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  Dicembre 2012

Articoli n?08
OTTOBRE 2012
FISCO E IMPRESE - Home Page
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L'INNOVAZIONE FISCALE PRESUPPOSTO DELLA CRESCITA

CERTIFICAZIONE E COMPENSAZIONE DEI CREDITI VERSO LA PA

CREDITO D'IMPOSTA PER L'ASSUNZIONE DI LAVORATORI SVANTAGGIATI

PARTECIPATE A FINE CORSA Cronaca di una morte annunciata


L'INNOVAZIONE FISCALE PRESUPPOSTO DELLA CRESCITA


 MARCO FIORENTINO
Fiorentino Associati SynergiaConsulting Group


In tutti i consessi istituzionali, la "crescita" è diventata la nuova parola d'ordine per uscire dalla crisi del debito sovrano. Se ne parla con tanto vigore da farle assumere la natura di grande scoperta del terzo millennio. Le cose, è ovvio, non stanno così. Negli ultimi anni, l'esigenza di aumentare il PIL è stata sempre chiara e decine sono stati i provvedimenti di legge aventi tale obiettivo. Si possono, a piacimento, ricordare le leggi per il Mezzogiorno (Motore della crescita!), le lenzuolate di Bersani, le norme per l'edilizia di Berlusconi, e tante altre, fino al pacchetto Monti.
Il risultato è noto. Abbiamo solo accumulato un debito pubblico da primato, i consumi interni hanno decrementi a due cifre, la produzione industriale sembra post bellica e per una sentenza civile di primo grado occorrono quasi tre anni. È sempre dannoso, quindi, affidarsi al solo potere taumaturgico delle parole, senza avere un progetto organico. La "Crescita" non è una scelta (chi vuol "decrescere"?) ma è un risultato. E tale risultato in economie mature è figlio di politiche innovative organiche, partorite da menti libere, che riscrivano un nuovo modello di società e che siano capaci di farlo adottare. Pertanto, è l'innovazione il vero paradigma per il rilancio. Innovazione vera però; non posticcia o contrabbandata.
Esempio lampante è l'ambito tributario, dove, peraltro, il verbo "riformare"è di casa. Tralasciando la questione spinosa della sostituzione dell'ILOR con l'IRAP, che ha portato alla paradossale situazione di pagare le tasse sulle perdite, l'innovazione in campo tributario ha sempre proceduto a fasi alterne (stop and go), con l'aggravante di non riuscire a fare esperienza dagli errori del passato. Tutti sappiamo, ad esempio, che nel passato le norme fiscali osannate per la crescita del capitale di rischio (Dual IncomeTax) sono miseramente fallite, perché prevedevano vantaggi fiscali talmente bassi da non convincere gli imprenditori ad una inversione di rotta nella sottocapitalizzazione delle loro imprese.
Come pure, del tutto ininfluenti si sono dimostrati gli interventi fiscali finalizzati ad aumentare il flusso di finanziamenti alle imprese, attraverso l'alleggerimento del prelievo sulle rendite del finanziatore (si pensi alle ritenute sui proventi delle obbligazioni della Banca del Sud), in quanto tali strumenti non agevolavano gli investimenti, ma solo il guadagno di chi metteva i soldi. Interventi fiscali di secondo livello, quindi, utili laddove il primo livello, il denaro, sia disponibile ad essere dirottato sulle imprese, solo sulla base del risparmio fiscale per il prestatore, e non invece in base al "rischio Paese" o all'appealing imprenditoriale.
Orbene, è disarmante constatare che, trascorsi quasi 15 anni dall'abolizione della DIT, il Governo abbia riproposto, per lo stesso obiettivo e con la stessa liturgia, la medesima norma cambiandone nei fatti solo il nome (ACE) e il medesimo risparmio e che, nonostante lo scarso interesse dimostrato per il risparmio sulle cedolari della Banca del Sud, oggi venga riproposto il medesimo schema per le obbligazioni emesse dalle società in project financing.
Sarebbe interessante sapere cosa fa ritenere che norme fiscali già inefficaci anni fa, possano avere oggi, peraltro in un contesto finanziario totalmente mutato, esito diverso. Se proprio si deve pescare dalle esperienze passate, allora, non v'è dubbio che sarebbero gradite norme che ebbero grande successo, quali quelle che defiscalizzavano gli investimenti (Legge Tremonti) oppure concedevano pingui crediti d'imposta (Visco Sud).
In buona sostanza, la norma fiscale finalizzata alla crescita ha successo quando interviene sugli investimenti dell'azienda, in modo diretto, con meccanismi semplici e risparmi significativi.
Norme fiscali con criteri diversi dilapidano denaro, non mordono e lasciano pure l'amaro delle parole a vuoto.
Ne consegue che innovare, in campo tributario, significa innanzitutto razionalizzare l'impiego delle risorse erariali, eliminando gli strumenti a vantaggio marginale o di scarso appealing, i cui beneficiari talvolta sono persino lontani dai capannoni, a favore invece di robuste riduzioni di imposte (non temporanee!) per le imprese che investono, non solo in beni tangibili, ma anche in attività immateriali.
Ma l'innovazione tributaria passa soprattutto attraverso la rimodulazione del rapporto fisco-imprese, semplificando in modo massiccio e risolutivo l'adempimento dell'obbligazione tributaria. Infatti, la pur lodevole esigenza di combattere l'evasione fiscale ha, nel corso degli anni, portato ad una bulimia di adempimenti e limitazioni, che rasenta il confine dell'irrazionale.
Sarebbe utile capire quanto costino in termini di PIL e di competitività la compliance fiscale richiesta dal Legislatore e la decurtazione dall'utile di quella parte di imposta nascosta nell'aumento forzoso del reddito, riveniente dal meccanismo delle indeducibilità. Si pensi allo spesometro, alle comunicazioni dati IVA, INTRASTAT, Black List, beni posseduti dai soci, e così via. E ancora, alle limitazioni poste alle compensazioni IVA e alla integrale deduzione dei costi, ecc.. Sono di questi giorni, poi, ulteriori avvisaglie di aberrazioni antievasione.
La prima è la introduzione, nella legge delega di riforma fiscale, del reato penale anche per le operazioni elusive, le quali invece, per loro natura intrinseca, non possono che avvenire in compliance con le leggi vigenti e possono essere censurate dal Fisco solo in via meramente interpretativa. Temo che nei prossimi anni gli avvisi di garanzia fioccheranno.
La seconda è una circolare ministeriale (n. 34 del 6.08.12), che considera inutilizzabile il credito annuale IVA (salvo rimborso!), nel caso di dichiarazione omessa, facendo assurgere a sostanza un adempimento formale. Tutto un armamentario di pesanti interferenze nell'impresa, che hanno, in concreto, un unico denominatore comune: la presunta incapacità del Fisco di effettuare controlli sistematici.
Tematica certo presente qualche anno fa, ma oggi, con i poteri di cui dispone l'Agenzia delle Entrate, del tutto superata.
L'innovazione vera deve partire da questo semplice sinallagma: da una parte, un unico adempimento dichiarativo, un unico risultato economico da tassare, una imposta nominale uguale a quella effettiva, dall'altra parte, sistematicità e certezza dei controlli.
La semplificazione dell'obbligo tributario, oltre che obiettivo di civiltà giuridica, è supporto allo sviluppo dell'impresa. Ciò, non solo in termini di minori costi nella gestione della fiscalità, che potranno essere utilmente reinvestiti nella produzione di ricavi, ma anche in termini di minor rischio per l'impresa di infrangimento di norme, e quindi di maggiore appealing del Sistema Italia, che al momento, giova ricordarlo, è in una posizione di classifica a tre cifre. È auspicabile che nell'agenda dell'innovazione ampio spazio sia dedicato alla questione tributaria anche se, come sempre, le idee camminano sulle gambe degli uomini.

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