Tutto in in week end
IL GUSTO
Il sapore dell’ospitalità
Non è chiaro come e quando il caffè si sia diffuso in Italia e in Campania. Di caffè già si parlava in alcuni versi del Flos Medicinae Scholae Salerni, il più noto fra tutti i testi della famosa Scuola Medica Salernitana. È certo che a Napoli per tutto il '700 il caffè rimase nell'ombra, probabilmente a causa della sua cattiva fama. Si racconta infatti che perché nero (il colore del lutto) e amaro, il caffè doveva apparire la bevanda ideale per somministrare filtri senza essere scoperti. Finalmente nell'800 il caffè si diffuse, anzi dilagò a Napoli, divenendo simbolo di ospitalità e amicizia. Comparve nelle strade il caffettiere ambulante, provvisto di 2 “tremmoni” (contenitori) uno pieno di caffè, l'altro di latte, e di un cesto con tazze e zucchero. Famosi furono i Caffè napoletani, seppur nati con molto ritardo rispetto ad altre città come Venezia dove, nel 1640, si aprì il primo locale del genere in Europa, seguito nel 1660 dal famoso Procope a Parigi. Tra i Caffè più noti a Napoli il Caffè d'Italia, primo e subito sostituito dal Caffè d'Europa, il Gambrinus, il Caffè Aciniello, il Gran Caffè fornitore della Real Casa, il Caffè Vacca, il Caffè Pinto reso celebre da Leopardi, il Caffè Calzona, il Caffè Caflisch, e tanti altri. Grande popolarità conquistò in tutto il mondo la macchinetta napoletana, discendente della prima caffettiera a filtro costruita nel 1691 da Du Belloy, di cui è rimasto sconosciuto l'inventore. Se per Charles Maurice de Talleyrand, principe di Benevento, un buon caffè doveva essere «nero come il diavolo, caldo come l'inferno, puro come un angelo e dolce come l'amore», a Napoli vale la regola delle tre C: “caldo, carico e comodo”.
«Quando io morirò, tu portami il caffè,
e vedrai che io resuscito come Lazzaro».
(Eduardo De Filippo rivolto alla domestica
in “Fantasmi a Roma”)
La pasticceria napoletana
La pasticceria napoletana porta in sé il sapore delle diverse dominazioni della città. Dal passato più remoto provengono gli “struffoli”, la cui origine risale alla Magna Grecia, e le “chiacchiere”, di età romana, descritte da Apicio nel De re coquinaria. Arrivando a epoche più recenti va nominato il “babà”, portato a Napoli dai francesi, ma secondo la tradizione ideato nel Settecento dal principe polacco Stanislao Leszczynski. Risale infine al XIX secolo, precisamente al 1819, l'invenzione della famosa "sfogliatella” ad opera del pasticciere Pasquale Scaturchio, la cui pasticceria si trova oggi come 200 anni fa in via Toledo a Napoli.
Gli struffoli sono composti da numerosissime palline di pasta (farina, uova, burro, zucchero e aromi), fritte nell'olio o nello strutto e (dopo averle lasciate a raffreddare) avvolte in miele caldo. Per la decorazione si utilizzano pezzetti di cedro, o altra frutta candita, e confettini colorati (chiamati diavolilli). Nella cucina greca esiste ancora una preparazione simile, i Lukumates (ghiottonerie). Dal greco deriverebbe lo stesso nome dello “struffolo”, ossia della singola pallina che compone il dolce: precisamente dalla parola “strongoulos” o “stroggulos”, che vuol dire “arrotondato, tondeggiante”.
Della sfogliatella, invece, esistono più varianti: riccia, se preparata con pasta sfoglia; o frolla, se preparata con la frolla; la santarosa, da cui è nata la sfogliatella e la coda d'aragosta, una sfogliatella riccia molto più grande ed allungata. I napoletani amano mangiarla rigorosamente calda, appena sfornata. Ma la regina della pasticceria napoletana è senz'altro la pastiera, che nel periodo pasquale trionfa sulle tavole imbandite. Probabilmente ad inventarla fu una suora che volle in quel dolce, simbologia della Resurrezione, racchiudere tutto il profumo dei fiori dell'arancio del giardino conventuale. Alla ricotta mescolò una manciata di grano, emblema prezioso come l'oro della rinascita, aggiunse poi le uova, simbolo di nuova vita, l'acqua di mille fiori profumata come la primavera, il cedro e le aromatiche spezie asiatiche. Bravissime nella complessa preparazione della pastiera erano le suore del convento di San Gregorio Armeno che nel periodo pasquale ne confezionavano tante per le mense delle dimore patrizie e della ricca borghesia. |