I 90 anni
di Confindustria Salerno
Cultura e Impresa
La Giunta di Confindustria Campania all’UniversitÀ degli Studi di Salerno
trasporto persone:
un settore in cui investire
edilizia e giustizia
edilizia e giustizia
I due termini sono legati a mondi strettamente e intimamente correlati
Antonio Lombardi
Presidente Ance Salerno
“Edilizia e giustizia” è il tema scelto dal Gruppo Giovani Imprenditori Edili della Campania per il terzo convegno svoltosi a Positano il 16 e 17 aprile scorsi, e che si è concluso con il rinnovo dei vertici regionali dei giovani costruttori (nuovo presidente è stato eletto il napoletano Massimiliano Laux che sarà affiancato, tra gli altri, anche dalla salernitana Rosaria Chechile, vice presidente).
Un tema di enorme suggestione, che è valso non solo a presentare uno straordinario progetto legato ad uno dei più gravi - ma anche cronici - problemi del nostro Paese, la carenza e l’inadeguatezza delle strutture carcerarie, ma anche a riproporre una complessa serie di problematiche che mai come oggi frenano e congestionano un comparto che ha l’assoluta necessità di invertire un trend congiunturale estremamente preoccupante. Legato indubbiamente alla crisi economica, ma non solo.
“Edilizia e giustizia”, sono due termini legati a mondi strettamente e intimamente correlati, giacché da un lato rimarcano l’esigenza “giusta” di riconoscere e garantire alla collettività strutture ed infrastrutture idonee e funzionali; dall’altro però sottolineano anche come altrettanto “giusto” sia riconoscere a chi è impegnato nella loro costruzione, ciò che gli è dovuto!
Due aspetti, due considerazioni apparentemente ovvie, ma che pure nella quotidianità si scontrano con mille incongruenze e tante situazioni “non propriamente conformi al giusto”, sia per via del comparto industriale, sia dell’autorità che giudica. Il riferimento è innanzitutto alla trasparenza delle gare d’appalto, ma anche all’attendibilità e all’efficacia degli strumenti antimafia, all’utilizzo improprio dei ricorsi e alla lentezza dei procedimenti. Tutte criticità che vanno ad impattare su tempi e costi di realizzazione, ma anche sulla fruibilità sociale dei beni realizzati.
Ma il problema di fondo è che una “giustizia giusta” necessita innanzitutto di strutture “giuste”: strutturalmente idonee cioè a svolgere appieno le proprie funzioni, garantendo agli operatori un tranquillo, ordinato svolgimento delle quotidiane incombenze. È un problema di enorme valenza strategica, che purtroppo si scontra con una situazione infrastrutturale - molto diffusa in Italia - che vede la giustizia in senso lato (il riferimento quindi è ai tribunali, ma anche agli altri uffici giudiziari e alle stesse case circondariali) operare in condizioni assolutamente inadeguate, precarie, quando non addirittura drammatiche.
Le case di detenzione necessitano di strutture fisiche appropriate entro cui operare, nuove infrastrutture destinate appunto alla Giustizia secondo parametri innovativi sia dal punto di vista della tecnica che degli strumenti economico-finanziari.
La proposta partita dal convegno di Positano è quella di dismettere il notevole patrimonio immobiliare di edilizia penitenziaria, quasi sempre inadeguato, insufficiente e obsoleto, in favore di un partenariato pubblico-privato rivolto alla realizzazione di nuove strutture basate su criteri di efficienza ed economia; l’idea di fondo cioè è quella di garantire la rieducazione dei detenuti, così come sancito dall’art. 21 della Costituzione Italiana, nonché di dare nuovo respiro ai centri storici di diverse città in cui le case circondariali risultano ubicate, attraverso l’adozione di nuovi strumenti legislativi ed urbanistici.
Strumenti che già esistono nel nostro ordinamento, ma che spesso si scontrano con lungaggini - quando non con atteggiamenti immotivatamente diffidenti e restii - che ne frenano l’adeguata e giusta diffusione: project financing, leasing in costruendo, permuta immobiliare. Eppure solo avvalendosi di queste opportunità e di questi meccanismi è oggi realisticamente possibile immaginare un progetto serio e adeguato di “rottamazione” dell’edilizia carceraria, giacché la pubblica amministrazione non è nelle condizioni economiche di attivare progetti di così ampia portata in tempi ragionevolmente brevi come la situazione impone.
Avvalersi di queste opportunità consentirebbe di delocalizzare le case circondariali - che in molti casi insistono in aree centrali della città con le conseguenti problematiche facilmente immaginabili - realizzando nuove strutture in linea con le più moderne esigenze detentive ma anche di svago, recupero e rieducazione dei detenuti. Del resto le odierne carceri non scontano soltanto gravi problemi di inadeguatezza e sovraffollamento: la loro stessa ubicazione rende improponibili (oltre che estremamente dispendiosi) eventuali interventi di adeguamento, ampliamento o anche mera ristrutturazione.
Meglio sarebbe quindi un piano straordinario - in questo sicuramente i giovani dell’Ance hanno centrato al cuore il problema individuando anche i percorsi e le modalità tecnico-operative d’investimento - che affronterebbe il problema dalla radice, evitando interventi palliativi.
Ma i due giorni di lavori hanno anche messo in luce tutte le possibili problematiche che andrebbero da subito affrontate per tradurre il progetto in un concreto piano di intervento sul territorio: primo fra tutti, l’imprescindibile necessità di accompagnare lo strumento operativo prescelto - sia esso project financing, sia esso permuta o leasing in costruendo - con simultanei provvedimenti di modifica della destinazione d’uso delle case circondariali “rottamate”. Imprenditori e investitori, cioè, devono essere messi subito nella condizione di “riconvertire” e rendere produttive queste strutture per ammortizzare i loro interventi. È proprio questo il passaggio che incute maggiore preoccupazione nel comparto dell’edilizia, giacché per problematiche varie - logistiche e burocratiche - queste tipologie d’intervento in Italia si impattano in lungaggini politiche e procedurali improponibili per un investimento che deve entrare a regime in archi temporali ben definiti.
Altri temi che hanno caratterizzato il dibattito di Positano, sono quelli della meritocrazia, della trasparenza e della legalità in senso lato nelle procedure di gara: oggi troppo spesso le istituzioni guardano al “risparmio economico” e non approfondiscono adeguatamente le implicazioni anche di carattere sociale che queste scelte comportano. Le critiche più aspre hanno ancora una volta riguardato il sistema di aggiudicazione col massimo ribasso che si traduce, troppe volte, in una vera e propria premialità per le aziende che operano al di fuori delle regole, che trascurano gli obblighi legati alla sicurezza e ricorrono, per contenere i costi, a lavoro nero e materiali scadenti. Un sistema che emargina e penalizza, ovviamente, proprio le aziende che invece lavorano nel pieno rispetto delle regole. Ben venga quindi un più ampio ricorso alle gare improntate al sistema dell’offerta economicamente più vantaggiosa, ma ricorrendo a procedure valutative chiare e trasparenti che disciplinino in qualche modo l’ampia - e forse eccessiva se non ben regolamentata - discrezionalità che questa procedura può innescare.
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