italia tutta a diventare il Sud arretrato dell'Europa. Questione meridionale e questione settentrionale quindi sono intrecciate in modo indissolubile. Il Nord non può rinunciare ad un secolo e mezzo di stato nazionale, inseguendo le sirene separatiste. Il Sud non può rassegnarsi alla marginalizzazione e all'oblìo.
Molto dipende da noi. Tanto dipende dal ceto politico. Esiste un differenziale Nord-Sud che è responsabilità diretta della mano pubblica e i cui costi si scaricano interamente sul mercato. Se è vero che la qualità della vita e la competitività del Mezzogiorno dipendono in larga misura dal basso livello dei servizi pubblici - istruzione, giustizia, sanità, sicurezza allora bisogna dire con chiarezza che, su questo piano, gli imprenditori possono ben poco.
È necessario normalizzare - oggi, al più presto - un territorio afflitto da enormi diseconomie, debolezza dello stato, pervasività politica, pratiche illegali. Sarà così possibile recuperare l'autorevolezza necessaria per rivendicare la giusta attenzione da parte del governo nazionale e del paese intero. Dovremo, al tempo stesso, guardare al futuro, ovvero a coloro che ne hanno le chiavi: i giovani. "Vista dai vecchi, la vita è un passato molto breve; vista dai giovani, un avvenire infinitamente lungo", diceva Schopenhauer. Quello di cui abbiamo bisogno - più di ogni altra cosa - sono le energie dei giovani, le loro idee, la loro naturale creatività, la loro tensione ad apprendere, lottare, costruire. Ai giovani dev'essere dedicato il nostro impegno principale, perché sono la vera ricchezza di questo territorio e sono, al tempo stesso, coloro che pagano il prezzo più alto dei nostri errori. Ad essi bisogna trasmettere la passione di fare impresa, contrastando l'ideologia del posto fisso e della raccomandazione. Ad essi bisogna offrire un ambiente dinamico, opportunità, spazi di iniziativa. Altrimenti - come già accade - assisteremo a una nuova emigrazione di massa: e questa volta - rispetto al grande esodo del dopoguerra - non con la valigia di cartone, ma con una laurea in dote. Nell'ultimo decennio, 250.000 neo-diplomati e neo-laureati hanno abbandonato il Mezzogiorno. Una drammatica emorragia di cervelli. Questo significa, considerando i costi diretti e indiretti della loro formazione, che oltre 65 miliardi di euro investiti dal Sud stanno producendo ricchezza altrove. Il problema non è che i nostri ragazzi vivano esperienze professionali lontano da casa: questo, anzi, è un fatto positivo. Il problema è che non se ne vadano perché costretti da un ambiente che mortifica i loro meriti e le loro ambizioni. Dobbiamo fare il possibile perché questa diventi, agli occhi delle nuove generazioni, una terra di opportunità.

LA REGIONE, GLI ENTI LOCALI E L'ASSOCIAZIONE

Alle Regioni del Sud serve riconquistare credibilità, alla Campania tocca svolgere un ruolo guida nel Mezzogiorno. Da qualche settimana è al lavoro una nuova Giunta regionale. Al Presidente Caldoro vanno i nostri migliori auguri. La Campania è prima per indice di povertà, ultima per PIL pro-capite. I suoi comparti produttivi soffrono di gravi strozzature. Il tasso di disoccupazione è elevatissimo: nel 2008 hanno lavorato 4,7 persone su 10 e 2,6 donne su 10. Servono scelte politiche coraggiose. Serve liberarsi dal macigno dell'inefficienza amministrativa e dell'intermediazione politica. Non è più tollerabile che - per la cattiva gestione dei conti pubblici - i cittadini della Campania paghino sovratasse regionali e comunali tra le più alte d'Italia e che il sistema imprenditoriale sia vessato da una addizionale Irap, la quale si configura come una paradossale fiscalità di svantaggio. È significativo che la perdita di posti di lavoro legata all'attuale crisi risulti maggiore laddove vige l'addizionale Irap. In sostanza si scaricano i costi dell'inefficienza della P.A. su chi produce sviluppo e occupazione. È necessario ripensare alla radice quel patto fiscale, che storicamente costituisce il principale elemento di legittimazione delle istituzioni pubbliche. Il contratto sociale che lega una popolazione ai suoi governanti. "Niente tasse, senza rappresentanza", gridavano infuriati i coloni americani agli inglesi, nel 1773. Ma in Campania le cose vanno ancora peggio. Qui, il rapporto tra il livello delle imposte e la qualità dei servizi sta diventando surreale: le imposte crescono, a misura che i servizi peggiorano. Dall'addizionale Irap alla Tarsu, imprese e famiglie hanno potuto sperimentare, negli ultimi anni, gli effetti fiscali di una spesa pubblica fuori controllo. È dunque prioritario rimettere in sesto il bilancio regionale. Risanando la voragine della sanità, smantellando i baracconi politico-clientelari, ridimensionando le società pubbliche che operano su terreni propri dell'iniziativa privata, bloccando la proliferazione di attività a scarso impatto economico e sociale. Sappiamo che la situazione è difficile e per questo, da subito, ci siamo resi disponibili ad una piena collaborazione con la Presidenza regionale. Risanamento dei conti e taglio dell'intermediazione politica sono un passaggio fondamentale. Ma non sono l'unica cosa da fare. Con altrettanta urgenza, Palazzo Santa Lucia deve mettere mano a politiche di sviluppo. Servono infrastrutture per l'industria e il turismo, bonifiche ambientali, riassetto dei servizi, coordinamento tra istituzioni, semplificazione amministrativa. È necessario avviare la riforma delle ASI, inaugurare la stagione dei Contratti di Rete, riaprire il capitolo dei Contratti di Programma. Il primo punto è il lavoro. In tempi brevi, la Regione, calcolando fondi Fesr e fondi nazionali, con un esborso veramente irrisorio, potrebbe approvare contratti di programma - nell'industria, nell'energia e nel turismo - per complessivi 820 ml di euro, con investimenti privati per circa 600 ml. L'incremento occupazionale supererebbe le 1500 unità. Bisogna farlo. Il momento è drammatico e i bilanci pubblici servono anche a questo. Ci aspettiamo che il Presidente Caldoro assuma iniziative coraggiose, dialogando con il governo centrale ma, al tempo stesso, mantenendo la propria autonomia strategica. Ci aspettiamo che difenda le ragioni produttivistiche e occupazionali della Campania di fronte al rischio di crocifiggerla ad un patto di stabilità che in realtà si chiama - non ce lo dimentichiamo "patto di stabilità e crescita". Alla Giunta regionale toccherà inoltre gestire l'ultimo ciclo di spesa delle risorse europee 2007-2013. Si tratta di un passaggio fondamentale. Sarebbe opportuno dar vita a una cabina di regia che monitorasse opere e tempi di attuazione e sanzionasse gli inadempienti. Voglio ricordare che da anni - ma finora inutilmente questa Associazione chiede un rigoroso cronoprogramma delle opere legate ai Fondi Europei. Con una efficiente amministrazione pubblica, anche il federalismo fiscale potrebbe diventare un'opportunità, consentendo alla Regione di programmare e contemperare risanamento dei conti e sviluppo economico. Ma bisognerà essere risoluti, capaci di generare ricchezza. Tutto questo si può fare!

NAPOLI, LA CRISI, LE POSSIBILI SOLUZIONI
Quanto alla Provincia, condividiamo le ricorrenti idee di una riforma che, nelle grandi città, sostituisca questo livello istituzionale con organi metropolitani dotati di ampi poteri. Ma non possiamo aspettare l'epilogo di un percorso riformatore che, come spesso accade nel paese, rischia di essere affossato dalla cronica incertezza della decisione politica. Per ora la Provincia esiste e, in questi mesi, è stata per noi un interlocutore proficuo. Anche con l'Amministrazione Comunale di Napoli il dialogo resta doverosamente aperto. Ma non possiamo ignorare che troppo tempo si è consumato, senza che venissero avviate a soluzione quelle che sembrano le partite fondamentali per il futuro della città. Hanno accumulato gravissimi ritardi le riconversioni di Bagnoli, di Napoli Est, del Centro Storico. Restano irrisolte questioni strategiche come la viabilità e i parcheggi, per i quali altrove - a Milano, per esempio - il regime commissariale ha prodotto grandi benefici. Sono troppi i progetti, poche le realizzazioni. Servono decisioni veloci, fatti concreti, apprezzati dalla gente. La città deve ritrovare una prospettiva, il senso del futuro. Napoli gode di un importante atout: la sua posizione strategica nel quadro dei rapporti euro-mediterranei. Questa opportunità andrà utilizzata al meglio, ridefinendo i fondi dell'Obiettivo Convergenza 2007-13 e indicando pochi macro-progetti che trasformino le potenzialità del territorio in sviluppo. Napoli deve farcela. Tutta la città deve farcela. Non è ammissibile che, in una grande metropoli europea, convivano - nell'arco di pochi chilometri quadrati - le ville di Posillipo e le Vele di Scampia, la meraviglia del Lungomare Caracciolo e il degrado dei "bassi". Un paio di secoli fa, Vincenzo Cuoco lamentava che «se si vuol comprendere la nazione napolitana bisogna capire che sono due, l'una guarda a Londra e Parigi e nemmeno s'accorge dell'altra, distante due secoli per età e due gradi per clima». Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti, ma resta il problema di superare le spaccature esistenti nel territorio materiale e culturale della città e di valorizzarne le risorse. Risorse giovani, voglio ripeterlo. Esistono quartieri, nella periferia napoletana, che hanno i più alti indici di natalità del paese: quartieri degradati, ma pieni di adolescenti. Dobbiamo sapere che si tratta di un tesoro impagabile.

NAPOLI, LE IMPRESE E LA MODERNITÀ
Su Napoli, terza città d'Italia, si gioca una partita decisiva mia regionale. E sarebbe l'antidoto migliore alla criminalità e alla corruzione.

LE IDEE DELL'ASSOCIAZIONE PER NAPOLI
L'anno scorso, alla nostra Assemblea, abbiamo proposto un dettagliato piano per il rilancio della città, indicando obiettivi, opportunità, cose vere da fare. Abbiamo detto che il Piano Regolatore di Napoli, se pur di recente approvazione, è vecchio, ingessa il territorio, non aiuta a riqualificarne il patrimonio urbano. La città ha bisogno di un Piano Strategico che non sia un semplice atto amministrativo, ma un manifesto condiviso di come vorremmo che fosse Napoli. - Un Water Front, che da Vigliena arriva ai Campi Flegrei e che, attrezzato e rifunzionalizzato, si presterebbe magnificamente alle attività legate al mare: cantieristica, diportistica privata, crocieristica, container. - Il Corpo di Napoli, ovvero un centro storico da dotare finalmente del "Piano di Gestione Unesco" e da valorizzare nelle sue enormi potenzialità. Un percorso di meraviglie architettoniche: da San Domenico Maggiore a Piazza dei Martiri, passando per via Toledo e il San Carlo. Come a Madrid, dove un'unica passeggiata artistica collega plaza Santa Ana, plaza Mayor e Puerta del Sol, fino al Palazzo Reale. - Napoli Ovest, come polo della cultura e del tempo libero: dalla Mostra d'Oltremare ai Campi Flegrei e al lago d'Averno. Ovvero balneazione, attività ricreative, strutture alberghiere, itinerari storici e ambientali. - Napoli Est: dalle attività di ICT al turismo archeologicoreligioso, dalle periferie di San Giovanni a Ercolano e Pompei. La città insomma ha bisogno di un nuovo racconto di se stessa, di un disegno del suo futuro. Con questo spirito, nei mesi scorsi, abbiamo avviato il dibattito su una "Legge Obiettivo per Napoli". Diciamo subito, a scanso di equivoci, che non si tratta di chiedere maggiori risorse economiche. Ci sono i fondi europei, i Programmi a Sportello di Bruxelles, le politiche comunitarie per il Mediterraneo, i fondi per le Aree Sottoutilizzate, i trasferimenti ordinari, la finanza locale. Né, di fronte a un grande patto per lo sviluppo, mancherebbero le risorse private. Un esempio è NaplEST. Vi è invece la necessità di una legge di natura ordinamentale che semplifichi le procedure amministrative, consenta per alcuni iter burocratici di agire in deroga alle norme vigenti, riconosca Napoli come un patrimonio nazionale da riqualificare. Abbiamo studiato le Leggi Obiettivo di cui già fruiscono Siena, Lecce, Venezia, Roma e l'analoga richiesta del Comune di Firenze. Anche per Napoli, questa sarebbe la scelta migliore. Dottor Letta, desidero ancora ringraziarLa per la Sua presenza tra noi, ma soprattutto per il grande equilibrio con cui svolge i Suoi delicati compiti all'interno dell'esecutivo. Le classi dirigenti e le istituzioni meridionali dovranno programmare e spendere bene i fondi comunitari, ispirandosi a criteri di qualità ed efficacia. Di fronte a tale impegno, però, chiediamo al governo di non destinare ad usi diversi le risorse Fas, indispensabili al Mezzogiorno per colmare il divario rispetto all'Unione a 27. Per altri versi, l'Esecutivo sembra avere accolto alcune nostre riflessioni. L'allegato alla manovra finanziaria contiene le "zone a burocrazia zero", che renderanno più facile fare impresa nel Mezzogiorno, e la cancellazione dell'IRAP per le nuove attività, che costituisce una prima risposta a una richiesta lungamente avanzata da Confindustria. È importante che queste misure trovino rapida attuazione e che sia possibile conoscere il più volte annunciato "Piano Sud": darebbe fiducia e certezze a territori che rappresentano più di un terzo del paese.

L'UNIONE: UN LABORATORIO APERTO ALLE ASPETTATIVE DELLA CITTÀ
In questi anni abbiamo cercato di tener fede all'obiettivo che ci eravamo prefissi all'inizio del mandato: estendere il ruolo dell'Associazione nel rapporto con le imprese e con il territorio. Quanto alle imprese, abbiamo strutturato nuovi servizi, definito accordi, proposto percorsi che favorissero l'insediamento di attività produttive. Abbiamo voluto dare un forte senso di vicinanza alle imprese. Abbiamo seguito attivamente le vicende della Fiat di Pomigliano, appoggiando con convinzione l'investimento proposto dall'azienda e battendoci affinché si giungesse ad un accordo con i sindacati. Al Giambattista Vico una svolta è, però, necessaria. In un quadro di competizione globale, che mette a rischio il sistema produttivo del paese, i fenomeni registrati sull'assenteismo e sulla produttività non sono più tollerabili. Da un lato è legittimo chiedere la salvaguardia dei livelli occupazionali e la tenuta dei salari dei lavoratori, dall'altra è senza dubbio necessario che, nello stabilimento, si riorganizzi la produzione, si efficienti il lavoro per far fronte alla aggressiva competizione mondiale. Questa vertenza ha posto davanti a tutti noi, concretamente, temi nuovi e stringenti: con la fine dei mercati protetti nazionali e degli aiuti di Stato, i nostri comparti produttivi, specie nell'auto, devono oggi presentarsi sui mercati globali liberi da vincoli impropri che, spesso, più che tutelare diritti, finiscono con il cristallizzare prassi di malcostume e privilegi. Abbiamo bisogno di nuove relazioni industriali e anche di una politica industriale di dimensione comunitaria. Probabilmente occorre un nuovo quadro normativo nazionale e sovranazionale che regolamenti il principio della rappresentanza degli interessi e dell'esigibilità degli impegni assunti. Abbiamo bisogno certamente di riaffermare il ruolo della contrattazione di secondo livello, di valorizzare il legame specifico che può determinarsi tra produttività, costo del lavoro, retribuzioni, tasso di occupazione. Adeguata attenzione abbiamo prestato a Finmeccanica, Fincantieri, Telecom, Atitech, nella consapevolezza che - tanto più in una congiuntura di crisi - il mantenimento dei livelli occupazionali è un punto centrale. Abbiamo dato vita - per la prima volta in Confindustria - a uno Sportello Equitalia Polis, che snellisse le procedure e riducesse i tempi di attesa degli imprenditori. Abbiamo ideato il progetto "Napoli innovativa", attraendo investimenti nell'area. Abbiamo avanzato per primi la richiesta dell'istituzione delle Zone Franche Urbane. Abbiamo proposto una moratoria delle rate dei mutui delle imprese, che poi è divenuta operativa a livello nazionale. Abbiamo aperto un tavolo di confronto con SACE, affinché si faccia garante di buoni obbligazionari pluriennali emessi dalle aziende che vantano crediti dalla P.A.: una misura che allenterebbe la pressione sulle Tesorerie delle istituzioni e che darebbe ossigeno alle imprese, in un momento nel quale le banche stentano ancora ad erogare credito. Di fondamentale importanza, nel nostro percorso, è stata l'interlocuzione con i Carabinieri, la Guardia di Finanza, il Questore, il Prefetto, il Procuratore Generale, la Magistratura Giudicante. Con i sindacati abbiamo collaborato, dialogato, vigilato sui punti di crisi, individuato percorsi, ognuno nel rispetto del proprio ruolo. Quanto al rapporto con il territorio, l'Associazione ha inteso esprimere una nuova cultura della responsabilità sociale dell'impresa. Mi limito a ricordare qui: - la seconda edizione del "Progetto Quadrifoglio", che prevede la formazione e l'assunzione nelle nostre aziende di 120 giovani provenienti dai quartieri a rischio e che ha avuto il supporto del Cardinale Sepe e del Sottosegretario Viespoli, che qui ringrazio di cuore; - la firma - insieme a Ministero dell'Interno, Prefettura, Magistratura e Forze dell'Ordine - di un accordo particolarmente innovativo sulla gestione delle aziende confiscate alla camorra, per la salvaguardia delle imprese e dei posti di lavoro; - il contributo al restauro del Teatro San Carlo; - l'apertura presso l'Unione di un desk Luiss; - la realizzazione e la distribuzione nelle scuole medie inferiori di un opuscolo a fumetti per trasmettere ai bambini la passione di fare impresa. Vogliamo contribuire alla costruzione di un'immagine di Napoli, che non sia quella della criminalità, del disordine e dell'inefficienza. Sul piano associativo, abbiamo offerto alle imprese servizi innovativi, aggregandole attorno a obiettivi comuni, facendo lobbying, producendo conoscenza e studi strategici. Abbiamo valorizzato l'Uniservizi, il Cosila, il Confidi, la Fondazione Mezzogiorno Tirrenico, il Centro Studi dell'Unione. Ospiteremo ad ottobre - grazie ai buoni uffici della nostra Presidente - un'importante manifestazione a chiusura delle celebrazioni del centenario di Confindustria, Orientagiovani, alla quale abbiamo invitato il Presidente della Repubblica. Inauguriamo oggi una Web Tv e ci stiamo dotando di un nuovo portale. Abbiamo ampliato in modo significativo il numero degli iscritti, accresciuti i ricavi, aumentato il patrimonio dell'Unione, ridotti i costi del 15%. Questa città è, per molti versi, un tesoro nascosto. Ricoperto da strati di pigrizie e furbizie, da una lunga storia di deterioramento architettonico e ambientale, da secoli di sovrappopolazione e povertà. Ma è pur sempre un tesoro. Un tesoro di natura e arte, che rende potenzialmente illimitata l'attrattività della baia di Napoli. Un tesoro di cultura e ricerca, che continua a produrre figure eccellenti di scienziati, letterati, artisti, cineasti. Un tesoro demografico, che riempie il centro storico e le periferie di ragazze e ragazzi. Non il Paradiso perduto, ma una ricchezza che va dissotterrata con tenacia, senso della realtà, fiducia. Napoli ha infinite risorse da portare in superficie. Ma gliene manca una: il tempo. Il tempo della città è andato troppo lentamente negli ultimi anni e sta esaurendo la propria carica, come uno di quegli orologi metafisici di Giorgio de Chirico, che sembrano indicare l'immobilità e non il ritmo. È questo il pericolo che avvertiamo nei comportamenti delle élites napoletane: che non si rendano conto che il tempo non è una variabile indipendente. Il ciclo del mercato e il ciclo della politica richiedono ambedue un forte senso del tempo. Tra fine Ottocento e inizio Novecento, il Risanamento rase al suolo e ricostruì tre quartieri cittadini nel giro di pochi anni. Nel 1939-40, l'intera Mostra d'Oltremare fu edificata in appena diciotto mesi. Progetti, ritmi, scadenze sono il segno di una sfida con il tempo che, a nessun costo, può essere lasciata cadere. Il nostro compito era e resta quello di dare la sveglia. A questi scenari ho ispirato la mia presidenza, cercando di aprire l'Unione al dibattito pubblico, convinto che la sua vecchia dimensione da "salotto buono delle imprese" non serva più, anzitutto alle imprese. Gli imprenditori non vivono in un mondo virtuale, ma risentono di tutto ciò che accade nel loro contesto: quel contesto incide direttamente sulla competitività delle aziende. Ecco perché, in questi anni, ho sollevato dibattiti pubblici anche aspri sulle prospettive della città, coinvolgendo non soltanto gli associati, ma fondazioni, università, volontariato, sindacati, media. Questo non significa "fare politica", quanto piuttosto curare nel modo migliore gli interessi di Napoli, delle nostre imprese e della nostra Associazione. Avverto - come Presidente, come cittadino, come genitore - una forte responsabilità generazionale: ognuno, nel suo ambito, deve battersi affinché la Napoli che consegneremo ai nostri figli sia profondamente diversa da com'è oggi. Sogno una Napoli moderna, dinamica, ambiziosa, accogliente e internazionale. Sono nato e cresciuto in questa città, ho vissuto in un quartiere popolare, conosco i valori di Napoli, della sua gente, le energie che qui si possono sprigionare. Con questo orgoglio e con queste certezze ho vissuto l'incarico di Presidente dell'Unione. Autorità, gentili ospiti, cari colleghi, cara Emma, questi valori hanno guidato il mio e il nostro lavoro in Unione, e oso credere che la nostra associazione sia oggi un interlocutore autorevole tanto per le istituzioni quanto per la società napoletana. Questa è la mia ultima Assemblea da Presidente. I sei anni trascorsi hanno rappresentato per me un'esperienza straordinaria e ricca di soddisfazioni, per quanto impegnativa e difficile. Forse si poteva fare di più e meglio. Certo il mio impegno è stato massimo. Ringrazio i Vice Presidenti che si sono alternati al mio fianco e tutti voi, tutte le imprese associate che non mi hanno mai fatto mancare il loro appoggio, la loro vicinanza, i loro stimoli. Ringrazio in modo particolare la Presidente Marcegaglia, per la Sua vicinanza alla nostra Associazione territoriale. Ringrazio la struttura dell'Unione Industriali per il gran lavoro che svolge quotidianamente. Ringrazio Voi tutti per l'attenzione che avete voluto prestarmi.

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