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  Dicembre 2012

Articoli n?03
Aprile 2012
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Riforme: «Chi le fa bene RIPARTE»

SarÀ Giorgio SQUINZI il prossimo PRESIDENTE di CONFINDUSTRIA


Riforme: «Chi le fa bene RIPARTE»

Il nostro Paese ha innanzitutto bisogno del risanamento macroeconomico, presupposto indispensabile per innescare il cambiamento


di Raffaella Venerando

Luca Paolazzi
Direttore CSC Confindustria

Direttore Paolazzi, nel corso del convegno biennale del
Centro Studi di Confindustria lei ha evidenziato che non solo il nostro Paese è affetto da tempo da mancanza di crescita ma, nello specifico, è malato di "lenta crescita". Cosa vuol dire e da cosa dipende in buona sostanza questa performance negativa?

Negli ultimi dieci anni l'Italia ha avuto una dinamica di crescita del Pil molto più bassa di quella avutasi in altri Paesi, facendo registrare un +3,8% contro il 23% della Spagna, il 22% della Svezia, il 9,5% della Germania e il 7,6% del Giappone.
Se confrontiamo, poi, questo dato con l'andamento della popolazione, constatiamo che il nostro è tra i paesi principali l'unico ad aver riportato un segno negativo ‑2,3% per il prodotto interno lordo pro‑capite, contro il +7,4% di Spagna, il 16,4% della Svezia, il 6,3% di Stati Uniti, il +4,9 di Francia e il 10,1% della Germania.
Questa lenta rescita però ha a ben guardare un significato molto più ampio della sola misurazione del Pil; per noi crescita equivale, in realtà, all'attitudine e alla capacità di cambiamento, non esclusivamente ad un aumento di volumi o quantità delle cose prodotte e/o acquistate e consumate.
Tali valori pertanto esprimono la difficoltà maggiore del nostro Paese, rispetto ad altri suoi competitor, di adattarsi ai mutamenti esterni, difficoltà che, inevitabilmente, si riflette negli indici di competitività e di redditività insoddisfacenti.

Nel suo studio, lei descrive una Italia che, dagli anni '70, via via è andata ingessando la propria economia. Questo fenomeno, però, non è stato immediatamente percepito come deleterio per il Paese perché le sue conseguenze più gravi sono state mistificate ricorrendo all'uso di quelle che lei definisce droghe…
Dalle stime effettuate sull'andamento del Pil, pare che il nostro Paese abbia contratto la malattia della lenta crescita solo nella seconda metà degli anni Novanta quando le nostre performance si sono distaccate considerevolmente da quelle delle altre maggiori economie, distacco accentuatosi ancor di più nel decennio 20002010.
In effetti, però, ed è questo uno dei messaggi sottesi al nostro studio le radici della mancata crescita sono da rintracciare più lontano nel tempo, ovvero alla metà degli anni '60, anche se il lento deteriorarsi della situazione è stato "coperto" dall'uso di alcune leve che hanno evitato all'economia e alla società di bloccarsi del tutto: massicce svalutazioni del tasso di cambio, un'alta inflazione che ha dato modo agli italiani di illudersi che il proprio benessere personale aumentasse grazie alla concessione di incrementi salariali superiori a quelli della produttività, l'accumulo del debito pubblico.
Questi sono stati i veri ostacoli al cambiamento.
Il nostro Paese si era fatto artefice di una straordinaria performance economica nel dopoguerra, passando da paese contadino a realtà industriale, ma successivamente il suo sviluppo si è arrestato perché non siamo stati capaci di fare il passo ulteriore e divenire, così, leader anche nel cambiamento tecnologico.

Pur avendone quindi bisogno, nel nostro Paese da troppi anni non si mettono in piedi le necessarie e buone riforme.
Lei sintetizza i passi necessari perché questo accada…

Dal confronto internazionale è emerso che occorre tenere presente nove regole per fare bene le riforme. Innanzitutto acquisire la consapevolezza che le crisi non sono completamente dannose ma, se ben gestite, addirittura aiutano. L'errore commesso negli ultimi anni è stato proprio quello di dissimulare sulla esistenza e la entità stessa della crisi, sprecando così l'opportunità di innescare una fase di cambiamento così come invece il Governo sta provando a fare attualmente. In secondo luogo, vanno comunicati con efficacia i frutti delle riforme, evidenziando e qui veniamo alla terza e quarta regola i costi dello status quo e le categorie più colpite da esso anche in termini di prezzo da pagare per le mancate riforme.
Inoltre altra regola aurea è preferibile che le riforme vengano fatte tutte insieme, seguendo un disegno coerente, perché in questo modo i vantaggi derivanti da esse si rinforzano vicendevolmente, mentre al contempo si compensano gli eventuali squilibri a danno dell'una o dell'altra categoria.
Occorre poi una maggioranza coesa, non importa quanto ampia ma unita e compatta negli intenti; serve inoltre continuità e perseveranza nel tempo perché il cambiamento possa attecchire e incidere sui comportamenti.
Tra tutte le riforme di cui il nostro Paese ha necessità le esperienze indicano il risanamento macroeconomico come il passo più importante da compiere, perché è questo l'elemento che innesca il mutamento di comportamento in tutti gli operatori.

Sempre nello studio si rimarca che la crescita può più che triplicare se si risolve una volta per tutte il problema numero uno: la produttività del lavoro.
La produttività del lavoro è di certo il problema numero uno. Per migliorare le performance il Governo deve agire su leve specifiche: conoscenza, concorrenza, burocrazia e partecipazione al lavoro.

Viene da sé, pertanto, che un ruolo fondamentale è quello che la politica deve svolgere in questo particolare momento storico ma anche e soprattutto domani…
Oggi il Governo tecnico di Monti sta facendo da supplente ad una gestione politica interrotta lo scorso novembre 2011. Bisogna però fin da ora pensare al dopo elezioni della primavera del 2013, a come si tornerà a gestire l'Italia. La politica dovrà essere capace di mutare pelle, puntando al miglioramento delle proprie funzioni.
In questo senso bisogna insistere perché si creino delle condizioni necessarie non più procrastinabili. Più nel dettaglio, bisogna che si crei una sana competizione tra opposti schieramenti, che si assecondi la formazione di maggioranze coese, con la riforma elettorale e con l'adozione di norme parlamentari antitrasformismo; va resa più efficace l'azione del governo con procedure parlamentari sulla fiducia costruttiva e il superamento del bicameralismo perfetto, così come va posta la fine al fenomeno dei doppioni di ruolo tra Senato e Camera.
La politica deve tornare in sintesi a scegliere, a decidere, a farsi promotrice delle giuste e indispensabili riforme perché il nostro Paese torni a svolgere un ruolo di primo ordine nello scacchiere internazionale.

L'Italia può seguire modelli o lezioni premianti di altri Paesi? Con quali differenze?
Seppure ciascuna storia di un Paese ha una propria specificità, è possibile rintracciare delle regole costanti, dei punti di contatto in comune utili come esempio cui ispirarsi. Per similitudini, il percorso del nostro Paese può essere accomunato a quello della Svezia e della Germania.
Entrambe queste nazioni hanno sofferto in passato di una crescita insoddisfacente, ma ambedue hanno saputo reagire operando dei netti cambiamenti e tagliando radicalmente con scelte politiche del passato rivelatesi inadeguate. È questa la sfida che il nostro Paese ora non deve lasciarsi sfuggire.
Anzi, dobbiamo essere capaci con coraggio e lungimiranza di affrontarla e vincerla.

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