1) LA MONTAGNA PARTORÌ IL TOPOLINO
COSÌ LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO
2) IL DECRETO 758/94
PREVENZIONE INFORTUNI SUL LAVORO
3) PUBBLICO IMPIEGO
ACCESSO ALLE QUALIFICHE SUPERIORI
4) DECRETO LEGISLATIVO 231/2001
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA
5) INCENTIVI FISCALI ALLE IMPRESE MERIDIONALI
RISCRITTE LE REGOLE
 

 

PUBBLICO IMPIEGO
ACCESSO ALLE QUALIFICHE SUPERIORI
Il concorso garantisce imparzialità ed efficienza
di Giovanni Maria di Lieto - Avvocato amministrativista avv.giovannimariadilieto@albaclick.com
 

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice rimettente ha ad oggetto l’art. 12, comma 1, della Legge 11/05/99, n. 140 secondo il quale il personale delle Camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura in servizio alla data di entrata in vigore del D. L. 23/09/94, n. 547 (conv. in L. 22/11/94, n. 644), che alla data del 12/07/82 rivestiva la qualifica di capo servizio, “può essere inquadrato nella qualifica immediatamente superiore con effetti giuridici ed economici decorrenti dalla data di entrata in vigore della presente legge”.
Secondo l’interpretazione del Giudice a quo, l’inquadramento nella qualifica superiore non potrebbe essere negato dalla Camera di commercio neppure per mancanza di posti nella pianta organica, ma soltanto con riferimento a specifiche circostanze negative concernenti la persona o il curriculum degli aspiranti.
La norma impugnata, pertanto, determinando l’inquadramento a semplice domanda (legittima aspettativa tutelabile) nella qualifica dirigenziale dei dipendenti che rivestivano la qualifica di capo servizio, violerebbe l’art. 97, commi 1 e 3 della Costituzione, ponendosi in contrasto con i principi di buon andamento ed efficienza dell’Amministrazione i quali impongono che l’accesso alla qualifica superiore avvenga attraverso “forme di effettiva selezione”.
La Corte Costituzionale, con la sentenza in esame (n. 218/2002), dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 12, comma 1, della Legge 11/05/99, n. 140, confermando il principio costantemente ribadito in materia di progressioni verticali nella Pubblica Amministrazione secondo il quale il concorso pubblico costituisce il metodo normale di provvista del personale anche per le qualifiche superiori.
Nel caso di specie, la Consulta applica il principio alle promozioni automatiche, stabilendo che sono illegittimi gli inquadramenti automatici nella qualifica superiore per difetto di procedure che verifichino l’idoneità dei candidati rispetto ai posti da ricoprire.
La norma impugnata contraddice tali principi, determinando una sorta di globale scivolamento verso la qualifica superiore, attraverso una anacronistica forma di generalizzata cooptazione.
Secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (cfr. per tutte sentt. n. 1/99 e n. 320/97), il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento alla regola del pubblico concorso”, tale metodo offrendo le migliori garanzie di selezione dei soggetti più capaci.
Nel quadro di un sistema, come quello in vigore, che “non prevede carriere, o le prevede entro limiti ristretti”, ogni passaggio da una qualifica o categoria all’altra determina “una forma di reclutamento”, che esige un selettivo accertamento delle attitudini (da rivolgere non solo all’interno della Amministrazione) ed impone il ricorso alla procedura concorsuale.
Discende da tale impostazione che al rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni non si applica l’istituto dell’inquadramento unico, proprio dell’impiego privato, inteso nel senso di concezione monistica della carriera del lavoratore (progressione di carriera nell’ambito di un unico percorso lavorativo).
Così, l’esercizio del potere organizzativo del datore di lavoro privato di assegnare al lavoratore mansioni superiori, se prolungato per un certo periodo di tempo, determina l’acquisizione ope legis della qualifica superiore. Al contrario, non si applica al rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, per espresso disposto di legge (art. 2, co. 2, e 52 D.Lgs. n. 165/01), la progressione di carriera come conseguenza dello jus variandi del datore di lavoro.
Il datore di lavoro pubblico, mediante la progressione verticale, attua un procedimento amministrativo di selezione diretto alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro tra dipendente e Amministrazione di appartenenza; si è in presenza di una vera procedura concorsuale diretta alla nomina del dipendente in una qualifica superiore, avente lo scopo di scegliere tra i dipendenti partecipanti i migliori di essi, così come avviene nei concorsi pubblici.
In altri termini, la procedura di progressione verticale, finalizzata all’acquisizione di un diverso status del dipendente, equivale ad una nuova assunzione tout court.
Pertanto, il criterio valutativo dell’anzianità non può assumere un valore tale da attribuire rilievo ad un dato oggettivo, la permanenza in servizio, di per sé non idoneo a verificare la sussistenza dei requisiti attitudinali allo svolgimento di funzioni rientranti nella qualifica superiore.
Se la modalità di reclutamento deve essere prioritariamente di natura selettiva, l’anzianità non può essere il criterio valutativo esclusivo, né quello prevalente.
Del resto, nessuna disposizione normativa o contrattuale considera l’anzianità come elemento che dimostra l’attitudine allo svolgimento di funzioni e mansioni diverse da quelle attuali del dipendente.
Posto che non si applica al rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica Amministrazione l’istituto dell’inquadramento unico, il sistema selettivo deve discostarsi il più possibile dalla anzianità.
L’accesso al concorso può, naturalmente, essere condizionato al possesso dei requisiti professionali stabiliti dalla legge, che legittimamente può richiedere al candidato il possesso di una precedente esperienza lavorativa.
Chiamata più volte a pronunciarsi sulle norme costituzionali che individuano nel concorso il mezzo ordinario per accedere agli impieghi pubblici, la Corte Costituzionale ha ripetutamente sottolineato la relazione intercorrente tra l’art. 97 e gli artt. 51 e 98 Cost.
Il principio di imparzialità, fissato nell’art. 97 Cost., indissolubilmente legato con quello di legalità e buon andamento dell’azione amministrativa, costituisce un valore essenziale cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici.
Nelle suddette norme costituzionali si delinea la profonda distinzione tra politica e amministrazione, tra l’azione del “governo” (normalmente legata agli interessi di una parte politica) e l’azione della “amministrazione”, diretta al perseguimento dell’interesse pubblico costituito dalla selezione dei candidati più meritevoli e più capaci (cfr. Corte Cost., n. 333/93).
Invero, il modello concorsuale richiede che la selezione avvenga con criteri tali da prevedere e consentire la partecipazione anche agli estranei, assicurando così il reclutamento dei migliori.
Il pubblico concorso, meccanismo strumentale rispetto al canone di efficienza dell’Amministrazione, costituisce ineludibile momento di controllo funzionale al migliore rendimento della P. A.
È pertanto irragionevole ed arbitrario il passaggio ad una fascia funzionale superiore, in deroga al principio del pubblico concorso, basato sul parametro automatico della anzianità di servizio, senza alcun altro criterio selettivo funzionale alla congrua e razionale valutazione dell’attività pregressa, diretto ad accertare il possesso, in ciascuno dei dipendenti, dei requisiti necessari per l’espletamento delle mansioni superiori.
In conclusione, i principi di efficienza, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione richiedono che la progressione di carriera avvenga all’esito di procedure selettive o di verifiche attitudinali dirette a garantire l’accertamento della idoneità dei candidati in relazione ai posti da ricoprire.

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