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  Dicembre 2012

Articoli n° 08
OTTOBRE 2010
 
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La D.I.A. È sostituita dalla S.C.I.A.? Intenti apprezzabili, chiarezza poca

LICENZIAMENTO per molestie sessuali

LICENZIAMENTO PER MOLESTIE SESSUALI

Il diritto alla difesa è inviolabile e, gerarchicamente, è molto più forte di quello alla privacy


Massimo Ambron Avvocato
massimo.ambron@libero.it

La Corte di Cassazione si pronuncia sul bilanciamento tra il diritto della persona alla tutela della sua privacy, oggi diffusamente avvertito, e il diritto di difesa della persona, parimenti tutelato dalla Costituzione all'art. 24. La S.C., con la recente sentenza n. 18279 del 5.8.2010, stabilisce che il richiamo di una parte processuale al doveroso rispetto del diritto suo o di un terzo alla privacy non può legittimare una violazione del diritto di difesa inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Esso non può incontrare nel suo esercizio ostacoli e impedimenti nell'accertamento della verità materiale a fronte di gravi addebiti, suscettibili di determinare ricadute pregiudizievoli per la controparte in termini di irreparabile vulnus. Il fatto: un impiegato di una azienda metalmeccanica fu licenziato in quanto durante l'orario di lavoro e nei locali aziendali aveva molestato, tentando di "baciarla e toccarla", una collega di lavoro, il cui nominativo, però, non fu riportato per motivi di privacy dall'azienda nella lettera di contestazione disciplinare. Il lavoratore si era
difeso nella lettera di giustificazioni, negando e precisando di avere avuto sempre un comportamento in azienda corretto. Il Giudice di primo grado aveva accolto il ricorso del dipendente con sentenza, confermata anche dalla Corte di Appello di Napoli, in quanto la lettera di contestazione risultava generica, non consentiva di comprendere le reazioni della collega "offesa" rimasta peraltro ignota, né se fossero intervenuti altri colleghi. La S.C. con la sentenza qui in commento ha confermato le decisioni dei colleghi dei gradi precedenti, ritenendo le motivazioni congrue e ineccepibili. La S.C. ha richiamato il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui la contestazione deve avere i requisiti della specificità, in modo da consentire al dipendente di fornire immediata ed esauriente difesa. Tali essenziali requisiti erano invece assenti e gli elementi indicati nella contestazione erano di tale vaghezza da non consentire di ricostruire il reale svolgimento dei fatti e le condotte dei protagonisti né di consentire un adeguato diritto di difesa dell'incolpato. La S.C. così motiva la infondatezza della tesi dell'azienda secondo cui la omissione
del nominativo della persona vittima del presunto episodio di violenza riposa sulla tutela della privacy: «Nelle controversie in cui configura una contrapposizione tra due diritti aventi ciascuno di essi copertura costituzionale, va applicato il criterio di gerarchia mobile dovendo il giudice procedere in considerazione dello specifico thema decidendum alla individuazione dell'interesse da privilegiare a seguito di una equilibrata comparazione tra i diritti in gioco, evitando che la piena tutela di un interesse finisca per tradursi in una limitazione di quello contrapposto. Ne consegue che il richiamo ad opera di una parte processuale al doveroso rispetto del diritto alla privacy non può legittimare una violazione del diritto di difesa che non può incontrare nel suo esercizio ostacoli ed impedimenti nell'accertamento della verità materiale. In particolare, a fronte di gravi addebiti suscettibili di determinare ricadute pregiudizievoli alla controparte in termini di un irreparabile vulnus alla sua onorabilità e talvolta anche della perdita di altri diritti fondamentali come quello del posto di lavoro».
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