La crisi
della competitivitÀ
L’intervista a LUIGI NICOLAIS - Non basta spostare
la frontiera della conoscenza
L’intervista a FRANCESCO FEDI - Uno spazio comune
per la ricerca in Europa
L’intervENTO DI MAIO RAFFA - Cresce l’impegno
del sistema Campania
La crisi
della competitivitÀ
di Raffaella VENERANDO
Il difficile rapporto
tra imprese, università e laboratori di ricerca.
Ancora troppo esigua
la spesa statale
L’università potrebbe fornire
alle imprese
un valido aiuto
a migliorare
il proprio approccio all’innovazione
A valutare
i Progetti
di Innovazione Industriale sarà un’Agenzia
dedicata, diretta da Ezio Andreta
In aumento
la valorizzazione industriale
dei risultati
della ricerca
fatta da atenei
e laboratori
specializzati
Ricerca, innovazione e capitale umano sono divenuti i presupposti dell'aumento della produttività e del miglioramento della competitività del nostro Paese.
Proprio in ricerca e innovazione però l'Italia non vanta posizioni da primato.
Siamo agli ultimi posti nella classifica mondiale con una percentuale del pil destinata a questo settore solo dell'1,1%, a fronte di una media Ocse del 2,3% e di una europea che si attesta sull'1,8%.
La causa principale di questo ritardo è in parte attribuibile alla struttura del nostro sistema industriale: a differenza di altri Paesi - ad esempio degli Stati Uniti - esso è composto da tante piccole e piccolissime realtà che non solo non hanno la capacità finanziaria per investire in ricerca e innovazione, ma non riescono neanche a collaborare tra loro, risultando deboli e vulnerabili nella competizione globale.
Il problema di accesso all'innovazione quindi esiste, ma fortunatamente non è senza soluzione.
Oltre ad incoraggiare le piccole imprese a fare sistema, a confrontarsi con le grandi, a collaborare con il pubblico, diventa cruciale sostenere la ricerca e l'innovazione e attivare meccanismi efficaci di trasferimento tecnologico.
È indispensabile, infatti, favorire la diffusione delle informazioni dalle università e dagli istituti di ricerca verso le imprese, informando e sensibilizzando i nostri stessi ricercatori - tra i più citati al mondo - sulle diverse possibilità di trasferimento tecnologico e valorizzazione economica della ricerca.
Il Governo ha risposto a queste esigenze e i primi risultati stanno arrivando.
Già la Finanziaria 2007 ha previsto nuovi strumenti di finanziamento e incentivazione delle attività di ricerca e innovazione, introducendo un credito d'imposta del 10% dei costi sostenuti per attività di ricerca industriale e sviluppo pre-competitivo fino a 15 milioni di euro. Il credito sale al 15% se i costi sono riferiti a contratti sottoscritti con università ed enti pubblici di ricerca, al fine di favorire un più stretto coordinamento tra imprese e mondo scientifico.
Un approccio sostanzialmente diverso si ritrova nel programma “Industria 2015” del Ministro dello Sviluppo Economico Pierluigi Bersani, alla voce “progetti di innovazione industriale”. Questi infatti hanno lo scopo di coordinare l'azione di grandi imprese pubbliche e private, di distretti industriali e tecnologici, e del mondo della ricerca e dell'innovazione per garantire un riposizionamento strategico del nostro sistema produttivo.
Complessivamente l'intento è di agevolare la creazione di partnership tra università, centri di ricerca, imprese private e capitali finanziari sia in ambito nazionale che internazionale, per realizzare iniziative industriali a medio-lungo termine capaci di sostenere la competitività dell'industria.
Diventa reale la possibilità di incrociare una crescente domanda pubblica e privata di innovazione con l'opportunità di sviluppare nuovi servizi, valorizzare i risultati della ricerca scientifica più avanzata, rilanciare le eccellenze dell'industria manifatturiera, mettere a sistema università ed imprese con effetti sinergici: l'università potrà aiutare le imprese a migliorare il proprio approccio all'innovazione e, al contempo, beneficiare delle esperienze di imprese di successo, con ricadute positive a tutti i livelli.
Il Governo sosterrà mediante aiuti automatici per via fiscale (quali il cuneo fiscale e il credito d'imposta alla ricerca e agli investimenti) solo i progetti meritevoli per davvero.
A stabilire quali progetti siano da premiare sarà un ente terzo, autonomo e indipendente.
Lo scorso aprile infatti è stato firmato il Protocollo per la nascita dell'Agenzia per l'Innovazione (istituita con la Finanziaria 2006), che avrà come Direttore Ezio Andreta, il quale, insieme al Comitato scientifico e di indirizzo, dovrà lavorare allo Statuto dell'Agenzia.
Pochi compiti ma impegnativi: valutare i primi cinque progetti d'innovazione industriale inseriti in Finanziaria, analizzare gli scenari della competitività, progettare la formazione del capitale umano, promuovere modelli di collaborazione pubblico-privato. Per tutte queste finalità è stato confermato l'investimento di 5 milioni di euro.
Si passa quindi ai fatti, anche perché i primi progetti da valutare sono alle porte.
Primo fra tutti il programma del Progetto di Innovazione Industriale per l'Efficienza Energetica, entrato nella fase di presentazione delle idee progettuali.
Il Ministero dello Sviluppo Economico ha invitato le imprese e i loro partners (università, centri di ricerca, capitali finanziari) e le Regioni a partecipare alla strutturazione del Progetto di Innovazione Industriale presentando idee progettuali capaci di favorire il risparmio energetico e a dare impulso al comparto delle energie rinnovabili.
Responsabile di questo Progetto sarà Pasquale Pistorio, Vice Presidente di Confindustria per l'Innovazione e la Ricerca.
Pistorio si dice certo sui tempi: entro il prossimo settembre presenterà al Governo le idee progettuali selezionate, consentendogli di indirizzare le risorse del Fondo per la Competitività (istituito dalla Finanziaria 2007) verso il perseguimento degli obiettivi tecnologico-produttivi.
Nello specifico il Progetto di Innovazione Industriale di Efficienza Energetica - cui è stato assegnato il considerevole budget di un miliardo di euro da investire in tre anni - punta ad innescare processi di rapida diffusione di attività industriali, in grado di immettere sul mercato nuovi prodotti e tecnologie per la generazione di energia; accompagnare la riqualificazione di comparti industriali esistenti verso prodotti più efficienti; favorire la revisione dei cicli produttivi con lo scopo di ridurre l'intensità energetica delle lavorazioni.
C'è spazio per le grandi imprese, ma anche per le piccole solo se aggregate in consorzi e con progetti di buona consistenza.
Oltre a Efficienza Energetica, è pronto anche il secondo Progetto di Industria 2015, quello per la Mobilità Sostenibile.
A guidare lo staff di coordinamento sarà Giancarlo Michellone, Presidente di “Science Park” di Trieste. Il pacchetto di incentivi, che può contare su una dotazione di 350 milioni di euro, mira a finanziare grandi progetti tecnologici per trasporti ecocompatibili, sistemi di intermodalità e piattaforme logistiche, tecnologie per la mobilità urbana, per la sicurezza di merci e persone, per decongestionare i trasporti marittimi e terrestri.
Ancora in fase di potenza, invece, gli altri tre PII: Nuove Tecnologie per la Vita, Nuove Tecnologie per il Made in Italy, Tecnologie Innovative per i Beni Culturali.
Il Ministro Bersani, fautore di Industria 2015, garantisce che con i Progetti Industriali si è innescato un nuovo corso, fatto di un metodo assolutamente lontano dalle vecchie lungaggini burocratiche.
Parallelamente alle iniziative governative, in linea generale, pare che la sinergia pubblico-privato cominci in concreto a funzionare.
Altro fronte da monitorare, infatti, è l'incremento del numero di spin-off nel nostro Paese. I laboratori di ricerca universitaria sembrano finalmente avvicinarsi alle reali esigenze della produzione. Il sapere prodotto non serve più solo ad allungare di qualche metro la frontiera della conoscenza, ma è anche meglio “sfruttato”.
Cresce, infatti, la valorizzazione industriale dei risultati della ricerca da parte degli atenei e dei centri specializzati.
Si è imboccata pare la via della concretezza.
Non mancano di certo le difficoltà, prima fra tutte la scarsità di capitali disponibili per l'avvio di nuove iniziative e il lancio dei prodotti sul mercato.
Anche il nanismo imprenditoriale non è superato; ancora troppo spesso le imprese create - magari in spin-off - non riuscendo a venir fuori dalla piccola dimensione si vedono tagliate fuori dei mercati internazionali.
Del resto, quello degli spin-off è un fenomeno che ha preso piede di recente, intensificandosi solo dal 2000: l'80% degli spin-off attivi (454 in totale) è stato creato negli ultimi sei anni.
La maggior parte di questi è localizzato al Nord (62,1%), anche se il Mezzogiorno è l'area che cresce a maggiore velocità (13,9%), grazie soprattutto al sistema universitario di grande tradizione ed eccellenza.
Gli spin-off accademici non rappresentano certamente l'unica forma possibile di trasferimento delle conoscenze dal mondo della ricerca a quello imprenditoriale. È tuttavia indubbio che essi hanno grosse potenzialità, non solo perché consentono di sfruttare risultati di ricerca che, altrimenti non troverebbero altre vie di valorizzazione, ma anche perché ogni nuova impresa tende a fungere da “ponte” in grado di collegare permanentemente le università con il tessuto imprenditoriale e, più in generale, con il territorio. Seppur in miglioramento, la relazione tra mondo accademico e imprese non sempre è stabile e proficua. Ancora troppo spesso il percorso è accidentato a causa di alcune criticità dure a risolversi: la carente cultura imprenditoriale di larga parte del mondo accademico e la non consolidata cultura dell'innovazione nel mondo dell'industria minano fortemente il dialogo tra strutture di ricerca ed imprese.
L'Italia deve “pensare innovativo” per tornare ad essere competitiva, rilanciando la ricerca. Solo così - se si riuscirà a lavorare bene anche sulle cosiddette condizioni di contorno (infrastrutture, accesso al capitale umano, accesso al credito, legalità) - potremo dire di essere un Paese che da oggi pensa al proprio domani. |