LAST MINUTE MARKET: lo spreco diventa risorsa
di Raffaella Venerando
Come funziona il progetto che consente il recupero e l'utilizzo di prodotti alimentari, e non, che altrimenti sarebbero rifiuti
«Questo progetto diffonde valori relazionali e di legame ponendo il dono al centro del suo operato e promuovendo un'azione di sviluppo sostenibile il cui impatto positivo a livello ambientale, sociale ed economico è ampiamente misurabile»
«Il messaggio che vogliamo che passi attraverso il nostro lavoro è quello di non alimentare quanto piuttosto di ridurlo perchè lo spreco è il fallimento del mercato»
Andrea Segrè, Preside della facoltà di Agraria dell'Università di Bologna, oltre che professore ordinario di Politica agraria della stessa facoltà, è l'ideatore del progetto Last Minute Market, il sistema di recupero e di utilizzo dei prodotti alimentari (e non) invenduti dei super e ipermercati che vi presentiamo in queste pagine
Professor Segrè, lungo la catena alimentare si creano vere e
proprie sacche di spreco. Lei, però, ha ideato un modo innovativo per combatterle: il Last Minute Market. Vuole descriverci brevemente quando è nato e quali sono le finalità di questo progetto?
L'idea da cui è gemmato il progetto è stata un po' la classica scoperta dell'acqua calda. Eravamo - un mio ex studente ed io - nel retrobottega di un ipermercato alla fine degli anni Novanta quando abbiamo notato una montagna di beni sì invenduti, ma perfettamente ancora consumabili, accatastata in un angolo e pronta per la discarica. Nel cumulo di beni non più vendibili c'erano, tra gli altri, yogurt prossimi alla scadenza, scatole di pasta danneggiate solo nel packaging e non nel contenuto, cabaret di frutti messi via perché magari solo una delle mele confezionate era appena appena un po' matura. Fu lampante allora capire che quei prodotti tolti dallo scaffale diventavano veri e propri rifiuti, con un costo economico e ambientale non indifferente. Allora ci ingegnammo per provare a legare tra loro l'offerta negativa di questi beni invenduti con la domanda, altrettanto negativa di chi ha un potere d'acquisto molto ridotto.
È nato così Last Minute Market (LMM), prima come progetto di ricerca e poi come spin-off universitario dell'ateneo di Bologna nel 2000: una vera impresa cooperativa - formata dai miei ex studenti - che si è specializzata sempre più nella logistica e nella gestione amministrativa tesa, appunto, all'utilizzo e - potremmo dire al rimpiego - delle eccedenze. I prodotti che escono dal mercato perché con difetti di confezionamento o perché vicini alla data di scadenza - vengono così raccolti e distribuiti ad organizzazioni di volontariato ed enti di assistenza. Il progetto oggi è attivo in 42 città italiane, anche grazie ai buoni risultati conseguiti e al recupero di centinaia di tonnellate di beni, non solo alimentari, rimessi in circolo grazie ad un'azione solidale tra chi dona e chi riceve di scambio fisico, a un valore di relazione poiché la comunità che entra a far parte del progetto ha meno rifiuti e un'immagine di ecosostenibilità molto forte. LMM permette l'incontro diretto tra "domanda" e "offerta" e si occupa della scrupolosa messa in sicurezza di tutte le fasi del sistema. Il messaggio che vogliamo che passi attraverso il nostro lavoro è quello di non alimentare lo spreco, quanto piuttosto di ridurlo, perché lo spreco è il fallimento del mercato, a partire da quello dell'impresa che "getta via" i prodotti, sostenendo un costo e delle inefficienze di non poco conto nel lungo periodo.
Quindi il progetto può essere inteso anche come una valida cartina di tornasole sull'attività di una azienda?
Sì, certo. Noi di LMM vogliamo puntare l'indice su di un aspetto quasi ovvio: i rifiuti inquinano e, pertanto, costano. Per contrastare questo fenomeno, abbiamo pensato a due misure: la doppia etichetta per i beni in scaffale - una con scadenza commerciale e l'altra di consumo - e il prezzo scontato del 50% per i prodotti in scadenza. LMM vuole in questo modo non solo coniugare solidarietà con sostenibilità, ma soprattutto educare al consumo. Non demonizzare chi consuma, ma invitare a farlo meno, e soprattutto meglio.
È un'esperienza facilmente replicabile anche in altri contesti? E quali sono i vantaggi per le aziende che aderiscono a questo progetto?
Sì, e - piano piano - sono stati ammessi a questo particolare circuito anche prodotti non alimentari, come farmaci e libri. Perché il sistema funzioni deve essere necessariamente sostenibile e appetibile. Tutti devono vincere, in special modo l'impresa che, oltre a risparmiare i costi di smaltimento dei beni invenduti e a ridurre le eccedenze di magazzino, donando tali beni ad enti caritatevoli, può anche recuperare l'Iva (al 4%). Proprio in tema di deducibilità fiscale, grazie al nostro impegno, oggi è possibile ottenere sgravi fiscali anche per quelle imprese che rimettono in circolo beni non alimentari che, altrimenti, andrebbero sprecati. Questo è possibile facendo ricorso alla legge antisprechi, ispirata al lavoro di Last Minute Market e presentata per la prima volta nel 2004, allo scopo di recuperare l'intera gamma di prodotti non alimentari per offrire un'assistenza completa alle fasce deboli della società. Uno shampoo con il tappo rotto, ad esempio, per chi lo vende non ha più alcun valore commerciale, ma può essere utile a chi non può permettersene l'acquisto. Grazie alla legge antisprechi, però, lo stesso shampoo ridiventa interessante anche per il produttore del bene che, donandolo ad altri, può recuperarne l'Iva. Il senso di tutto ciò è riuscire a riorientare la produzione e il consumo verso un modello più sostenibile perché se va in crisi la produzione, inevitabilmente va in crisi anche il consumo.
Il mondo del consumo è ormai giunto a fine corsa per cedere il passo a quello che lei definisce nel suo ultimo libro "l'ecostile".
A quali valori dobbiamo dire addio e a quali invece dare il benvenuto?
Bisogna capire una volta per tutte che così come le risorse sono limitate, anche il consumo lo deve essere. Purtroppo a noi manca il gene dell'intelligenza ecologica e dobbiamo rimediare "imparando" ad essere non più così fedeli ai comportamenti usa e getta. Dobbiamo porci come obiettivo un consumo migliore di beni e prodotti, più consapevole e che ne valuti con attenzione l'impatto su noi stessi e sugli altri. Questa è la sfida dell'ecomondo e di quella che io definisco la società sufficiente: riuscire a fare di più con meno, cercando di ridurre i fallimenti del mercato e puntando più sulla qualità che sulla quantità.
Ivan Illich, grande fustigatore dello spreco, sosteneva che questo mondo ad alto consumo di energia è, inevitabilmente, un mondo a bassa comunicazione fra uomini. È d'accordo?
Sì, e non solo perché Illich è stato un nemico dello spreco ante litteram. Anni addietro, e tuttora - come detto - è così, in alcune comunità centro americane lo spreco non esisteva affatto. Il rifiuto ormai è chiaro che abitui e generi anche il rifiuto delle relazioni, mentre il recupero altro non fa che crearle delle relazioni. Positive e foriere di guadagno per tutte le parti in gioco. |