L'eclissi della BORGHESIA
INTESA Formamentis-Anfe
L'eclissi della BORGHESIA
L'università è diventata lo specchio dei peggiori vizi di una classe media che non c'è più. La frammentazione, lo spirito corporativo, la protezione di interessi personali, hanno dilagato a scapito della qualità della didattica
Vittorio Paravia
Presidente Fondazione Antonio Genovesi Salerno-SDOA
Vice Presidente ASFOR
A volte la lettura di un libro può gratificarci più del previsto.
Accade ad esempio quando
nelle sue pagine ritroviamo alcune intuizioni e deduzioni su fenomeni sociali che rielaboriamo in base alla nostra esperienza.
Nell'occuparmi di formazione e occupazione giovanile su questa pagina, ritengo sia pertinente riportare integralmente un passo sulla realtà dell'istruzione universitaria tratto da "L'eclissi della borghesia" dell'illustre professor Giuseppe De Rita e del giornalista Antonio Galdo, in cui si rileva che la gerontocrazia e la scarsa mobilità hanno investito diversi settori del sociale italiano, creando una palude dell'indistinto che copre il mondo delle corporazioni «dove le professioni sono finite per trasformarsi in trincee, luoghi dove mettersi al riparo ben distanti dalla vita pubblica, mentre in passato proprio nell'universo professionale si erano formate comunità di classe dirigente.
C'è ancora un ulteriore punto di osservazione per misurare la deriva corporativa e familistica della borghesia italiana: quello dell'università, che si è andata sempre più scollegando dal mondo dell'economia, riducendo gli essenziali investimenti in ricerca e formazione.
Nel nome di un'autonomia che doveva significare piuttosto maggiore responsabilità e più qualità, il sistema universitario è stato lottizzato e dilatato, riducendosi alla somma algebrica di tanti singoli feudi. Sedi, corsi, lauree, cattedre, parenti in carriera: tutto si è moltiplicato.
Abbiamo creato così un campanilismo
accademico come versione caricaturale dell'Italia dei comuni: 42 corsi di laurea hanno meno di 5 iscritti, 327 non superano i 15 iscritti, 37 hanno un solo studente. Abbiamo moltiplicato atenei (sono 95), sedi distaccate (370) e materie di insegnamento, diventate 170mila a fronte di una media europea di 90mila...
I corsi di laurea sono diventati quasi 6mila, in una babele di sigle e di nomi…
La proliferazione dei corsi, compresi quelli senza studenti, ha spalancato le porte a scambi di cattedre, incarichi, posti e favori...
Nel frattempo l'età media di ingresso di un professore ordinario si è alzata fino a 55 anni, solo 16 docenti su 100 hanno meno di 40 anni, e i ruoli di rettori sono stati considerati incarichi a vita con mandati rinnovati, sempre alla stessa persona, anche per sei volte consecutive. L'università è diventata lo specchio dei peggiori vizi di una borghesia che non c'è...
A pagarne il conto sono stati gli studenti. Nella classifica delle prime 150 università del mondo non compare neanche un ateneo italiano e anche questo spiega perché circa 45mila giovani hanno deciso di andare a studiare all'estero. Per non tornare in Italia…».
Vorrei pertanto consigliare un'attenta lettura di questo testo che, nell'esaminare cause ed effetti di una categoria sociale che necessita di ridefinirsi per una più equilibrata ecologia sociale, rivela orizzonti politici molto inquietanti a danno di una società già duramente provata dalla crisi globale e dal debito virtuale.
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