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  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTOBRE 2010
 
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La soluzione di una lite: come scegliere l'organismo di mediazione e il mediatore. Opportunità e limiti per le parti in contesa

L'imparzialità diventa il requisito fondamentale in virtù del quale effettuare una scelta ragionata e di "fiducia"

«Le differenze tra gli organismi, tutti vincolati a standard minimi ed a controlli del Ministero della Giustizia, potranno essere davvero notevoli»


«In particolare si deve rilevare che la scelta dell'organismo radicherà ipso facto anche il luogo nel quale si svolgerà la procedura in quanto lo stesso deve essere previsto dal regolamento»


«La terzietà del mediatore e la sua imparzialità ne connotano il ruolo e il legislatore affida all'organismo ed alle parti il delicato compito della scelta e della eventuale sostituzione, in una equilibrata sintesi tra esigenze di tutela ed esplicazione dell'autonomia privata»

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista - Mediatore
Professore a contratto di Metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione, Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università di Salerno www.studiolegalemarinaro.it

Il rapido avvicinarsi del 20 marzo 2011, data a decorrere dalla quale molte delle liti civili e commerciali dovranno obbligatoriamente confrontarsi con la nuova "mediazione" disciplinata dal D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, ha condotto ad una repentina e forzata diffusione di strumenti e tecniche sostanzialmente sconosciute sino ad alcuni mesi or sono anche agli operatori del sistema giustizia. L'effetto promozionale che il legislatore intendeva ottenere statuendo détta obbligatorietà sembra infatti mostrare i suoi primi segnali positivi, pur persistendo posizioni che, in diversa misura, tentano tuttora di arrestare o quanto meno deviare il percorso ormai segnato. E allora, se il D.Lgs. 28/2010 ha indotto tutti gli utenti del sistema giustizia a familiarizzare con la nuova "mediazione" finalizzata alla "conciliazione", è pur vero che i tempi di assimilazione di un percorso innovativo, che è destinato a riscrivere la cultura della lite in Italia ed in Europa, è e sarà lento e complesso. Anche la lettura del quadro normativo, che sarà completato nelle prossime settimane dalla pubblicazione dell'atteso decreto ministeriale che ne detterà le nuove norme attuative, necessita - anche nel solco delle numerose e autorevoli interpretazioni già proposte - di una attenta riflessione per una corretta attuazione, che non ne mortifichi le potenzialità operative. La nuova disciplina, infatti, tra i pur innegabili limiti, dettati forse dalla esigenza di avviare rapidamente questo percorso, contiene princìpi e regole che, se correttamente inter-
pretati e applicati, potranno realmente offrire alle parti in contesa opzioni e soluzioni sinora ignote. Ma se la scelta della via conciliativa diverrà sempre più naturale per operatori e utenti, e non soltanto in quanto obbligatoria, sarà utile quanto prima acquisire consapevolezza del rilievo che assumerà nella fase operativa la possibilità di scegliere il "soggetto" al quale rivolgersi per l'espletamento del tentativo di mediazione. Il disegno normativo (che fonda le sue origini sul D.Lgs. 5/2003 e cioè sullo schema della "conciliazione societaria") affida l'amministrazione della mediazione ad organismi che diano garanzie di "serietà ed efficienza", prescrivendo l'adozione di un regolamento e di un codice etico (art. 16, D.Lgs. 28/2010). In questa prospettiva il legislatore mira evidentemente a fissare dei requisiti minimi standard di professionalità che dovranno garantire gli utenti. Ma è chiaro che, tra i numerosi organismi (pubblici e privati) che si sono costituiti e che si costituiranno per gestire il servizio di mediazione, le parti potranno scegliere e questa scelta dovrà essere tanto più accurata e consapevole quanto più complessa e rilevante sarà la lite oggetto di mediazione. Le differenze tra gli organismi, tutti vincolati a standard minimi ed a controlli del Ministero della Giustizia, potranno essere davvero notevoli. Il riferimento ovviamente non è soltanto al profilo delle tariffe, quanto proprio al regolamento che disciplinerà la procedura e, quindi, in primo luogo, alla sede della stessa, ma soprattutto alla scelta del mediatore (e/o dei suoi possibili ausiliari). Il tema è complesso e ancora sostanzialmente inesplorato dagli esperti sulla base dell'attuale normativa. Decisivo al riguardo sarà il ruolo dei consulenti che dovranno essere in grado di orientare le parti verso organismi che siano in grado di offrire un servizio con standard di qualità elevati e che siano dotati dei requisiti di professionalità adeguati alla soluzione della specifica controversia. La approfondita lettura dei regolamenti degli organismi sarà il primo e indispensabile passaggio (anche soltanto) per selezionare la "sede" della mediazione. Al riguardo occorre ricordare come, in assenza di una clausola di mediazione o di un relativo patto, la scelta dell'organismo competerà a quella delle parti che per prima si attiverà per promuovere il procedimento (art. 4, comma 1, D.Lgs. 28/2010). La tempestività della parte istante potrà consentire di radicare quel procedimento presso l'organismo che la medesima ritiene più idoneo. Ma la scelta dovrà essere sempre effettuata utilizzando un criterio di ragionevolezza mirata ad offrire ad entrambe le parti una sede utile al dialogo, in quanto una scelta che non dia la medesima serenità alla controparte non consentirà di espletare un utile tentativo di conci-
liazione, ma si ridurrà molto probabilmente ad un mero adempimento formale. In particolare, si deve rilevare che la scelta dell'organismo radicherà ipso facto anche il luogo nel quale si svolgerà la procedura in quanto lo stesso deve essere previsto dal regolamento (art. 8, comma 2, D.Lgs. 28/2010). Si pensi quindi all'ipotesi di una lite in materia di rapporti di commercio nei quali le sedi delle aziende siano tra loro distanti. Quale sarà il criterio che in via di prevenzione dovrà adottare la parte che promuove la procedura? Questo è soltanto uno degli interrogativi dinanzi ai quali ci si troverà nell'avviare un percorso conciliativo. Ma il tema centrale ovviamente è quello che attiene alla scelta del mediatore. Se è vero infatti che il sistema costruito dal legislatore affida agli organismi e non ai mediatori la gestione della mediazione, ciò non significa (e non deve significare) sottrarre al mediatore la centralità che è propria del suo ruolo. Serietà ed efficienza dell'organismo saranno indispensabili al corretto espletarsi del servizio, ma la professionalità del mediatore e le sue capacità costituiscono il vero nodo del successo o dell'insuccesso della mediazione, che peraltro non coincide necessariamente con la conclusione o meno
dell'accordo per la soluzione della lite. Allora anche per il mediatore sono previsti requisiti minimi di professionalità (particolare attenzione è riservata alla formazione e al continuo aggiornamento) oltre che, ovviamente, di onorabilità. Ma se il sistema e il suo successo vivono principalmente della capacità del mediatore, è importante essere consapevoli che la scelta dello stesso viene affidata all'organismo. La regola prevede infatti la designazione del mediatore ad opera del responsabile dell'organismo dinanzi al quale la parte o le parti hanno avviato il procedimento (art. 8, comma 1, D.Lgs. 28/2010). Occorrerà quindi fare riferimento al regolamento di ciascun organismo al fine di verificare quali siano le specifiche regole che presiedono a questa delicata scelta. Queste regole sono notevolmente importanti e sarà di pregnante rilievo che le stesse siano collegate a meccanismi di selezione qualitativa e non a semplici automatismi, quasi a voler mutuare le tabelle dell'organizzazione degli uffici giudiziari (che correttamente attuano il principio in base al quale ciascuno ha diritto a far decidere la propria domanda dal giudice naturale precostituito per legge). La mediazione opera sul campo dell'autonomia privata e occorre quindi valorizzare scelte e opportunità indirizzando le stesse verso l'elevamento degli standard qualitativi. Diviene quindi centrale ancora una volta il regolamento e la selezione che gli organismi faranno dei mediatori da iscrivere nei loro elenchi. Elenchi che si auspica saranno pubblici e corredati dai profili personali di ciascuno, in quanto la trasparenza costituisce un cardine dell'operatività dell'intero sistema. Ma se la designazione del mediatore deve avvenire ad opera dell'organismo, ci si chiede se le parti potranno di comune intesa indicare allo stesso il mediatore che ritengono "adeguato" o, meglio ancora, "di fiducia". Si pone dunque il problema circa la facoltà per le parti di selezionare non solo l'organismo, ma altresì anche il mediatore. Sul punto, una interpretazione restrittiva avrebbe l'unico effetto di mortificare inutilmente le potenzialità della mediazione e del suo impianto normativo. Invero non sussitono ostacoli normativi né di principio a ché le parti possano indicare congiuntamente all'organismo il nome di un mediatore (iscritto nell'elenco dell'organismo prescelto). Resterà poi all'organismo stesso il potere di designazione, che non potrà esercitare senza valutare con la dovuta attenzione e ponderazione l'indicazione delle parti. In questa prospettiva appare anzi auspicabile che, sia il decreto ministeriale in fase di definizione, sia i regolamenti degli organismi, prevedano questa facoltà che deve essere incentivata e promossa, perché consente di coniugare le esigenze pubblicistiche di garanzia, di serietàed efficienza degli organismi e professionalità dei mediatori, con la valorizzazione dell'autonomia dei privati che è poi l'unica in grado di condurre ad una (soddisfacente) soluzione della lite. L'imparzialità del mediatore - che costituisce il perno intorno al quale è costruito il procedimento - è un principio fondamentale dello stesso, ma il legislatore ha avuto ben chiaro che la volontà delle parti possa essere adeguatamente tutelata dalla trasparenza e dalla possibilità (rimessa soltanto alle parti o, meglio, ad almeno una di esse) di richiedere la sostituzione del mediatore nominato (art. 14, D.Lgs. 28/2010). Ciò garantisce da un lato, la imparzialità del mediatore e dall'altro, la volontà delle parti la
cui fiducia nel mediatore nominato (magari indicato da entrambe) diviene prioritaria nella ratio normativa, relativizzando i pur importanti aspetti pubblicistici; questi ultimi arretrano, consentendo all'autonomia privata di esplicarsi per realizzare, pur nei limiti ad essa imposti, quella meritevolezza di tutela che costituisce principio fondante di ogni contratto (art. 1322 cod. civ.). Non a caso l'imparzialità (intesa quale "attitudine soggettiva del conciliatore, il quale non deve favorire una parte a discapito dell'altra" e che deve essere preliminarmente e formalmente dichiarata dal mediatore designato) costituisce l'unico pregnante requisito del procedimento di mediazione. La terzietà del mediatore e la sua imparzialità ne connotano il ruolo e il legislatore affida all'organismo ed alle parti il delicato compito della scelta e della eventuale sostituzione, in una equilibrata sintesi tra esigenze di tutela ed esplicazione dell'autonomia privata. Per cui, anche i concetti di indipendenza e di neutralità, che costituiscono ovviamente princìpi ineludibili ai quali deve rispondere il sistema giudiziario, non trovano speculare collocazione nel quadro normativo della mediazione. Al riguardo un
autorevole studioso del fenomeno conciliativo non ha mancato acutamente di osservare che se la "neutralità" consiste nella "equidistanza" tra le parti, meglio sarebbe nella mediazione discorrere di "biutralità" quale capacità del mediatore di essere "equivicino" alle parti e, quindi, in grado di immedesimarsi in pari misura con tutte le parti del procedimento. Invero il mediatore si colloca intra partes e non super partes, di qui l'esigenza di imparzialità. Imparzialità che costituisce garanzia per le parti di ottenere la designazione di un mediatore in grado di entrare serenamente nella controversia per condurre il procedimento con equilibrio e autorevolezza verso la soluzione che possa soddisfare le stesse mediante un accordo. Una soluzione che sarà "opportuna", "adeguata", "condivisa" (in una parola "contrattuale"), in quanto di fonte negoziale e non "giusta" (poiché non di fonte giudiziale) e che quindi nasce dalla volontà delle parti e non si impone alle stesse, se non virtù di una libera e meritevole determinazione volitiva. Un concetto di imparzialità, perciò, che si fonda sulla trasparenza e sulla capacità del mediatore, oltre che sulla fiducia delle parti e non su aspetti e dati meramente formali. Le parti quindi potranno indicare un mediatore di comune accordo e questi, una volta designato dall'organismo, dovrà dichiarare la sua imparzialità a garanzia della scelta effettuata. Una lettura puramente formale del concetto di "imparzialità" rischierebbe diversamente un inutile, inopportuno e pericoloso irrigidimento che non è proprio del procedimento di mediazione e che evidentemente non risponde alle esigenze delle parti ed a quelle codificate dal legislatore.

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