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  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTOBRE 2010
 
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Imprese troppo sole, manca ancora un piano di sviluppo per il manifatturiero

Senza l'aumento dei livelli di produttività del comparto non sarà possibile avviare cicli virtuosi di crescita

«Senza rimettere al centro dell'attenzione l'industria in senso stretto, non si può immaginare di costruire uno scenario di stabilità del quadro occupazionale e, quindi, reddituale»


AGOSTINO GALLOZZI, Presidente Confindustria Salerno

Pareva che questa volta ci fossimo davvero, che dovessimo lasciarci finalmente alle spalle la terribile crisi che ci ha tenuti ostaggio negli ultimi anni. Infatti, seppur deboli, ancora incerti e discontinui, nel nostro Paese avevano cominciato a manifestarsi i primi piccoli segnali di ripresa economica, ma come ha rimarcato il Centro Studi di Confindustria che con il rapporto di settembre ha rivisto al ribasso le stime di crescita per il 2011 (al +1,3%, dal +1,6% stimato a giugno) e confermato le previsioni per il 2010 - la ripresa in Italia è tutt'altro che alle porte. In tre anni sono andati persi 480mila posti di lavoro su tutto il territorio nazionale e per tornare ai livelli economici pre-crisi del 2007, bisognerà attendere ancora fino al 2013. Di rimando anche a livello locale, il sistema economico e produttivo fatica a riagganciare il treno della ripresa e nonostante non esista la formula magica per la crescita, vorremmo provare comunque a individuare i fattori istituzionali ed economici che possono facilitarla o ostacolarla del tutto. Non si tratta di ripetere la solita litania delle cosiddette emergenze che affliggono le imprese; ma, più pragmaticamente, di riprendere il tentativo di un ragionamento di fatto semplice: senza l'aumento dei livelli di produttività del manifatturiero non sarà possibile avviare cicli virtuosi di crescita, laddove per crescita non si intende esclusivamente uno sviluppo di tipo economico, ma - cosa forse più importante - un incremento dei livelli di qualità del sociale. Senza rimettere al centro dell'attenzione l'industria in senso stretto - e in provincia di Salerno questo significa principalmente (ma non esclusivamente) agroalimentare, gomma, plastica e chimica - non si può immaginare di costruire uno scenario di stabilità del quadro occupazionale e, quindi, reddituale. É in questa direzione che bisogna operare per ridare fiato al mercato del lavoro che sconta i "costi" - sebbene in parte attutiti dall'intelligente e condiviso ricorso agli ammortizzatori sociali dei processi di ristrutturazione avviati e in larga parte portati a termine dalle aziende alle prese con la più grave crisi dal dopoguerra ad oggi. Le imprese hanno fatto e continueranno a fare la loro parte "tagliando" il possibile e cercando nuovi mercati per prodotti innovativi: una sfida non ben compresa da tutti gli attori del panorama territoriale, a cominciare dalla filiera istituzionale.
Quotidianamente soli, gli imprenditori si sono ritrovati a combattere non solo con l'ordinaria inefficienza delle Pubbliche Amministrazioni, ma anche con la straordinarietà di un "credit crunch" che ha lasciato il segno. Per non parlare dell'incapacità di immaginare tutti insieme un piano organico di interventi non a sostegno, ma in sintonia con la domanda di infrastrutture e di servizi espressa da decenni dalle aziende. Non c'è altra strada che questa per arginare la deriva di un Paese a due velocità e di un Mezzogiorno che non riesce più ad intercettare le dinamiche della crescita con tassi europei.

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