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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DICEMBRE 2009
 


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SALUTE

a cura di Raffaella Venerando

Nasce la nuova dietab
antidelusione/2

Sempre più vicini a conoscere a fondo i gusti dei pazienti così da costruire programmi alimentari “su misura” dei differenti gusti

Diabesità è la nuova sfida del secolo: il numero dei diabetici obesi - da qui il termine ”diabesità” recentemente coniato - sta aumentando. Le cifre sono drammatiche: in Italia su 100 malati di diabete di tipo 2, ben 80 sono anche obesi. Questi numeri acquistano una valenza molto significativa se si considera che i diabetici in Italia sono 4 milioni e che un milione non sa di esserlo. Ecco perché l’Associazione Italiana di Dietetica e Nutrizione Clinica-ADI ha portato il problema della diabesità alla ribalta dell’”Obesity Day”. La stretta correlazione fra diabete e obesità non è molto nota soprattutto a chi dovrebbe fare di tutto per prevenirla. Molti obesi non sono a conoscenza che dietro l’angolo è in agguato anche il diabete insieme ad un alto rischio di malattie cardiovascolari. «Alla base del rapporto diabete di tipo 2/obesità- dice Giuseppe Fatati coordinatore dell’Obesity Day- ci sono due elementi: l’insulinoresistenza e la compromessa funzione della cellula beta-pancreatica. Purtroppo molta confusione e approssimazione sono legate a due dati di fatto reali: una confusione scientifica intorno alla sindrome metabolica, che solo recentemente ha trovato un riconoscimento di entità clinica, e la visione glucocentrica e non lipocentrica della Ricerca. Traducendo questo concetto è importante sapere che l’aumento di peso può portare ad un aumento del tessuto adiposo addominale che è resistente all’azione antilipolitica dell’insulina e quindi va incontro ad un rimodellamento con aumento degli acidi grassi liberi a livello epatico e muscolare. Semplificando ancora, l’insulinoresistenza muscolare ed epatica conseguente è responsabile dell’aumento della glicemia e innesca la cascata metabolica che porta al diabete. La diabesità va ad inquadrarsi nel vasto discorso della conoscenza delle cause d’insorgenza del diabete di tipo 2. Siamo ancora alle prese con l’enorme complessità di un processo patologico in cui quasi ogni aspetto del metabolismo dell’organismo va nel verso sbagliato. La diabesità, quindi, è una sfida anche per il mondo scientifico non solo per quello sociale».
“Ogni persona ha i suoi gusti”, dice una massima popolare e la Ricerca lo conferma. Molte persone abbandonano la dieta perché la ritengono mortificante, priva di quei sapori cui erano abituate. Fino ad ora il dietologo s’informava sui gusti del paziente e cioè sulle sue preferenze fornendo una risposta approssimativa. Adesso il medico è in grado di conoscere il gusto del paziente con un metodo che è stato illustrato alla presentazione di”Obesity Day 2009”. Ma in cosa consiste questo nuovo metodo? «Tutto inizia - sottolinea Fatati - dal sapere che il senso del gusto è il principale fattore che condiziona la volontaria ingestione dei cibi. I recettori, disseminati sulle papille gustative linguali e nelle cellule endocrine, dialogano con i geni che sono alla base delle differenze nei singoli individui dei livelli di appetito, della percezione dei sapori, della tendenza ad ingrassare e dell’obesità. Ciascuno di noi percepisce in modo diverso i sapori: dolce, acido, amaro e salato e, l’umami, cioè glutammato. Tra poco tempo dovremo avere a disposizione un esame molto semplice: il paziente che vuol dimagrire, con l'aiuto di un esperto è invitato a compilare un questionario sugli aspetti del suo stile di vita. Poi gli viene chiesto di assaggiare quadratini di carta imbibiti di Aloina, (C-glucoside dell'emodine dell'aloe, cioè uno zucchero), Cinarina, presente nel carciofo, ed estratti amari presenti nei cavoli nonché la PTC (phenylthiourea). Tali sostanze, fatta eccezione per la PTC in quanto composto sintetico, sono presenti negli alimenti di consumo giornaliero. Dopo averle assaggiate, il paziente esprime un giudizio sulle sensazioni di sapori percepite. Dalle sue risposte si avrà la mappa fenotipica del singolo cioè la capacità di apprezzare i sapori. Un campione di saliva permette analisi genotipiche per i geni TAS1R, TAS2R e TAS3R e analisi statistiche multivariate consentono di approfondire i rapporti tra capacità di percepire sapori standard e i comportamenti dell’individuo: abitudine al fumo, uso d’alcolici e di caffé, la preferenza o meno di una varietà di cibi. Una volta conosciuti i gusti del paziente, il medico ha un tassello in più, molto importante, per costruire il mosaico della dieta. Il futuro non sembra tanto lontano perché è in fase di programmazione un “progetto pilota” presso l’Unità di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica dell’Azienda Ospedaliera “S. Maria” di Terni in collaborazione con il Professor Roberto Barale del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa».
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