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  Dicembre 2012

Articoli n° 10
DICEMBRE 2009
 


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Boccia presidente della Piccola Industria

Fonti rinnovabili e nucleare OpportunitÀ per il sistema Paese

Fonti rinnovabili e nucleare OpportunitÀ per il sistema Paese

di Andrea Costato, Vice Presidente Confindustria per l’Energia e il Mercato

All’opinione pubblica, al Governo e all’Italia tutta sarà richiesto un grandissimo sforzo
in termini di visione e ricerca di nuovi equilibri


È fondamentale promuovere la creazione di una industria nazionale che operi in ogni fase della filiera

Andrea Costato
Lo sviluppo delle fonti rinnovabili e la rinascita del nucleare rappresentano due grandi sfide che il nostro Paese è chiamato ad affrontare e a trasformare in opportunità di crescita industriale e occupazionale proprio in un momento congiunturale caratterizzato da una aggressiva crisi economica.
Entrambe spingono nella direzione della ricerca e dell’innovazione. Entrambe possono contribuire al recupero e allo sviluppo di competenze specifiche in un Paese come il nostro, la cui unica riserva in materia di energia è quella dell’ingegno.
L’obiettivo del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili nei consumi energetici finali che l’Europa ha assegnato all’Italia rappresenta da una parte una importante opportunità per delineare un mix energetico che garantisca una maggiore sostenibilità in ottica economica, geopolitica e ambientale, dall’altra un’occasione di sviluppo dell’industria di settore. Tuttavia bisogna valutarne anche la sostenibilità sotto il profilo tecnico ed economico, ed attualmente gli alti costi di incentivazione destano forti preoccupazioni nel sistema industriale.
Nel 2008 il costo di incentivazione delle fonti rinnovabili è stato di 1,6 miliardi di euro, con esclusione dell’incentivo delle fonti assimilate. Si stima che il raggiungimento dell’obiettivo fissato dalla nuova Direttiva, per il solo settore elettrico, avrà un costo nel 2020 di circa 8,2 miliardi di euro, con un incremento del costo medio dell’energia elettrica consumata di circa 21 euro/MWh. Devono essere quindi rivisti i meccanismi nel loro complesso per inseguire l’obiettivo non di “distribuire incentivi”, ma di produrre il massimo di energia da fonti rinnovabili al minor costo possibile, contenere al massimo i consumi di energia primaria aumentando l’efficienza energetica. Il chilowatt più economico, infatti, è quello che non si consuma. Ciò porterà con sé come inevitabile conseguenza il rilancio di competenze per le quali l’Italia è da sempre portatrice di una grande tradizione e un impulso al settore manifatturiero legato alla filiera dello sviluppo e del risparmio energetico.
Inoltre oggi i costi di incentivazione sono posti a carico della componente A3 della bolletta elettrica e quindi sono interamente pagati dai consumatori elettrici. Con un peso rilevante per le tasche dei consumatori perché rappresentano circa il 60% del costo degli oneri generali di sistema che a loro volta incidono per oltre l’8% sulla bolletta elettrica. È allora utile pensare ad una più equa distribuzione dei costi di incentivazione delle energie rinnovabili sulla collettività, realizzabile ad esempio attraverso l’allocazione di questi nei capitoli di spesa della finanza pubblica.
Contestualmente, al fine di cogliere realmente le importanti opportunità di sviluppo economico legate alla nuova politica energetica, è fondamentale promuovere la creazione di una industria nazionale che operi in ogni fase della filiera.
Per esempio nel settore fotovoltaico, le aziende italiane operano principalmente in quella parte della filiera, distribuzione e installazione degli impianti, con margini piuttosto contenuti (dal 7% al 17%). Invece a monte, cioè nella produzione e vendita della materia prima per costruire i pannelli fotovoltaici, dove i margini superano il 50%, l’import raggiunge addirittura il 98% e il restante 2% è rappresentato da imprese estere con filiale italiana. Lo stesso si può dire del comparto eolico.
Al fine di sviluppare un sistema produttivo nazionale solido è fondamentale assicurare alle imprese la certezza degli investimenti necessaria per poter accedere ai finanziamenti bancari. In tal senso il sistema dei certificati verdi mostra dei limiti sulla capacità di dare garanzie di lungo periodo agli investitori, sia perché l’obbligo di immettere in rete una quota di energia prodotta da fonti rinnovabili è verificato con cadenza annuale e quindi non consente ai produttori di energie rinnovabili di programmare nel lungo periodo investimenti, sia perché i certificati verdi sono oggetto di una forte volatilità di prezzo che pregiudica gli investimenti.
Per risolvere tale criticità si dovrebbe ipotizzare la definizione di un range di valore del certificato verde che rifletta il possibile andamento della domanda e dell’offerta sul mercato e che abbia una validità pluriennale (ad esempio 5-6 anni). Se si vuole legare lo sviluppo delle fonti rinnovabili alla crescita industriale e occupazionale del settore è necessaria inoltre un’azione sinergica tra il mondo scientifico e quello industriale per sviluppare nuove tecnologie in grado di rispondere alle esigenze della domanda nazionale e di reggere la sfida concorrenziale con i produttori internazionali.
In tal senso appare prioritario porre in essere una strategia di politica industriale che, nel lungo periodo, consenta all’industria nazionale di catturare la maggiore quota del mercato italiano di domanda di tecnologie rinnovabili e di penetrare nuove aree di mercato attraverso una politica rivolta alle esportazioni ed all’internazionalizzazione.
Inoltre, è necessario il coinvolgimento di tutte le Regioni che, come noto, nel nostro Paese hanno una competenza concorrente con lo Stato in materia di energia. A tal fine è indispensabile procedere ad una ripartizione del potenziale di sviluppo delle fonti rinnovabili in ogni singola regione, basata su considerazioni tecniche, valutando le potenzialità di risorse e impieghi presenti sul territorio, per responsabilizzare le autorità locali nel raggiungimento dell’obiettivo al 2020. Finora invece l’opposizione degli enti locali allo sviluppo delle infrastrutture energetiche rappresenta un forte limite alla penetrazione delle fonti rinnovabili e produce molteplici inefficienze.
Diverso il discorso per il nucleare, la cui rinascita è il frutto una scelta strategica e politica: strategica perché tesa a privilegiare la sicurezza del sistema energetico nel lungo periodo rispetto agli alti costi economici necessari per realizzare degli impianti e quelli discendenti dai condizionamenti al mercato che tale scelta porta con sé (le centrali devono avere priorità di consegna e quindi riducono la quota di mercato disponibile per le altre fonti). Politica in quanto tutto ciò che riguarda il nucleare (la scelta della tecnologia, la scelta dei siti, le regole di acceso al mercato, la rilevanza che deve avere all’interno del settore, gli obblighi in materia di smaltimento di scorie e di decommissioning, le eventuali compensazioni alle comunità che ospitano le centrali, i temi in materia di sicurezza militare e civile, eccetera) è il risultato di decisioni che deve prendere la politica.
Anche il ritorno al nucleare può essere un’occasione per ricostruire un’intera filiera, tecnica e delle competenze, per rimettere in moto tutto quel mondo legato alla ricerca e all’innovazione che ci ha visti protagonisti assoluti nel secolo scorso. Siamo consapevoli che non è la panacea visto che arriverà nella migliore delle ipotesi solo nel 2020, tuttavia è necessario puntare anche sull’atomo.
Al Paese, all’opinione pubblica e al Governo sarà dunque richiesto un grandissimo sforzo in termini di visione e ricerca di nuovi equilibri: uno sforzo giustificato però soltanto se i benefici saranno di sistema.

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