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La questione di legittimità costituzionale
sollevata dal Giudice rimettente ha ad oggetto l’art. 12, comma 1, della
Legge 11/05/99, n. 140 secondo il quale il personale delle Camere di
commercio, industria, artigianato ed agricoltura in servizio alla data di
entrata in vigore del D. L. 23/09/94, n. 547 (conv. in L. 22/11/94, n.
644), che alla data del 12/07/82 rivestiva la qualifica di capo servizio,
“può essere inquadrato nella qualifica immediatamente superiore con
effetti giuridici ed economici decorrenti dalla data di entrata in vigore
della presente legge”.
Secondo l’interpretazione del Giudice a quo, l’inquadramento nella
qualifica superiore non potrebbe essere negato dalla Camera di commercio
neppure per mancanza di posti nella pianta organica, ma soltanto con
riferimento a specifiche circostanze negative concernenti la persona o il
curriculum degli aspiranti.
La norma impugnata, pertanto, determinando l’inquadramento a semplice
domanda (legittima aspettativa tutelabile) nella qualifica dirigenziale
dei dipendenti che rivestivano la qualifica di capo servizio, violerebbe
l’art. 97, commi 1 e 3 della Costituzione, ponendosi in contrasto con i
principi di buon andamento ed efficienza dell’Amministrazione i quali
impongono che l’accesso alla qualifica superiore avvenga attraverso “forme
di effettiva selezione”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza in esame (n. 218/2002), dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della Legge
11/05/99, n. 140, confermando il principio costantemente ribadito in
materia di progressioni verticali nella Pubblica Amministrazione secondo
il quale il concorso pubblico costituisce il metodo normale di provvista
del personale anche per le qualifiche superiori.
Nel caso di specie, la Consulta applica il principio alle promozioni
automatiche, stabilendo che sono illegittimi gli inquadramenti automatici
nella qualifica superiore per difetto di procedure che verifichino
l’idoneità dei candidati rispetto ai posti da ricoprire.
La norma impugnata contraddice tali principi, determinando una sorta di
globale scivolamento verso la qualifica superiore, attraverso una
anacronistica forma di generalizzata cooptazione.
Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. per tutte sentt.
n. 1/99 e n. 320/97), il passaggio ad una fascia funzionale superiore
comporta “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni
più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento alla
regola del pubblico concorso”, tale metodo offrendo le migliori garanzie
di selezione dei soggetti più capaci.
Nel quadro di un sistema, come quello in vigore, che “non prevede
carriere, o le prevede entro limiti ristretti”, ogni passaggio da una
qualifica o categoria all’altra determina “una forma di reclutamento”, che
esige un selettivo accertamento delle attitudini (da rivolgere non solo
all’interno della Amministrazione) ed impone il ricorso alla procedura
concorsuale.
Discende da tale impostazione che al rapporto di lavoro alle dipendenze di
pubbliche amministrazioni non si applica l’istituto dell’inquadramento
unico, proprio dell’impiego privato, inteso nel senso di concezione
monistica della carriera del lavoratore (progressione di carriera
nell’ambito di un unico percorso lavorativo).
Così, l’esercizio del potere organizzativo del datore di lavoro privato di
assegnare al lavoratore mansioni superiori, se prolungato per un certo
periodo di tempo, determina l’acquisizione ope legis della qualifica
superiore. Al contrario, non si applica al rapporto di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per espresso disposto di legge
(art. 2, co. 2, e 52 D.Lgs. n. 165/01), la progressione di carriera come
conseguenza dello jus variandi del datore di lavoro.
Il datore di lavoro pubblico, mediante la progressione verticale, attua un
procedimento amministrativo di selezione diretto alla costituzione di un
nuovo rapporto di lavoro tra dipendente e Amministrazione di appartenenza;
si è in presenza di una vera procedura concorsuale diretta alla nomina del
dipendente in una qualifica superiore, avente lo scopo di scegliere tra i
dipendenti partecipanti i migliori di essi, così come avviene nei concorsi
pubblici.
In altri termini, la procedura di progressione verticale, finalizzata
all’acquisizione di un diverso status del dipendente, equivale ad una
nuova assunzione tout court.
Pertanto, il criterio valutativo dell’anzianità non può assumere un valore
tale da attribuire rilievo ad un dato oggettivo, la permanenza in
servizio, di per sé non idoneo a verificare la sussistenza dei requisiti
attitudinali allo svolgimento di funzioni rientranti nella qualifica
superiore.
Se la modalità di reclutamento deve essere prioritariamente di natura
selettiva, l’anzianità non può essere il criterio valutativo esclusivo, né
quello prevalente.
Del resto, nessuna disposizione normativa o contrattuale considera
l’anzianità come elemento che dimostra l’attitudine allo svolgimento di
funzioni e mansioni diverse da quelle attuali del dipendente.
Posto che non si applica al rapporto di lavoro alle dipendenze della
Pubblica Amministrazione l’istituto dell’inquadramento unico, il sistema
selettivo deve discostarsi il più possibile dalla anzianità.
L’accesso al concorso può, naturalmente, essere condizionato al possesso
dei requisiti professionali stabiliti dalla legge, che legittimamente può
richiedere al candidato il possesso di una precedente esperienza
lavorativa.
Chiamata più volte a pronunciarsi sulle norme costituzionali che
individuano nel concorso il mezzo ordinario per accedere agli impieghi
pubblici, la Corte Costituzionale ha ripetutamente sottolineato la
relazione intercorrente tra l’art. 97 e gli artt. 51 e 98 Cost.
Il principio di imparzialità, fissato nell’art. 97 Cost.,
indissolubilmente legato con quello di legalità e buon andamento
dell’azione amministrativa, costituisce un valore essenziale cui deve
informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei
pubblici uffici.
Nelle suddette norme costituzionali si delinea la profonda distinzione tra
politica e amministrazione, tra l’azione del “governo” (normalmente legata
agli interessi di una parte politica) e l’azione della “amministrazione”,
diretta al perseguimento dell’interesse pubblico costituito dalla
selezione dei candidati più meritevoli e più capaci (cfr. Corte Cost., n.
333/93).
Invero, il modello concorsuale richiede che la selezione avvenga con
criteri tali da prevedere e consentire la partecipazione anche agli
estranei, assicurando così il reclutamento dei migliori.
Il pubblico concorso, meccanismo strumentale rispetto al canone di
efficienza dell’Amministrazione, costituisce ineludibile momento di
controllo funzionale al migliore rendimento della P. A.
È pertanto irragionevole ed arbitrario il passaggio ad una fascia
funzionale superiore, in deroga al principio del pubblico concorso, basato
sul parametro automatico della anzianità di servizio, senza alcun altro
criterio selettivo funzionale alla congrua e razionale valutazione
dell’attività pregressa, diretto ad accertare il possesso, in ciascuno dei
dipendenti, dei requisiti necessari per l’espletamento delle mansioni
superiori.
In conclusione, i principi di efficienza, imparzialità e buon andamento
della Pubblica Amministrazione richiedono che la progressione di carriera
avvenga all’esito di procedure selettive o di verifiche attitudinali
dirette a garantire l’accertamento della idoneità dei candidati in
relazione ai posti da ricoprire.
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