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Il
Consiglio dei Ministri con decreto legislativo numero 39 del 29 settembre
ha approvato lo schema predisposto dalla Commissione Vietti relativamente
alla cosiddetta riforma del diritto societario. Il testo è stato inviato
alle competenti Commissioni parlamentari per il parere in attesa
dell’entrata in vigore a partire dal 2003. La riforma si articola su due
decreti: con il primo vengono apportate robuste modifiche al codice civile
sia in riferimento alle società quotate, in coordinamento con la legge
Draghi, sia per quelle non quotate.
Con il secondo decreto si è provveduto a modificare la materia delle
controversie in materia societaria e finanziaria semplificando la
procedura e privilegiando la rapidità. Ovviamente, conoscendo la prassi ed
i tempi del nostro Legislatore, appare opportuno attendere il testo
definitivo per poter procedere ad un esame attento ed approfondito della
riforma: troppe volte, infatti, si è visto uno schema legislativo uscire
completamente stravolto dall’esame parlamentare. Tale pericolo appare
ancor più evidente in questo caso data l’attestata rilevanza degli
interessi in gioco e le pressioni di tipo lobbystico che potranno essere
esercitate in questa fase nell’intento di ottenere modifiche parziali.
Basti pensare, a solo titolo di esempio, come la disciplina del sistema
cooperativo sia stata approvata sulla base di una visione completamente
stravolta rispetto a quelle che erano, anche secondo anticipazioni di
stampa, le previsioni di modifica.
Il rischio da evitare è quello, a prescindere dal giudizio che si può dare
sulla riforma, di far passare tante modifiche da snaturarne l’impianto e
lo spirito con l’ovvia conseguenza di creare un qualcosa di abnorme che di
innovativo potrebbe avere ben poco. In ogni caso, in attesa di poter
approfondire le tematiche che, certamente, sono destinate a modificare il
tessuto socio-economico del nostro paese, si rende opportuna una disamina,
sia pure generale, per poter dare un giudizio di massima sulla riforma
che, va ricordato, è rimasta segreta fino alla data di pubblicazione anche
se questa scelta non ha certamente evitato pressioni per ottenere
modifiche in corso d’opera. Si è detto, anche da parte di autorevoli
componenti della commissione Vietti, che la logica della riforma doveva
rispondere fondamentalmente all’esigenza di creare un sistema organico, di
facile applicazione ed interpretazione e di concedere ampio spazio
all’autonomia dei soci accentuando la natura contrattuale della società.
Si è però detto sempre dalla stessa fonte, che occorrerà attendere la
concreta applicazione della norma da parte degli operatori per poter
verificare il reale impatto della novella legislativa: solo sul campo
potrà essere o meno confermata la reale portata innovativa dello schema
predisposto dalla Commissione. Indubbiamente, va detto a scanso di
equivoci rispetto al titolo forte del presente articolo, che i decreti
modificano l’attuale sistema, sia sotto il profilo formale che sostanziale
in maniera rilevante. Risultano, infatti, modificati in tutto o in parte,
più di duecento articoli del codice civile oltre a profonde variazioni
apportate al sistema processuale relativamente alle controversie in
materia societaria e finanziaria.
Il punto, però, è verificare se tutte queste innovazioni, anche profonde e
drastiche, costituiscano una vera riforma soprattutto sotto il profilo
culturale nel senso che il cambiamento, sia pure forte, non sempre porta
il respiro “rivoluzionario” che una vera riforma di natura legislativa,
dovrebbe avere e diffondere. Da una lettura, che non può che essere
superficiale tenuto conto dell’esiguo tempo trascorso dalla pubblicazione
del testo, sembra, comunque, trasparire una visione ancora eccessivamente
teorica e poco aderente alla realtà economica ed imprenditoriale del
nostro paese. Infatti se, da un lato, si prende atto del fatto che in
Italia è presente un numero di società di capitali decisamente inferiore a
quello degli altri Paesi dell’Unione Europea, dall’altro non sembra essere
stata data una risposta adeguata a tale realtà.
In sostanza è ben noto che la percentuale più rilevante delle srl
esistenti in Italia è a stretta base familiare con una incidenza della
componente personale estremamente rilevante e, quindi, con una prevalenza
della figura del socio rispetto al capitale.
Di fatto la riforma sembra consacrare in legge una realtà già esistente in
quanto, partendo dal presupposto enunciato, l’eliminazione di formalismi e
l’abbattimento di determinate procedure erano già esistenti ed applicate
nella realtà di tutti i giorni. Certamente le modifiche, considerate una
ad una, incideranno profondamente nelle scelte degli imprenditori
soprattutto in considerazione del fatto che la disciplina transitoria
obbliga le società preesistenti ad adeguare i propri statuti alla nuova
normativa entro il settembre 2003, ma non sembrano esistere i presupposti
per una inversione di tendenza drastica.
Inoltre l’intento di dare organicità alla materia si scontra ancora con
l’esistenza di sacche di legislazione vigente ma superata come, ad
esempio, la legge fallimentare, coeva della seconda guerra mondiale, che
ancora oggi incide sulla vita sociale ed economica.
Sembra che anche su questo campo sia ormai alle porte la legge di riforma
ma è indubbio che questo procedere a tappe crea il rischio di non
integrare le normative secondo un disegno unitario soprattutto sotto il
profilo culturale. La sensazione, comunque, è quella di una sostanziale
mancanza di coraggio nel dare una svolta forse epocale senza tralasciare
le esperienze derivanti da anni di interpretazioni giurisprudenziali e
dottrinali del nostro codice civile. Tanto per azzardare una ipotesi si
poteva forse prendere in considerazione l’idea di eliminare
definitivamente le società di persone sulla base di considerazioni di tipo
pratico nascenti dall’esame della realtà.
Si poteva regolare in maniera più organica la materia relativa ai consorzi
ed avere più coraggio nell’ambito delle società cooperative risolvendo ed
eliminando definitivamente equivoci legislativi creatori di disparità. Si
poteva concedere forse meno scelta nel sistema di governance tenuto conto
dei rischi e decidere in maniera definitiva sul sistema dei controlli che
appare poco credibile verso l’esterno.
Si poteva, in sostanza, dare da un lato, l’idea di massima autonomia e,
dall’altro lato, rispettare una esigenza di chiarezza e certezza che
dovrebbe consentire a chiunque, dall’esterno, di avere una visione limpida
della società, della sua situazione patrimoniale e dell’operato degli
amministratori.
Al contrario la sensazione, sia pure a livello epidermico, è quella di una
riforma incompiuta che, forse non soddisfa gli operatori interessati e che
manca di quel pizzico di coraggio che serve a dare una svolta epocale.
Come già detto, occorre rimandare il giudizio definitivo all’approvazione
del testo ufficiale, sperando che la riforma non venga “riformata”
asservendola ad interessi particolari che finirebbero per scontrarsi con
una esigenza antica di certezza del diritto necessaria in un mondo così
globalizzato (orrendo termine) da non perdonare più impostazioni false o
equivoche nei settori che incidono sui rapporti economici.
È una scommessa che non si può perdere nell’interesse di tutti i settori
della nostra società soprattutto nell’attuale contesto politico ed
economico le cui incerte prospettive non consentono più errori.
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