L’acquisto di cosa futura è un’alternativa all’appalto, praticabile ma con molte cautele Al fine di provvedere a necessità di sedi istituzionali, immobili per uffici o spazi per nuove competenze, gli Enti Pubblici, talvolta, provvedono all'acquisto diretto dal costruttore, anziché all'ordinaria procedura dell'appalto pubblico. Le particolari esigenze progettuali di un ente pubblico fanno sì che l'istituto civilistico spesso utilizzato è l'acquisto di cosa futura.
In genere, viene pubblicato un avviso al pubblico con l'indicazione delle esigenze, ed il costruttore si dichiara disponibile a vendere un immobile con quelle caratteristiche da realizzarsi entro un certo periodo di tempo. L'ente, poi, sceglie l'offerta ritenuta più conveniente sul piano economico e funzionale.
Quali sono i limiti di tali iniziative? Ed esse, come si pongono rispetto alle regole comunitarie dell'appalto?
Già il Consiglio di Stato, in Adunanza Generale, con il parere n. 2 del 17 febbraio 2000 (richiamato anche dal Consiglio di Stato, Sez. V, n. 816 del 1° marzo 2005) affrontava il tema ritenendo la compravendita di cosa futura ammissibile anche per le PP.AA..
Tuttavia, l'Adunanza, tenendo conto anche delle preoccupazioni manifestate dalla Magistratura contabile, rilevava la necessità di apposizione di rigorosi limiti esterni ed interni al potere di contrattare in questa forma.
Tali condizioni possono, anzitutto, riassumersi nella necessità - dettata dalla finalità di evitare intenti elusivi del principio generale e tendenziale del procedimento d'appalto - che l'Amministrazione valuti prima la possibilità di ricorrere alle procedure di realizzazione delle opere pubbliche e, ove ne verifichi la non praticabilità per speciali e documentate esigenze di celerità, funzionalità ed economicità, scelga di acquisire l'immobile secondo il meccanismo della compravendita, sempre, però, attraverso una formale procedura ad evidenza pubblica, con le garanzie tipizzate dalla legge, per individuare l'offerta migliore.
Ne segue che le numerose iniziative degli Enti pubblici che cercano sul mercato immobili non sempre rispondono ai canoni di trasparenza ed imparzialità che vanno invece richiesti e, talvolta, si sostituisce artificiosamente l'ordinaria procedura dell'appalto.
L'acquisto di cosa futura è un'alternativa praticabile ma con molte cautele, e di ciò è bene che tengano conto non solo gli enti acquirenti, ma anche le imprese che vendono, visto che, in taluni casi, la violazione di norme imperative potrebbe rendere i contratti nulli.
Da un lato, dunque, le Amministrazioni devono escludere qualsiasi altra possibilità di appalto prima di ipotizzare l'acquisto da un costruttore. Dall'altro, le stesse imprese costruttrici dovranno essere coscienti che ci si trova di fronte ad un'ipotesi residuale e sottoposta, per sua natura, a rigorose forme, diverse da quelle di una normale compravendita.
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