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Alla luce delle ultime evoluzioni internazionali del mondo dell'economia, si fa' sempre più chiara, all'orizzonte dell'imprenditoria targata PMI,
la valutazione se continuare ad investire, nel senso precipuo del termine, cioè aprire nuovi stabilimenti e centri di produzione in Italia.
La delocalizzazione degli impianti è sempre più una scelta obbligata dal mutare sfavorevole delle condizioni macroeconomiche interne.
Fino a pochi anni fa le multinazionali tendevano ad insediare nuove unità produttive, completamente indipendenti nella gestione, in Paesi a basso costo di manodopera.
Ultimamente alcuni di essi, leggi la Cina, sono diventati ancora più interessanti perché al loro interno si sta finalmente sviluppando, in maniera decisamente più veloce rispetto alle nostre
pigre realtà, un mercato di grandi consumi assolutamente inimmaginabile pochi anni fa. Sul lungo periodo l'apertura del mercato cinese è un vantaggio talmente strategico da compensare un
provvisorio squilibrio della bilancia commerciale dei Paesi industrializzati verso la Cina. Da un punto di vista un po' meno strategico, e più vicino alle imprese italiane, il problema della
concorrenza aggressiva indubbiamente sussiste. Se guardiamo le voci dell'import italiano dalla Cina troviamo nelle prime posizioni categorie merceologiche particolarmente sensibili per il nostro
Paese come borse, calzature, abbigliamento, elettrodomestici. Il rischio di declino di alcuni settori forti del Made in Italy sotto i colpi della concorrenza asiatica, e cinese in particolare, è
concreto ed evidente.
Il "pericolo giallo", insomma, sta arrivando. Nel settore tessile, ormai il Made in China, ma anche quello in India, è una realtà con cui tutte le tessiture come la mia devono fare i conti. Un
esempio per tutti: Birmingham ottobre 2003, scenario l'ITMA, la fiera mondiale per il macchinario tessile che si svolge ogni quattro anni. Anche per questa edizione, il record delle aziende
espositrici spetta all'Italia. Per molte imprese il risultato è stato eccezionale; le vendite, che in molti casi superano l'anno per la consegna, sono dirette per la quasi totalità a Cina, India
e ad una pletora di Paesi emergenti dell'Estremo e Medio Oriente, i Paesi africani del Mediterraneo, la Turchia e, infine, l'Europa dell'Est.
Altro dato interessante: la Cina segue l'Italia per numero di espositori ma con la freccia di sorpasso già innestata per la prossima edizione. Infatti, sono già leaders per la produzione di
macchine per maglieria ma fortunatamente il loro marketing è solo domestico, e neanche riescono a soddisfare pienamente le richieste interne. Ecco lo spiraglio, la tenue luce nel buio delle
nostre costosissime produzioni: questi mercati stanno crescendo, diventando sempre più ricchi ed esigenti, è qui che vince il Made in Italy. Recentemente anche il Sole 24 Ore dedicava un ampio
servizio ai mercati emergenti, snocciolando cifre e statistiche che in Occidente non si riscontrano più dagli anni '60. Nuove "sales" verranno quindi proprio da quei Paesi che attualmente ci
fanno tanta concorrenza. La scelta quindi, cui accennavo sopra, per l'imprenditoria italiana è di mantenere alta la tradizione, soprattutto di avvalersi di nuova tecnologia anche sopportando un
forte impegno economico. L'affermazione sembra quasi un luogo comune, ma nella realtà l'impatto della tecnologia potrebbe essere ancor più profondo di quanto molti si attendono.
Se si accetta che siano l'informazione e le modalità della comunicazione a definire i caratteri delle istituzioni economiche e sociali, allora dobbiamo prepararci al fatto che gli sviluppi delle
tecnologie dell'informazione e della comunicazione porteranno, oltre che alla creazione di nuovi prodotti, servizi e settori information intensive, anche a cambiamenti fondamentali nelle
istituzioni economiche e sociali. Tra queste, le imprese in quanto enti deputati alla produzione, e i mercati in quanto istituzioni per l'allocazione delle risorse. Bisogna quindi essere
preparati e competere su tutti i possibili fronti, anche su eventuali sviluppi dell'e-business.
La strada del successo del Made in Italy deve inoltre assolutamente passare dall'incremento degli investimenti per la R&S, avvicinarci insomma ai modelli americani, promuovendo un rapporto
sempre più intenso con l'Università, ormai del tutto ramificata sul territorio e in continua integrazione con il tessuto sociale.
Con riferimento a questa necessità, l'Unione Europea ha stabilito di raggiungere entro il 2010 il traguardo del 3% del prodotto interno lordo (Pil) per la spesa complessiva nella R&S. Il livello
medio attuale è dell'1,9%, rispetto al 2,7% negli USA e al 3% in Giappone. Ogni anno l'Europa rispetto agli Stati Uniti investe nella ricerca 120 miliardi di euro in meno, e il distacco si sta
ampliando. Dato che la differenza della spesa pubblica in questo settore è molto modesta, i dirigenti dell'Unione Europea hanno assegnato al mondo imprenditoriale il compito di sostenere due
terzi della spesa di Ricerca & Sviluppo.
È necessario inoltre sfruttare le poche sinergie positive che si offrono all'imprenditoria locale, ad esempio i Distretti Industriali, sapientemente finanziati dalla Regione Campania ed
efficacemente coadiuvati dalle Unioni Industriali provinciali. Iniziare finalmente a discutere di strategie di sviluppo del territorio all'interno del settore tessile casertano raggruppato nel
Distretto Industriale N°4 Sant'Agata dei Goti - Casapulla, è certamente un bonus da non lasciarci sfuggire. Che poi i Distretti, i Patti Territoriali di Sviluppo, i Contratti di Programma
confluiscano sinergicamente nelle Agenzie Locali di Sviluppo è una naturale conclusione, ma sempre rispettando i ruoli e le accertate positività, evitando soprattutto inutili duplicazioni e
dispendiose sovrastrutture.
I problemi di internazionalizzazione delle PMI vanno affrontati con l'indispensabile supporto delle Camere di Commercio, continuamente tese a promuovere i nostri prodotti all'estero. La
Commissione Internazionalizzazione della CCIAA in collaborazione con l'Unione Industriali di Caserta nel corso del 2003 ha coinvolto oltre 150 aziende in circa 20 fiere all'Italia e all'Estero,
ha organizzato numerose missioni economiche, specie nei paesi dell'Est Europeo, finalizzate non solo alla vendita, ma anche allo studio di possibili joint-ventures, cooperazione industriale tesa
ad attività di R&S e di trasferimento tecnologico, con ricerca di partnerships e insediamenti produttivi.
Anche per il 2004 continuerà l'azione di sostegno al sistema produttivo locale con la divulgazione di banche dati estero, di selezionati nominativi di aziende extranazionali continuamente
supportati dall'Ice e dalla Sismest. Missioni commerciali sono previste in Australia, nel Midwest Statunitense, in Cina e nei paesi dell'Africa Settentrionale, e soprattutto in Russia dove si
sta studiando un programma triennale di investimenti in diverse forme di promozione dei prodotti casertani.
Infine, un esempio di grande progresso, finalizzato non solo alla vendita, di aggregazione industriale: nel caldo torrido della scorsa estate è nato il Consorzio Caserta Export, fondato da 14
aziende di vari settori merceologici, con la fondamentale collaborazione della Camera di Commercio. É sicuramente lo strumento idoneo ad "aggredire" congiuntamente i mercati internazionali, con
strategie collaudate per la promozione del Made in Italy. Entro la primavera del 2004 il target del Consorzio sarà di associare 150 aziende fra le quattro filiere più numerose, quindi
suscettibili di maggiore incremento in tempi brevi: tessile e complementi di arredo, orafo, agroalimentare e metalmeccanico. Si è inteso al momento crescere per filiere perché è più facile
nell'immediato concertare azioni di promozione e sviluppo fra le aziende dello stesso settore, con obiettivi e lavorazioni comuni. Il Consorzio Caserta Export si avvarrà nel prossimo futuro
dell'attiva collaborazione dell'Unione Industriali della Provincia di Caserta per incrementare anche le altre filiere di dieci diversi settori.
In conclusione mi sento di affermare che la scelta dell'imprenditore Italiano deve essere di continuare ad investire nel nostro Paese.
Infatti, il Made in Italy ha certamente un futuro di grande sviluppo, purché si muovano i necessari passi verso le giuste direzioni: innovazione tecnologica, formazione, R&S, strategia di
sviluppo territoriale, senza abbandonare quel pizzico di "sale italiano" che nessuno potrà mai imitare.
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