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  Dicembre 2012

Articoli n° 06
LUGLIO 2007
 


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Relazione programmatica di Agostino Gallozzi

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Un bicchiere di vino fa buona salute

Le alterne fortune del nettare degli dei, dall’antica Roma ai giorni nostri

A cura dell’Associazione Italiana Dietetica e Nutrizione Clinica-ONLUS

In Italia la produzione ed il consumo di vino erano comuni per i Romani che diffusero la coltura della vite in gran parte delle province conquistate. Poiché non si conosceva lo zucchero, per dolcificare si usavano il miele e la “sapa”, cioè il mosto concentrato mediante prolungata ebollizione in recipienti di piombo. La sapa, ricca di piombo, era utilizzata come conservante per il vino: «bonum vinum laetificat cor hominum», dicevano i latini, ma era anche in grado di provocare coliche e gotta saturnina. L'arbiter bibendi stabiliva con quante parti di acqua si dovesse allungare prima di essere servito. Chi beveva il merum, cioè il vino puro, era considerato un autentico ubriacone. L'importanza che il vino aveva nell'economia di una città ancora nella metà dell'800 è testimoniata, ad esempio, dal fatto che nel 1854 dall'esame degli indotti delle gabelle del comune di Terni risulta che le tassazioni applicate al mondo vitivinicolo (gabelle della foglietta, della carreggiatura del vino) rappresentavano il 35% dell'intero incasso. Nella tradizione popolare al vino sono state attribuite proprietà socializzanti e salutistiche: dal neonato bagnato e lavato con il vino al vin brulè, nei casi di raffreddamento, per arrivare al vin di vipera, rimedio contro intossicazioni e veleni.
Le fortune del vino, pur tra alterne vicende, sono continuate fino ai giorni nostri, resistendo anche agli attacchi della cucina futurista. Le cronache del pranzo futurista di Novara, del 18 Aprile del 1931, fanno capire che il successo dell'aerovivanda fu legato ad un grignolino piuttosto galeotto.
Il calo del consumo medio di vino pro capite, per la popolazione adulta, si è avuto negli ultimi 30 anni; nel momento in cui si è apprezzata questa caduta di gradimento l'ipotesi esplicativa del cosiddetto “paradosso francese” ha invertito la tendenza. Da molti anni ci si domandava perché tra i francesi, grandi consumatori di carni rosse, formaggi e cibi grassi, l'incidenza delle malattie cardiovascolari fosse inferiore all'Inghilterra o agli Stati Uniti (rapporto 1 a 4) ed alcune ricerche hanno ipotizzato, prima timidamente e poi con forza, che il vino, in particolare quello rosso, fosse la causa positiva del paradosso. Lo stesso paradosso, in realtà, era presente in diverse regioni italiane. L'azione protettiva del vino rosso è legata a componenti antiossidanti e soprattutto al resveratrolo, presente nella buccia d'uva. La concentrazione dipende dalla zona di provenienza della vite, dai metodi di produzione e conservazione. Da una stessa uva si può ottenere vino novello o invecchiato in botte chiusa, questo ultimo avrà più resveratrolo poiché la sostanza è in grado di resistere anche anni senza subire degradazioni. Se dovessimo indicare quale vino è consigliabile consumare potremmo, in modo ovvio, rispondere quello di buona qualità, possibilmente - ma non necessariamente - rosso. Il tipo di vendemmia, anticipata o verde, propria dei vini qualitativamente superiori migliora il tasso di polifenoli e antocianine. Per quanto riguarda i quantitativi il consiglio è scontato: un bicchiere durante i pasti principali, stando attenti a non abusarne.

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