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  Dicembre 2012

Articoli n° 04
MAGGIO 2010
 
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Appalti, Giudice amministrativo e suoi costi giustizia negata?

demansionamento e mortificazione lavorativa



demansionamento e mortificazione lavorativa

Il dipendente ha diritto ad adeguato risarcimento per danno da mobbing


Massimo Ambron
Avvocato
avv.massimoambron@fastwebnet.it

La Corte di Cassazione a Sezioni unite torna a pronunciarsi sulla delicata questione del demansionamento, che va assumendo sempre più rilievo in una situazione caratterizzata da grandi cambiamenti organizzativi, cui oggi assistiamo in un quadro di generale difficoltà economica e produttiva.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 4063 del 22.2.2010, si pronuncia in merito affermando che si è in presenza di demansionamento professionale sia quando il lavoratore è adibito a mansioni inferiori, sia, come nel caso di cui trattasi, allorchè al lavoratore non venga assegnato alcun compito e venga così costretto a periodi di inattività prolungate e ingiustificate.
In tal caso si è in presenza di demansionamento omissivo. La prova del danno subito dal lavoratore, sentenzia la Cassazione, è presuntiva, vale a dire può essere fornita in giudizio con qualsiasi mezzo, anche con presunzioni.
Il fatto. Un dipendente del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali svolgeva funzioni vicarie di direzione e coordinamento di uffici direttivi. A seguito ristrutturazione e riorganizzazione degli uffici, fu in un primo periodo costretto ad inattività essendogli stato sottratto il suo incarico, senza assegnazione ad altri compiti. Era stato sistemato in un piccola stanza senza neanche un computer.
Successivamente, il lavoratore fu adibito a mansioni professionalmente inferiori rispetto a quelli assolte in precedenza, nonché ad attività mortificanti che avevano comportato disturbi di natura psicosomatica che lo avevano costretto al pensionamento. Il dipendente chiese, quindi, la condanna del suo datore di lavoro al pagamento delle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori e risarcimento del danno da mobbing.
I Giudici di primo grado avevano riconosciuto al dipendente un risarcimento esiguo, che in secondo grado veniva ancora ridotto.
La Suprema Corte con la sentenza, che qui viene commentata, ha in conformità ad un orientamento giurisprudenziale consolidato ritenuto esiguo il risarcimento riconosciuto dai colleghi dei gradi precedenti. Così si legge, infatti, nella sentenza «la vissuta e credibile mortificazione accertata dalla stessa sentenza avrebbe dovuto comportare la configurazione di danno da mobbing anche a prescindere dal demansionamento e da uno specifico interesse persecutorio».
Ed ancora «l’esistenza del demansionamento è stata accertata dai giudici di merito in base ad una ricostruzione puntuale dei compiti affidati al dipendente dopo la sua assegnazione alla sede della direzione provinciale sino alla cessazione del rapporto di lavoro per pensionamento».
Di conseguenza, il datore di lavoro, che riorganizza le sue attività, può esercitare legittimamente il suo diritto di ius variandi, ma ha l’obbligo di agire in buona fede e correttezza nel rispetto della dignità e professionalità acquisita dal dipendente, al quale vanno assegnate al più presto nuove mansioni almeno equivalenti alle precedenti. Il dipendente, a sua volta, ha l’obbligo, da un lato di dare la necessaria collaborazione e disponibilità ai cambiamenti che sono ormai continui nel mondo del lavoro, dall’altra ha l’onere di prestare attenzione alla genuinità e correttezza dei provvedimenti ed esigere il rispetto della propria dignità personale e professionale.
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