Appalti, Giudice amministrativo
e suoi costi
giustizia negata?
demansionamento
e mortificazione lavorativa
Appalti, Giudice amministrativo
e suoi costi
giustizia negata?
Emerge con chiarezza la linea del Legislatore di scoraggiare i ricorsi
al Giudice Amministrativo in materia di appalti
Luigi D’Angiolella
Avvocato
studiodangiolella@tin.it
Il decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53 (attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici), infatti, incide in modo grave e vessatorio sulle spese di giustizia che il cittadino deve sostenere, quando si rivolge al T.A.R.. In materia di contenzioso di appalti, il cosiddetto contributo unico (e cioè il versamento necessario allo Stato al momento dell’iscrizione a ruolo del ricorso) era già esagerato (quantificato in Euro 2.000.00, il quadruplo dei costi di altri ricorsi al T.A.R., per appalti di qualsiasi importo, da quello di 50.000 euro della piccola impresa di servizi, a quello miliardario delle grandi opere pubbliche). Addirittura, la nuova disposizione di legge (art. 15, comma III) aggiunge, solo in materia di appalti e non per altri ricorsi, che si dovrà ripetere il versamento per intero in quanto il contributo è dovuto «per i ricorsi in materia di procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, ivi compresi quelli per motivi aggiunti e quelli incidentali contenenti domande nuove». Si rimane decisamente sorpresi, visto che il contributo si chiama unificato perché appunto unifica tutte le debenze per le spese di giustizia, mentre invece la nuova disposizione impone un ulteriore versamento per le attività susseguenti al ricorso. Se si impugna un atto del procedimento ad evidenza pubblica (il bando, l’aggiudicazione provvisoria, il provvedimento di esclusione…) e si intende coltivare il ricorso, quando è necessario (quasi sempre) impugnando anche gli atti conseguenti, si dovrà tornare a versare questa vera e propria vessazione di 2.000.00 euro, e poi ancora 2.000.00 e così via. Con la nuova disposizione anche il ricorrente incidentale (in genere, chi ha vinto la gara) deve, ora, versare il contributo allo Stato, per cui chi viene trascinato in Tribunale, anche se in maniera capziosa e del tutto infondata, deve anticipare spese così consistenti.
Le conseguenze di questo agire, a mio avviso, sono molto gravi. Ed infatti, è del tutto evidente che il provvedimento legislativo in commento sfavorisce i ricorsi per gli appalti di minor valore e di conseguenza accentua la difficoltà di ottenere tutela giurisdizionale da parte dei soggetti economicamente più deboli, che sono quelli che più spesso ne hanno bisogno. Quella in materia di appalti è oggi una giustizia per i ricchi e per coloro che agiscono in contenziosi anch’essi “ricchi” e che ritengono congruo pagare questi costi fissi (al di là degli onorari agli avvocati) per la posta in gioco.
Tutto ciò è sbagliato, visto che il 60-70% degli appalti è sotto la soglia comunitaria e che l’Italia è fatta di piccole e piccolissime aziende, che partecipano a gare di importo modesto, e che a fronte di una evidente illegittimità, non solo non potranno adire il Giudice naturale degli appalti, ma, quel che è peggio, troveranno forte ostacolo nei costi addirittura per difendersi!
Ma allora sarebbe forse più onesto dire ai cittadini italiani e alle imprese che, in materia di appalti, i ricorsi non vanno proposti, misura certamente incostituzionale ma almeno sincera!
L’ulteriore conseguenza di tale ingiusto provvedimento è forse ancor più grave, perché è del tutto evidente che il cittadino, sussistendone i presupposti, anziché rivolgersi alla più morbida (e tecnicamente idonea) tutela amministrativa, cercherà di ottenere giustizia con esposti alle Procure della Repubblica e nei conseguenti processi penali, davanti alle quali sia consentito costituirsi parte civile.
Non mi pare ciò sia un progresso né un esempio di civiltà, e sorprende la miopia di certi provvedimenti.
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