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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIO 2007
 


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Relazione programmatica di Agostino Gallozzi

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Un master innovativo per le imprese sportive

Lo smash vincente del Rotary a Salerno


Lo smash vincente del Rotary a Salerno
A settembre il prestigioso campionato mondiale
di tennis rotariano

di Salvatore BIAZZO
Giornalista Rai


Credo che il tennis sia rimasto l'unico sport nel quale due avversari, quale che sia stato lo sviluppo e l'esito della loro sfida, si stringono alla fine la mano. La rete che li ha separati, alla fine li unisce. Che mi ricordi mai, nessun giocatore, vincitore o vinto, si è sottratto a tale procedura, che da nessuna parte è scritta, ma da tutti è accettata e riconosciuta quale segno distintivo di una disciplina che fa emergere di un individuo la cultura prima della tecnica. Mi viene di pensare questo mentre da qualche parte vedo l'ennesima “testata mondiale” che percuote un petto; da un'altra un calciatore che abbandona il campo e dribbla, con una finta riuscita ma ignobile, la mano tesa del compagno di squadra chiamato a sostituirlo; e mentre vedo, infine, i funerali di un dirigente sportivo finito con pugni e calci su un campo di calcio, e di un poliziotto ucciso sul piazzale di uno stadio, con modalità da regolamento di conti di bande criminali.
Ciò non scrivo per santificare il tennis - ché i suoi problemi li ha - ma per capire in quale sperduta regione del mondo dello sport ancora prevalga un barlume di valore, e per convincerci se una tal disciplina sia idonea a trasmettere il principio rotariano di una Fellowship.
Dicono che già i romani giocassero a tennis. Nelle forme involute e primordiali di uno sport che molto si è affinato nei tempi, affidandosi, però, più alla tecnica che alla fantasia. La genialità di Rod Laver, l'estro mancino di John McEnroe, la bravura di un uomo senza sorrisi come Bjorn Borg, l'impertinenza di Jimmy Connors, la potenza di bum-bum Boris Becker trovano, oggi, sintesi sublime nelle strabilianti performance di Roger Federer o di Maria Sharapova, i quali esprimono il meglio al settimo livello, la forza e l'eleganza del gesto sportivo. Il tennis moderno si è sviluppato intorno nella seconda metà dell'Ottocento, e da allora è rimasto uno sport da club ma non di club. Il campanile non c'entra, non c'entra la nazione. La fazione, il tifo, si formano intorno al personaggio eletto a idolo, indipendentemente dal fatto che parli o meno la nostra lingua madre. I campioni sono, per così dire, trasversali, non “di parte”. Essendo bipartisan meglio interpretano un sentire non ristretto agli ambiti territoriali di appartenenza.
Il Rotary è come il tennis, rappresenta uno spirito globale; gira nello stesso verso e pur tuttavia in ogni direzione, è ancorato alla tradizione eppure guarda al futuro. Nel movimento c'è l'evoluzione, il progresso, lo sviluppo, il superamento di un dato per ricercarne un altro. Le “Fellowships” non sono una invenzione di oggi, e, per quanto anch'esse storicamente datate, sono un elemento sempre vitale, uno strumento valido - come spesso ha sottolineato il Past Governor del Distretto 2100 Vito Mancusi - per stabilire il principio del “servizio e distensione” e svilupparlo nelle forme migliori, in modo che i riflessi nella società siano forti e visibili.

Come tennista sono, per così dire, “in sonno”: per quanto mi riguarda, il “servizio” e il “divertimento” spesso sono, purtroppo, inconciliabili. Penso tuttavia che non sia pura esibizione un campionato del mondo di tennis riservato ai rotariani. Non è un modo, cioè, di mettersi in vetrina, ma è un modo corretto politicamente per replicare con una attitudine sportiva la filosofia che sta dentro il Rotary, renderla più chiara, intelligibile. In questo ha ragione pienamente Marco Marinaro, “Tour Director for Europe” dell'ITFR (International Tennis Fellowship of Rotarians), quando afferma che anche attraverso lo sport, ed uno sport così particolare come il tennis basato sulla bravura individuale e sulla correttezza collettiva, si può costruire un modello operativo nuovo per realizzare progetti e creare solidarietà. Certo, organizzare un torneo mondiale, secondo le modalità e le regole del “rito rotariano”, regole ferree come quelle dei frati trappisti, che incontrando i confratelli gli ricordano di “dover morire”, non è un lavoro semplice. Ma devo dire di aver sempre seguito con interesse, grazie soprattutto ai continui scambi di vedute con il collega e amico Pino Blasi, il Presidente del Rotary Club Salerno; è un Club che ha spalle forti, che ha sempre tenuto le finestre aperte sul mondo. Mi ha colpito il progetto Africa - sotto la presidenza di Antonio Bottiglieri - per la ristrutturazione del reparto tubercolosi dell'Ospedale di Lacor, vicino alla città di Gulu, in Uganda. Una bella cosa. Ed il Progetto Africa continua con nuove opportunità di sostegno e sarà finanziato con il ricavato del Campionato mondiale. Davvero una bella cosa. Il World Championship-Rotarians' Tennis Meeting 2007 (www.rotarytennis.org) è un altro prestigioso riconoscimento sul medagliere rotariano salernitano. Settembre non è lontano per chi ha oneri organizzativi e vive l'ansia delle cose da fare.
Il ritorno mediatico sarà straordinario, farà bene al Rotary e allo sport: nel momento in cui il calcio pare dominio della violenza occorre moltiplicare i termini di paragone, occorre accendere i riflettori sulle quelle discipline dimenticate, nelle quali vincitori e vinti ancora si stringono la mano.
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