ARCHIVIO COSTOZERO

 
Cerca nel sito



Vai al numero in corso


  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTOBRE 2010
 
LOBBYING - Home Page
stampa l'articolo stampa l'articolo


Fabio Pascapè
Cittadinanzattiva - Assemblea Territoriale Napoli Centro


Lavoratori e attivitÀ di UTILITÀ SOCIALE: una via d'uscita dalla crisi del volontariato?

Pochi sanno, ma esistono norme che potrebbero far aumentare la disponibilità a sostenere il non-profit, senza che "il volontario" sottragga tempo o risorse al proprio impiego lavorativo

«Oggi alla luce della crisi economica, trovare disponibilità a sostenere il non-profit è sempre più difficile»


Una persona in difficoltà e un volontario le tende la mano, le presta assistenza. Una situazione di violazione di diritti e un aderente di un'associazione di promozione sociale fa una raccolta di firme, realizza un monitoraggio civico, confeziona una proposta migliorativa per le istituzioni. Una situazione di rischio sociale e una associazione sportiva che organizza e coinvolge minori a rischio tirandoli via dalla strada. Gli esempi potrebbero essere tanti, ma il tratto unificante è dato dal fatto che ci sono persone che decidono di destinare al bene comune una parte più o meno significativa del proprio tempo. Il fenomeno, sia sotto il profilo degli aderenti sia delle risorse che mobilita, è di dimensioni considerevoli i cui confini tra profit e non profit non sono, a volte, facilmente tracciabili. Molte attività d'aiuto, di sostegno, di promozione sociale, di ambito solidaristico sono rese possibili solo grazie a queste persone e alle associazioni in cui lavorano. Per farci un'idea dei numeri in gioco possiamo ricorrere agli esiti della ricerca presentata durante il convegno "Il volontariato in Europa" promosso a Lucca e realizzata a novembre del 2009 dal Centro nazionale per il volontariato in collaborazione con il Coordinamento nazionale dei centri di servizio per il volontariato e altre organizzazioni nazionali. In Italia le organizzazioni di volontariato sono più di 21.000 di cui il 51,3% è riconosciuto. Per quel che concerne le attività il 31% sono svolte in ambito sociale e assistenziale, il 28,5% in ambito sanitario, il 13,5% in ambito culturale, il 10,2% nel settore della protezione civile e infine il 4,3% nell'ambiente. Il numero dei volontari attivi nelle organizzazioni italiane è di tutto rispetto. Ne sono stati censiti 868.000, di cui il 54,4% uomini e il 45,6% donne, un po' di tutte le fasce di età, con una presenza significativa registrata nella fascia tra i 30 e i 54 anni con il 41,1%, cui segue quella tra 55 e 64 anni con il 23,3%. Sino a 29 anni la ricerca ha rilevato una incidenza del 22,1% e infine tra gli ultra64enni sono attivi il 13,5% dei volontari. Occorre poi considerare che il ruolo del volontario sta cambiando velocemente. L'attività di volontariato, anche alla luce delle prospettive aperte dalla riformulazione dell'art. 118 u.c. della Costituzione in termini di sussidiarietà orizzontale, è stata chiamata a svolgere compiti sempre più complessi. Parlare di ambiente, ad esempio, significa avere un know-how che contempli una consistente congerie di norme, regolamenti e prassi. Parlare di salute e soprattutto intervenire per migliorare la qualità dei servizi sanitari significa avere competenze che spaziano dalla organizzazione aziendale all'audit sanitario, dalla valutazione civica delle performance all'enorme corpus normativo, regolamentare e provvedimentale che, a partire dal livello europeo, attraversa quello nazionale e regionale sino ad approdare alla produzione delle singole ASL. Gli esempi fatti mostrano in maniera univoca come ormai almeno le leve dirigenti e i quadri delle organizzazioni non profit che svolgono attività di utilità sociale devono avere una specifica preparazione e questo comporta una spiccata esigenza di formazione e aggiornamento che, a sua volta, comporta un notevole impiego della risorsa tempo. In altri termini o il dirigente e il quadro sono sorretti da uno staff molto efficiente, oppure devono dedicarsi in maniera quasi esclusiva all'attività associativa. Questo ed altri fattori hanno creato nel tempo una sempre maggiore dipendenza delle organizzazioni non profit che svolgono attività di utilità sociale dalla capacità di reperire risorse finanziarie (sono perfino nate figure professionali come il "fundraiser" del terzo settore). Poi però nel momento di massima espansione è arrivata la crisi che si è presentata sotto un duplice aspetto: quello valoriale e quello delle risorse finanziarie. Sotto il profilo valoriale le persone disposte a dedicarsi al bene comune sono sempre di meno. Un esempio su tutti: l'estate scorsa la Caritas di Milano ha avuto grandi difficoltà a trovare volontari per la distribuzione dei pasti alla mensa delle persone povere durante il mese di agosto. Non era mai successo. Proprio in questi giorni l'Istituto per la Donazione ha reso noto l'esito di uno screening per il quale un soggetto non profit su tre ha subito un pesante ridimensionamento in termini di donazioni ricevute e che solo i soggetti impegnati nella cooperazione internazionale hanno registrato un leggero incremento. La P.A. in Campania, ad esempio, è sempre di più alle prese con frequenti sforamenti di bilancio ad ogni livello di governo, a partire da quello regionale sino a quello comunale, nella scuola, nella sanità, nei trasporti con la corrispondente esigenza di operare tagli. I soggetti privati sono alle prese anch'essi con una crisi che è sotto gli occhi di tutti e ciò ha comportato una sensibile diminuzione della disponibilità ad effettuare donazioni. Questo mette sempre di più a dura prova la capacità dei soggetti non profit di procurarsi le risorse necessarie per il perseguimento dei propri fini. La sensazione è che negli ultimi anni ci sia stato un eccessivo sbilanciamento verso un volontariato "assistito e sostenuto" e che ciò non sia stato fino in fondo una buona idea soprattutto perchè ha significato sfumare il peso di quello forse meno professionale, ma eminentemente "valoriale" e "senza nulla a pretendere", per intenderci. Forse era meglio realizzare una sintesi tra le due anime anzichè privilegiare quello "assistito e sostenuto". Ma come sappiamo bene "del senno di poi...". Dunque un modello di sviluppo del non-profit tutto sommato da rivedere soprattutto in direzione di un contemperamento e riequilibrio tra le sue due anime in quanto, oggi alla luce della crisi economica, trovare disponibilità a sostenere il non-profit è sempre più difficile. Bisogna quindi elaborare strategie alternative che consentano di proseguire nella direzione indicata dall'art.118 u.c. della Costituzione e nella sempre più massiccia presenza del cittadino in forma singola o associata chiamato ad occuparsi del bene pubblico. L'operazione è complessa ma innanzitutto occorre cogliere le opportunità che le norme già offrono e lavorare per amplificarne la portata. Vi è una risorsa, a torto molto poco considerata, che è quella dei dipendenti della P.A. o comunque di quanti, inseriti nel mondo del lavoro, proprio per il loro status e per le loro competenze possono essere risorse importantissime per il terzo settore praticamente a costo zero. Schiacciate nella prospettiva sino ad oggi vincente che vedeva i volontari o come persone con grande disponibilità di tempo a costo zero (lavoratori in pensione), o come persone alla ricerca di un impegno in qualche maniera retribuito le persone inserite o in uscita dal mondo del lavoro trovano oggi una possibile dimensione di impegno nelle attività di volontariato. Mi riferisco ad esempio all'opportunità offerta dall'art.72 del decreto 112\2008 che prevede, per gli appartenenti ad alcune categorie di dipendenti pubblici prossimi ai limiti di età per il collocamento a riposo, la possibilità di richiedere l'esonero dal servizio conservando il 70% dell'ultimo stipendio qualora optino per prestare la loro opera presso un'associazione di volontariato. Non si conosce ancora l'impatto della norma ma è certo che è ancora poco nota, che le P.A. sono molto caute nell'applicarla e che sarebbe auspicabile che ne fosse estesa l'applicabilità anche agli Enti Locali. Mi riferisco ancora all'art.19 della l.383/2000 "Disciplina della associazioni di promozione sociale" e all'art. 17 della l.266/1991 "Legge quadro sul volontariato" che in perfetta sintonia prevedono entrambi il diritto, a beneficio degli aderenti alle associazioni di volontariato e a quelle di promozione sociale, di usufruire delle forme di flessibilità previste dai contratti di lavoro compatibilmente con le esigenze aziendali. Questo significa, tra l'altro, beneficiare della turnazione, dell'orario plurisettimanale, della settimana lunga o corta e quindi di potere meglio organizzare la propria partecipazione all'attività associativa senza nulla levare a quella lavorativa. Anche in questo caso si tratta di norme poco note ed ancor meno applicate. In altri termini, spesso tutto è giocato sulla qualità del rapporto con il datore di lavoro e sulla flessibilità di quest'ultimo, fuori però di ogni certezza oggettivabile in un accordo sindacale o in un assetto regolamentare. Occorre in altri termini "attivarsi" pretendendo l'applicazione delle norme e nel contempo "attivare" i datori di lavoro e le rappresentanze sindacali per trovare soluzioni di contesto. Niente niente il rilancio dei valori solidaristici e l'impegno per il bene comune partisse proprio da quelli che un tempo erano definiti "i garantiti"? Staremo a vedere.

Download PDF
Costozero: scarica la rivista in formato .pdf
Ottobre - 1.520 Mb
 

Cheap oakleys sunglassesReplica Watcheswholesale soccer jerseyswholesale jerseysnike free 3.0nike free runautocadtrx suspension trainingbuy backlinks
Direzione e Redazione: Assindustria Salerno Service s.r.l.
Via Madonna di Fatima 194 - 84129 Salerno - Tel. (++39) 089.335408 - Fax (++39) 089.5223007
Partita Iva 03971170653 - redazione@costozero.it