MERCATI EMERGENTI: la Piccola Industria vuole esserci
Nuove strade per le relazioni industriali ALBERTO BOMBASSEI: «Il mondo non sta certo ad aspettarci»
MERCATI EMERGENTI: la Piccola Industria vuole esserci
Il presidente Vincenzo Boccia affonda il colpo: «Il Paese ha un forte bisogno di una politica economica e industriale di lungo periodo. Gli imprenditori sono pronti a fare la loro parte ma chiedono un "ambiente" in cui valgano i principi di serietà, stabilità e coerenza»
di Raffaella Venerando
Vincenzo Boccia,
Presidente Piccola Industria Confindustria
Presidente, che bilancio possiamo fare della due giorni di Prato? Cosa dice il termometro della situazione economica? Qual è lo stato di salute della Piccola Industria?
Le rispondo innanzitutto con un numero: al Forum di Prato hanno partecipato circa 850 imprenditori provenienti da tutta Italia. Segno che la Piccola Industria c'è e soprattutto vuole capire come affrontare i nuovi scenari attraverso il confronto con i colleghi e con gli esperti. Non mi dilungo sui cambiamenti che tutti noi già conosciamo in termini di mercati emergenti e opportunità connesse. A Prato, però, grazie alla ricerca "Le nuove rotte per le Pmi" condotta per l'occasione da diverse Associazioni (Federalimentare, Sistema Moda Italia, Ucimu, Anie, Anes, Farmindustria e Federexport, ndr) è emerso un dettaglio importante: le piccole imprese industriali che hanno reagito meglio alla grande crisi del 2008-2009 sono quelle che hanno compiuto uno sforzo di innovazione a 360 gradi. Detto questo, in futuro le piccole imprese, specie nel rapporto con l'estero, non potranno più semplicemente affiancarsi alle grandi, sia perché con la crisi diverse funzioni sono state internalizzate, sia perché nei mercati emergenti le imprese locali offrono prodotti e servizi competitivi.
Un caposaldo della Piccola Industria è la cultura delle alleanze. Quali sono i vantaggi, le motivazioni e le modalità per aggregarsi?
È proprio a causa del nuovo contesto internazionale che è indispensabile allearsi. Le formule possibili sono tante: joint venture, consorzio, contratto di rete. Ciascuna impresa sceglierà quella più adatta alle proprie esigenze. L'importante è capire che l'epoca del "piccolo è bello" è tramontata. Un cambiamento che è soprattutto culturale, essendo l'imprenditore italiano per natura molto individualista. Occorre pertanto una politica economica che favorisca le aggregazioni e le collaborazioni tra imprese anche con incentivi fiscali.
La platea al XII Forum della Piccola Industria a Prato
Ma la piccola dimensione incide in negativo anche sugli investimenti in ricerca e sviluppo?
Certamente. Fare ricerca costa, i benefici non sono immediati e una piccola impresa, da sola, non ha la forza economica per sostenere tale impegno. Un valido aiuto è il credito d'imposta per investimenti in Ricerca e Innovazione. Occorre renderlo automatico, relativamente a una quota stabilita, per i prossimi cinque anni. E proprio perché le Pmi spesso non hanno le competenze o le apparecchiature adeguate, tale meccanismo dovrebbe incoraggiare la collaborazione con il sistema di ricerca pubblico e privato. D'altronde, accrescere la massa critica consolidando e ampliando i distretti tecnologici è un invito che la stessa Europa ha formulato di recente attraverso l'Innovation Action Plan, un programma che mira alla costruzione dell'Unione dell'Innovazione da qui alla data obiettivo del 2020.
Il confronto con i nostri competitor di sempre - Francia ma soprattutto Germania - ci vede ancora una volta indietro. In Italia la scarsa qualità della regolazione e l'inefficienza della pubblica amministrazione pesano in misura drammatica sulle imprese, tanto da costituire un reale freno allo sviluppo
competitivo. Ma, oltre alla semplificazione della macchina burocratica, quali aspetti vanno migliorati con urgenza? La scarsa capitalizzazione? La bassa produttività? Quale limite pesa più di altri?
Diciamo che la burocrazia rappresenta un'area di sofferenza molto estesa per le piccole imprese. Anzi, l'inefficienza della Pubblica Amministrazione è indicata dagli imprenditori italiani come il principale ostacolo al fare impresa nel nostro Paese, come risulta dall'ultimo Global Competitive Index 2009-2010 elaborato dal World Economic Forum. Qualche segnale di miglioramento c'è stato. Grazie alla spinta di Confindustria nella legge sul procedimento amministrativo è stato, ad esempio, introdotto il danno da ritardo. Anche l'Europa si sta muovendo. Pochi giorni fa (21 ottobre, ndr) infatti il Parlamento di Strasburgo ha approvato la Direttiva contro i ritardi dei pagamenti nelle transazioni commerciali: la Pubblica Amministrazione, come regola generale, dovrà pagare entro 30 giorni. In caso contrario sarà soggetta al pagamento di un interessa di mora. Oltre alla burocrazia, si deve intervenire sul fisco. Un semplice dato è sufficiente per capire la gravità della situazione: il tax rate, ovvero la somma delle tasse e dei prelievi (compresi gli oneri sociali) che gravano sull'impresa è il 68,4% del risultato operativo lordo. Si tratta di un peso inaccettabile che diminuisce drasticamente la competitività delle imprese italiane. Per questo occorre al più presto spostare la composizione del prelievo dalle imposte dirette a quelle indirette.
Scarsa capitalizzazione delle aziende?
In parte è così e per tale motivo a Prato abbiamo nuovamente chiesto di intervenire sul Tfr inoptato per consentire ai lavoratori di lasciarlo in azienda, nel caso di imprese con oltre 50 dipendenti. Ci aspettiamo molto, poi, dal Fondo Italiano di investimento, il fondo di private equity fortemente voluto da Piccola Industria, che grazie a un arco temporale di intervento più lungo e a una minore redditività attesa dovrebbe stimolare le imprese a investire, per l'appunto, e a crescere in dimensioni e consistenza patrimoniale.
Infine, invitiamo le piccole imprese a valutare canali di finanziamento alternativi al credito bancario, quale ad esempio il Mac, il mercato alternativo del capitale. L'Advisory Board promosso da Borsa italiana, alla guida del quale sono stato chiamato, avrà proprio questo compito, razionalizzare i mercati attualmente esistenti destinati alle piccole e medie imprese rendendoli appetibili non solo per loro ma anche per gli investitori.
La speranza di proroga della Tremonti Ter aveva dato una qualche prospettiva positiva e invece…
Le Tremonti Ter premiava l'impresa che reagiva alla crisi detassando gli investimenti in macchinari, ma non è stata prorogata. Vediamo di puntare su altri asset, applicando ad esempio una tassazione agevolata per la rivalutazione delle attività intangibili, sulla scia di quanto fatto con i beni immobili. Brevetti e marchi, infatti, in una fase storica in cui conta moltissimo la quali tà delle idee assumono una rilevanza strategica.
Quali sono le aspettative che le Pmi nutrono nei confronti delle banche?
Premesso che la relazione bancaimpresa è proficua solo se entrambe le parti si impegnano affinché lo sia, un primo elemento da migliorare è certamente la comunicazione finanziaria. Confindustria e Abi vi stanno lavorando definendo una matrice fabbisogni/informazioni grazie alle quale l'impresa conoscerà l'insieme delle informazioni da fornire agli istituti di credito e in questo set le informazioni qualitative avranno particolare rilievo. Alle banche pertanto chiediamo di non fare un uso meccanico dei modelli di rating e di prestare al contrario molta attenzione proprio a questi aspetti qualitativi, che più di altri possono aiutare a distinguere le imprese meritevoli di credito in virtù dei progetti e della visione che queste hanno per il proprio futuro.
In un'intervista recente lei ha dichiarato che "prima di saper fare bene i prodotti, bisogna saper fare bene impresa".
Quando si riesce a far bene impresa e quanto conta avere intorno un ambiente favorevole? A questo proposito tornerei al Global Competitive Index ricordato poc'anzi, che oltre a burocrazia e fisco, inserisce tra i primi fattori di "sofferenza" per gli imprenditori anche la difficoltà nell'accesso ai finanziamenti, la legislazione sul lavoro, le infrastrutture e, poco più in basso, la corruzione e l'instabilità delle politiche pubbliche. L'ambiente nel quale operano le imprese non è dunque dei migliori. Non a caso a Prato le istanze che abbiamo raccolto dalla viva voce degli imprenditori contenevano spesso le parole "stabilità, serietà e coerenza". Abbiamo un forte bisogno di una politica economica e industriale di lungo periodo, noi siamo pronti a fare la nostra parte.
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