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  Dicembre 2012

Articoli n° 05
GIUGNO 2007
 


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Chapeau - I suggerimenti enogastronomici di CostoZero

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Tutto in Un week end

Antonio Pisaniello,
maestro di ricercatezza alla locanda di Bu

 Ferdinando CAPPUCCIO

Quando si parla di Nusco immediato è il collegamento con un importante politico ivi residente; per i gourmet invece il borgo irpino si coniuga con Antonio Pisaniello e la sua “locanda di Bu”. Conosco da anni il 38enne chef irpino, da quando in una serata memorabile svoltasi nella cantina Mastroberardino, ho apprezzato le sue preparazioni che competevano con i grandi vini degustati. In quegli anni Antonio rafforzava la sua tecnica di cucina nell'avito “Gastronomo” di Montemarano, attualmente gestito dai familiari, facendo così quella “gavetta” indispensabile al curriculum di uno chef. Con l'apertura della locanda di Bu, Pisaniello ha realizzato la sua aspirazione: creare una cucina “originale”. Per capire il percorso compiuto, e, al contempo, cogliere gli sviluppi della gastronomia delle nostre zone, gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Che differenza c'è tra la cucina del Gastronomo e quella della locanda di Bu?
Non c'è differenza nella ricerca della qualità delle materie prime; è diversa invece la tecnica di cucina.
Che rapporto ha la sua cucina con la tradizione?
La mia cucina parte dalla tradizione; essa è infatti frutto del riaffiorare di ricordi, di gusti provati sin dall'infanzia. Penso che in ognuno di noi siano presenti, perché assorbiti e codificati nella mente, i sapori dei piatti cucinati in famiglia. Quei gusti, quando riaffiorano, sono da me rielaborati, alleggeriti nei condimenti, ma sono comunque alla base dei piatti preparati.
Ma allora non esiste un piatto del tutto nuovo?
Può succedere. La partenza è comunque sempre quella di utilizzare un prodotto presente in natura. Ad esempio se prendiamo il fiore di camomilla esso viene normalmente usato per tisane, ma nulla vieta che possa essere utilizzato, con altri prodotti, per la preparazione di un piatto. È necessario però lavorare attentamente sul prodotto, rifletterci, e creare dei piatti che raggiungano un equilibrio, senza che un gusto prevarichi su un altro.
 Come crea i piatti?
Quasi sempre sono pensati al di fuori della cucina. Mentre viaggio, mente converso, vengono fuori spontaneamente delle idee di piatti che poi sperimento.
In Irpinia sono molti i piccoli ristoranti che fanno cucina tradizionale; esiste spazio anche per loro?
Certamente sì! L'unico elemento che tutti devono ricercare è la qualità del prodotto, senza la quale si finirebbe per danneggiare se stessi e gli altri.
Esiste una cucina irpina?
Credo che esistano prodotti caratteristici dell'Irpinia ed una cucina dell'Appennino Meridionale. Infatti se analizziamo i piatti della Lucania, dell'Alto Casertano, del Beneventano, troviamo che spesso essi hanno grandi elementi in comune, con una diversa terminologia. Il peperone crusco, usato in Irpinia, è utilizzato anche nel Vallo di Diano, dove però è chiamato “suscellone”. Nel locale di Roma, dove collaboro, la Taverna di Ninco Nanco, presento la cucina dell'Appennino Meridionale e non mi sento assolutamente di aver tradito la mia matrice irpina.
E un polo gastronomico irpino?
Certamente c'è un movimento importante che ha come origine la qualità dei prodotti usati. Grande merito ha la famiglia Fischetti, dell'Oasis di Vallesaccarda, che ha tracciato un'importante via sulla quale molti di noi, ciascuno però con le sue peculiarità, si è immesso.
Qual è la sua scuola di cucina?
Sono un autodidatta. Sin dall'età di 14 anni ho lavorato in cucina, sia presso il Megaron, sia con mia madre. Credo che solo chi ha fatto una bella “gavetta” possa confrontarsi con gli altri e migliorare costantemente la sua tecnica.
Per finire, che deve fare la politica per aiutare la gastronomia?
Mi viene da fare una battuta: occorre sfruttare gli aiuti europei per incentivare la sosta ai ristoranti!

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