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  Dicembre 2012

Articoli n° 09
NOVEMBRE 2010
 
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Norme e tariffe per la composizione stragiudiziale delle liti

Agevolazioni fiscali, costi e benefici per la mediazione di una controversia d'impresa


«La terzietà del mediatore e la sua imparzialità ne connotano il ruolo e il legislatore affida all'organismo ed alle parti il delicato compito della scelta e della eventuale sostituzione, in una equilibrata sintesi tra esigenze di tutela ed esplicazione dell'autonomia privata»

Marco Marinaro Avvocato Cassazionista - Mediatore
Professore a contratto di Metodi di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione, Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali dell'Università di Salerno www.studiolegalemarinaro.it

Se per una molteplicità di materie dal 20 marzo 2011 sarà obbligatorio avviare un tentativo di mediazione della lite prima di procedere giudizialmente (si pensi ad es. nella materia dei contratti bancari, finanziari e assicurativi), è sin d'ora possibile per le parti di una contesa in qualsiasi materia del diritto civile e commerciale, anche qualora il giudizio civile sia già in corso, rivolgersi ad un organismo di mediazione accreditato presso il Ministero della Giustizia per provare a dirimere pacificamente la controversia insorta. Al fine di promuovere e sostenere questo diverso modo di affrontare i conflitti il legislatore, con la disciplina contenuta nel D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, ha introdotto una serie di norme a garanzia della serietà e della professionalità degli organismi e dei mediatori creando un sistema di tutele (si pensi, ad esempio, alla riservatezza e alla rapidità della procedura) per quanti decideranno di affidarsi ad un mediatore per la soluzione stragiudiziale della lite.
La normativa in vigore prevede anche una serie di agevolazioni di carattere fiscale che rendono ulteriormente interessanti i costi, che sono predeterminati, da sostenere per il procedimento contribuendo ulteriormente a sensibilizzare le parti e in particolare le imprese ad accedere alla mediazione finalizzata alla conciliazione. Ed allora, considerati anche gli aumenti ormai ricorrenti del c.d. contributo unificato per le spese di giustizia (che costituisce il costo per l'iscrizione a ruolo di una causa civile) appare utile rilevare che invece tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall'imposta di bollo e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Inoltre, qualora le parti dovessero pervenire alla conciliazione, il verbale di accordo sarà esente dall'imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l'imposta sarà dovuta soltanto per la parte eccedente (la limitazione di questo beneficio risponde all'esigenza di evitare impieghi elusivi dal punto di vista tributario dello strumento conciliativo). Vi è poi ancora un'altra agevolazione. Infatti, alle parti che corrispondono l'indennità ai soggetti abilitati a svolgere il procedimento di mediazione presso gli organismi è riconosciuto, in caso di successo della conciliazione, un credito d'imposta commisurato all'indennità stessa, fino a concorrenza di euro 500 (in caso di insuccesso della mediazione, il credito d'imposta è ridotto della metà).
Considerato che in base alle tariffe attualmente in uso presso le Camere di Commercio alla indennità di euro 500 corrisponde un valore della controversia compreso tra i 25.000 e i 50.000 euro, significa che i maggiori benefici potranno essere utilizzati proprio nelle controversie di modesto valore ed entro i limiti del valore di 50.000 euro. Questo rilievo tuttavia non esclude la utilità e la opportunità di risolvere stragiudizialmente liti di valore più elevato. Invero, le indennità attualmente in vigore per le Camere di Commercio chiariscono che i costi della mediazione - che pur sono crescenti in relazione al valore della controversia - sono chiaramente predeterminati e appaiono sicuramente congrui in relazione al valore stesso. Peraltro, se è chiaro che la mediazione ben si presta a risolvere questioni di valore modesto anche in virtù delle particolari agevolazioni fiscali concesse, appare evidente che la riservatezza, la rapidità, la satisfattività dell'esito della procedura costituiscono motivo di sicuro interesse perché gli imprenditori valutino favorevolmente la possibilità di comporre, attraverso la mediazione, le liti più complesse e di più significativo rilievo economico.
L'attività d'impresa richiede una rapida ed efficace soluzione dei conflitti e la mediazione costituisce una chiara risposta a questa domanda.



LA NUOVA DISCIPLINA DELLA MEDIAZIONE DELLE LITI: DUBBI E PROSPETTIVE


Francesco Paolo Luiso
Professore ordinario di Diritto processuale civile Università di Pisa

Il D.Lgs. 4 marzo 2010 n. 28, che attua sia la delega prevista nell'art. 60 della L. 18 giugno 2009 n. 69, sia la Direttiva comunitaria 2008/52/CE del 21 maggio 2008, ha dato improvvisa visibilità alla mediazione: uno strumento, questo, non nuovo - perché la risoluzione negoziale delle controversie esiste in tutti gli ordinamenti in cui sia attribuito ai consociati il potere negoziale - ma che negli ultimi decenni è stato oggetto di approfondimenti scientifici e anche di applicazione sperimentale, sia pur settoriale. L'introduzione di un procedimento conciliativo generalizzato per tutte le controversie civili e commerciali relative a diritti disponibili nasce con finalità poco condivisibili, e presenta una disciplina sotto certi profili ambigua.
E tuttavia costituisce un'occasione eccellente per diffondere la «cultura della mediazione».
Finalità poco condivisibili: lo scopo - dichiarato - del D.Lgs. 28/2010 è quello di deflazionare l'accesso alla giurisdizione. Ma ovviamente così non è e così non può essere. Infatti, i rapporti fra risoluzione negoziale e risoluzione giurisdizionale delle controversie sono esattamente antitetici rispetto a quelli ipotizzati dal legislatore: un sistema giurisdizionale effettivo ed efficace costituisce il presupposto per il buon funzionamento del sistema negoziale, e non viceversa.
In primo luogo, dal momento che la mediazione si fonda sulla stipulazione di un contratto, e dal momento che i contratti si concludono se sono convenienti, è ovvio che il cattivo funzionamento dello strumento giurisdizionale farà venir meno la convenienza a conciliare in tutte quelle situazioni in cui una delle parti sa di poter fare affidamento sui tempi lunghi della giurisdizione. In secondo luogo - e dal punto di vista di chi invece avrebbe necessità di un intervento giurisdizionale veloce ed efficace – uno strumento giurisdizionale non efficiente è la causa di una mediazione "cattiva" (secondo l'espressione utilizzata da Sergio Chiarloni): cioè di un accordo fondato sulla convenienza ad accettare una soluzione al ribasso, visto che l'alternativa giurisdizionale non è in concreto praticabile. Purtroppo, ancora una volta il legislatore - non essendo in grado di aggredire le vere cause del mal funzionamento della giustizia – cerca di tener buona l'opinione pubblica interna e quella internazionale facendo riforme (che si riveleranno) inefficaci ma che, intanto, consentono di sbandierare che qualcosa è stato fatto: per i risultati si prega di attendere. Quando poi, dopo qualche anno, i risultati non ci saranno, ecco pronta un'altra riforma inutile, e il gioco ricomincia. E così abbiamo avuto la riforma del 1995; l'abolizione delle preture; il rito societario; le riforme del 2005-2006. Ora va di moda l'eliminazione dei piccoli tribunali. La verità - che tutti sanno ma che ovviamente si deve tacere - è che, dal punto di vista strutturale, la giustizia è una pubblica amministrazione; e pertanto, se in Francia la costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità costa un terzo di quanto costa in Italia; se in Spagna si realizza un'autostrada in un quinto del tempo necessario in Italia, e si potrebbe continuare con gli esem-
pi; ebbene, a fronte di tutto ciò, sarebbe un miracolo se, invece, la giustizia funzionasse bene! Disciplina ambigua, dicevamo.
Perché il legislatore, volendo perseguire finalità deflative, ha introdotto nella disciplina normativa istituti - valga per tutti la "proposta" del mediatore, prevista dall'art. 11 - che rischiano di indirizzare il procedimento di mediazione verso metodologie aggiudicative, mortificandone le potenzialità e facendo della mediazione un processo giurisdizionale di serie B. Che il rischio sussista, è dimostrato dalle richieste di parte dell'avvocatura, volte ad introdurre l'assistenza tecnica obbligatoria (peraltro inesistente nell'arbitrato!); oppure dall'affermazione, sempre proveniente da parte dell'avvocatura (proposta dell'Unione Triveneta dei Consigli dell'Ordine degli Avvocati), secondo cui l'accordo dovrebbe mantenersi "nell'ambito della cornice giuridica del rapporto", mentre è noto che il valore aggiunto dell'accordo negoziale rispetto alla decisione del terzo sta proprio nel poter prescindere dalla "cornice giuridica del rapporto". Occorre quindi che sia ben chiaro che – come del resto si evince anche dalla relazione di accompagnamento al D.Lgs. 28/2010 - il legislatore in alcun modo ha voluto fare della mediazione un procedimento nel quale si tratta di chi ha ragione e di chi ha torto; che il mediatore farà la "proposta" se avrà gli elementi per farla; e che, comunque, occorre evitare con tutti i mezzi che la moneta cattiva (la mediazione aggiudicativa, in cui l'accordo si basa sulla valutazione della fondatezza delle rispettive pretese: in sostanza, sulla ragione e sul torto) scacci la moneta buona (la mediazione facilitativa, in cui l'accordo risponde e soddisfa le necessità e gli interessi delle parti).
Ma al di là di questi profili critici, senza dubbio il D.Lgs. 28/2010 costituisce un'eccellente occasione per diffondere la cultura della mediazione. Ad una condizione, però: che il mediatore sia preparato nelle specifiche tecniche della negoziazione. Proprio la carenza di queste capacità professionali porta ai deludenti risultati delle mediazioni in materia di lavoro e di contratti agrari; mentre proprio la presenza di queste capacità professionali porta ai ben più soddisfacenti risultati delle mediazioni gestite dalle Camere di Commercio. La speranza è che, nel predisporre i decreti ministeriali attuativi del D.Lgs. 28/2010, il legislatore non cada nell'errore in cui è caduto con il D.M. 222/2004: il quale, all'art. 4, comma quarto, lett. a), considera equivalenti la specifica formazione in materia di negoziazione e la qualifica di docenti universitari, professionisti o ex-magistrati. Come se un buon professore, avvocato o magistrato fosse ipso iure anche un buon mediatore!

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