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  Dicembre 2012

Articoli n?03
Aprile 2012
MISURE CRITICHE - Home Page

di Antonello Tolve
Critico d’arte







GLI SPAZI della CRITICA Il dibattito teorico attraverso le mostre 1980-2010 Anni Ottanta/2

L'ultimo ventennio del Novecento mostra una riflessione sui rapporti tra le varie tecnologie elettroniche e i nuovi campi del sapere umano


Accanto al ritorno nei recinti limpidi del linguaggio e alle grandi manovre della Transavanguadia (italiana e internazionale), gli anni Ottanta del Novecento mostrano una riflessione sui rapporti tra le varie tecnologie elettroniche e i nuovi campi del sapere umano.
A questo brano riflessivo è dedicato, sin dal 1983 (anno in cui Frank Popper organizza Elettra, una prima ricognizione tenuta al Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris), un palinsesto di esposizioni volte a seguire l'arte in tutte le sue varie declinazioni tecno‑scientifiche.
L'Immagine Elettronica, una mostra tenuta a Bologna negli spazi della Galleria comunale d'arte moderna (8‑13 aprile 1983), testimonia, in Italia, questo impegno.
Ora, nel 1985, proprio mentre Mario Costa organizza Artmedia, la prima fortunata Rassegna internazionale di estetica del video e della comunicazione [che segue, a distanza di un anno,
L'immaginario tecnologico (Benevento, 1984)] la cui avventura si conclude a Salerno nella sala conferenze della Fondazione Filiberto Menna, e mentre a Camerino negli spazi di Palazzo Ducale si aprono, a fine novembre (28‑30), le danze del Festival dell'Arte Elettronica, a Parigi, il CCI/Centre de Création Industrielle, uno dei due dipartimenti del Centre Georges Pompidou, chiude, dopo una serie di vicissitudini, un progetto le cui prime tracce risalgono al 1981. Si tratta di una mostra, Les Immatériaux, curata a due mani da Thierry Chaput e Jean‑François Lyotard, che si pone proprio con la nomina di Lyotard che nel settembre del 1983 «riceve l'incarico di curatore generale» come spazio sull'immaterialità «in tutti quei settori di lavoro e di ricerca in cui l'hardware tende a trasformarsi in software, lo schermo diventa un'interfaccia onnipresente e di pari passo l'esperienza sensibile sembra sempre meno presente e rilevante» (Francesca Gallo).
Nata, appunto, da una lunga e controversa gestazione Les Immatériaux rappresenta uno scenario variegato il cui modello si disegna tra le maglie della prammatica linguistica di Roman Jacobson.
Una scelta metodologica che, se da una parte ricorre al semiotico per illustrare e indagare il fenomeno immateriale da varie angolazioni, dall'altra plasma una mostra postmoderna in cui lo spettatore è libero di muoversi e di costruire, senza imposizioni, il proprio viaggio fisico e metaforico tra i dedali dei nuovi supporti elettronici e la manipolazione genetica che porterà, nel decennio successivo, ai brani del Post‑Human. Suddivisa in una sessantina di sites (termine che Lyotard ricava dal Salon du 1767 nel quale Denis Diderot descrive le opere di Horace Vernet come «des sites», appunto, «et non pas des Tableaux [...], pour une raison précise, comme si c'étaient des sites réels dans lesquels il se promènerait»), Les Immatériaux sgualcisce la linearità narrativa per evidenziare la perdita di un centro.
E per mostrare, inoltre, il transito, la deriva, l'incompiutezza dell'uomo contemporaneo. Volutamente indisciplinata, la mostra di Lyotard propone, così, una serie di salti pindarici e di spaesamenti emotivi che disegnano un manifesto visivo dell'instabile sensibilità postmoderna.

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