1) LA MONTAGNA PARTORÌ IL TOPOLINO
COSÌ LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO
2) IL DECRETO 758/94
PREVENZIONE INFORTUNI SUL LAVORO
3) PUBBLICO IMPIEGO
ACCESSO ALLE QUALIFICHE SUPERIORI
4) DECRETO LEGISLATIVO 231/2001
RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA
5) INCENTIVI FISCALI ALLE IMPRESE MERIDIONALI
RISCRITTE LE REGOLE
 

 

a cura di Vito Salerno
LA MONTAGNA PARTORÌ IL TOPOLINO
COSÌ LA RIFORMA DEL DIRITTO SOCIETARIO
Cambiare tutto per non cambiare nulla
di Gennaro Stellato Avvocato civilista - 
studiostellato@tiscalinet.it
 

Il Consiglio dei Ministri con decreto legislativo numero 39 del 29 settembre ha approvato lo schema predisposto dalla Commissione Vietti relativamente alla cosiddetta riforma del diritto societario. Il testo è stato inviato alle competenti Commissioni parlamentari per il parere in attesa dell’entrata in vigore a partire dal 2003. La riforma si articola su due decreti: con il primo vengono apportate robuste modifiche al codice civile sia in riferimento alle società quotate, in coordinamento con la legge Draghi, sia per quelle non quotate.
Con il secondo decreto si è provveduto a modificare la materia delle controversie in materia societaria e finanziaria semplificando la procedura e privilegiando la rapidità. Ovviamente, conoscendo la prassi ed i tempi del nostro Legislatore, appare opportuno attendere il testo definitivo per poter procedere ad un esame attento ed approfondito della riforma: troppe volte, infatti, si è visto uno schema legislativo uscire completamente stravolto dall’esame parlamentare. Tale pericolo appare ancor più evidente in questo caso data l’attestata rilevanza degli interessi in gioco e le pressioni di tipo lobbystico che potranno essere esercitate in questa fase nell’intento di ottenere modifiche parziali. Basti pensare, a solo titolo di esempio, come la disciplina del sistema cooperativo sia stata approvata sulla base di una visione completamente stravolta rispetto a quelle che erano, anche secondo anticipazioni di stampa, le previsioni di modifica.
Il rischio da evitare è quello, a prescindere dal giudizio che si può dare sulla riforma, di far passare tante modifiche da snaturarne l’impianto e lo spirito con l’ovvia conseguenza di creare un qualcosa di abnorme che di innovativo potrebbe avere ben poco. In ogni caso, in attesa di poter approfondire le tematiche che, certamente, sono destinate a modificare il tessuto socio-economico del nostro paese, si rende opportuna una disamina, sia pure generale, per poter dare un giudizio di massima sulla riforma che, va ricordato, è rimasta segreta fino alla data di pubblicazione anche se questa scelta non ha certamente evitato pressioni per ottenere modifiche in corso d’opera. Si è detto, anche da parte di autorevoli componenti della commissione Vietti, che la logica della riforma doveva rispondere fondamentalmente all’esigenza di creare un sistema organico, di facile applicazione ed interpretazione e di concedere ampio spazio all’autonomia dei soci accentuando la natura contrattuale della società. Si è però detto sempre dalla stessa fonte, che occorrerà attendere la concreta applicazione della norma da parte degli operatori per poter verificare il reale impatto della novella legislativa: solo sul campo potrà essere o meno confermata la reale portata innovativa dello schema predisposto dalla Commissione. Indubbiamente, va detto a scanso di equivoci rispetto al titolo forte del presente articolo, che i decreti modificano l’attuale sistema, sia sotto il profilo formale che sostanziale in maniera rilevante. Risultano, infatti, modificati in tutto o in parte, più di duecento articoli del codice civile oltre a profonde variazioni apportate al sistema processuale relativamente alle controversie in materia societaria e finanziaria.
Il punto, però, è verificare se tutte queste innovazioni, anche profonde e drastiche, costituiscano una vera riforma soprattutto sotto il profilo culturale nel senso che il cambiamento, sia pure forte, non sempre porta il respiro “rivoluzionario” che una vera riforma di natura legislativa, dovrebbe avere e diffondere. Da una lettura, che non può che essere superficiale tenuto conto dell’esiguo tempo trascorso dalla pubblicazione del testo, sembra, comunque, trasparire una visione ancora eccessivamente teorica e poco aderente alla realtà economica ed imprenditoriale del nostro paese. Infatti se, da un lato, si prende atto del fatto che in Italia è presente un numero di società di capitali decisamente inferiore a quello degli altri Paesi dell’Unione Europea, dall’altro non sembra essere stata data una risposta adeguata a tale realtà.
In sostanza è ben noto che la percentuale più rilevante delle srl esistenti in Italia è a stretta base familiare con una incidenza della componente personale estremamente rilevante e, quindi, con una prevalenza della figura del socio rispetto al capitale.
Di fatto la riforma sembra consacrare in legge una realtà già esistente in quanto, partendo dal presupposto enunciato, l’eliminazione di formalismi e l’abbattimento di determinate procedure erano già esistenti ed applicate nella realtà di tutti i giorni. Certamente le modifiche, considerate una ad una, incideranno profondamente nelle scelte degli imprenditori soprattutto in considerazione del fatto che la disciplina transitoria obbliga le società preesistenti ad adeguare i propri statuti alla nuova normativa entro il settembre 2003, ma non sembrano esistere i presupposti per una inversione di tendenza drastica.
Inoltre l’intento di dare organicità alla materia si scontra ancora con l’esistenza di sacche di legislazione vigente ma superata come, ad esempio, la legge fallimentare, coeva della seconda guerra mondiale, che ancora oggi incide sulla vita sociale ed economica.
Sembra che anche su questo campo sia ormai alle porte la legge di riforma ma è indubbio che questo procedere a tappe crea il rischio di non integrare le normative secondo un disegno unitario soprattutto sotto il profilo culturale. La sensazione, comunque, è quella di una sostanziale mancanza di coraggio nel dare una svolta forse epocale senza tralasciare le esperienze derivanti da anni di interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali del nostro codice civile. Tanto per azzardare una ipotesi si poteva forse prendere in considerazione l’idea di eliminare definitivamente le società di persone sulla base di considerazioni di tipo pratico nascenti dall’esame della realtà.
Si poteva regolare in maniera più organica la materia relativa ai consorzi ed avere più coraggio nell’ambito delle società cooperative risolvendo ed eliminando definitivamente equivoci legislativi creatori di disparità. Si poteva concedere forse meno scelta nel sistema di governance tenuto conto dei rischi e decidere in maniera definitiva sul sistema dei controlli che appare poco credibile verso l’esterno.
Si poteva, in sostanza, dare da un lato, l’idea di massima autonomia e, dall’altro lato, rispettare una esigenza di chiarezza e certezza che dovrebbe consentire a chiunque, dall’esterno, di avere una visione limpida della società, della sua situazione patrimoniale e dell’operato degli amministratori.
Al contrario la sensazione, sia pure a livello epidermico, è quella di una riforma incompiuta che, forse non soddisfa gli operatori interessati e che manca di quel pizzico di coraggio che serve a dare una svolta epocale.
Come già detto, occorre rimandare il giudizio definitivo all’approvazione del testo ufficiale, sperando che la riforma non venga “riformata” asservendola ad interessi particolari che finirebbero per scontrarsi con una esigenza antica di certezza del diritto necessaria in un mondo così globalizzato (orrendo termine) da non perdonare più impostazioni false o equivoche nei settori che incidono sui rapporti economici.
È una scommessa che non si può perdere nell’interesse di tutti i settori della nostra società soprattutto nell’attuale contesto politico ed economico le cui incerte prospettive non consentono più errori.

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