1) IL NUOVO DIRITTO SOCIETARIO
COME CAMBIERANNO LE S.R.L.
2) ORARIO DI LAVORO
UN ITER TORMENTATO
3) LA PRELAZIONE DEL PROMOTORE
 LAST CALL E NEGOZIAZIONE
 

 

ORARIO DI LAVORO
UN ITER TORMENTATO
Approfondite alcune disposizioni di ampia portata contenute nella legge finanziaria 2003
di Lorenzo Ioele - Docente Diritto Sicurezza Sociale Università degli Studi di Salerno -
avvocato.ioelelorenzo@tin.it
 

Il Consiglio dei Ministri ha approvato, il 17/1/2003, uno schema di decreto legislativo (d.l.vo) per l'attuazione della direttiva n.93/104/CEE, modificata dalla direttiva n.2000/34/CEE in materia di orario di lavoro. Trattasi di una tematica, come a tutti noto, particolarmente scottante ancora disciplinata, nelle sue linee fondamentali e generali, dal RDL 692/1923. Il tema non sembra aver sollecitato grande interesse da parte degli organi di stampa, mentre la notizia e le prime analisi sono state oggetto di attenzione da parte di riviste specializzate.
Una rapida informativa sui profili generali dello schema di d.l.vo, insomma sullo stato dell'arte, senza entrare nel merito con approfondimenti adeguati, soprattutto per la carenza di spazio, è senz'altro opportuna. L'orario di lavoro, infatti, incide sulla vita delle azienda e sulla vita dei lavoratori: intendo dire che coinvolge profili "sensibili", economicamente e socialmente, della regolamentazione del rapporto di lavoro; non mi sembra un caso,infatti, che il nostro legislatore sia rimasto fermo al 1923 per quanto concerne l'impianto generale della normativa, salvo taluni successivi interventi mirati. Un intervento di ampia portata sulla regolamentazione dell'orario con una revisione integrale del sistema sarà necessariamente oggetto di approfondito dibattito. Lo schema di d.l.vo si colloca nel contesto di un percorso avviato per effetto della necessità di adeguamento alla normativa comunitaria, già caratterizzato da una condanna da parte della Corte di Giustizia nel 2000, e che ha visto, come tappe fondamentali, l'art. 13 della L.196/1997, l'avviso comune sottoscritto dalle parti sociali il 12 novembre 1997, l'accordo interconfederale 12 dicembre 1997, il patto per lo sviluppo e l'occupazione del 22 dicembre 1998, l'ormai famoso Libro bianco, l'art.6 del disegno di legge 848/2001, il d.l.vo 335/98, il d.l.vo 532/99, l'art.22 della legge comunitaria 2001. Un percorso tormentato e incentrato soprattutto sul settore industriale e non sulle problematiche specifiche di settori quali il commercio, il turismo e l'agricoltura e sul quale potrebbe incidere anche la legislazione regionale ove, come ritenuto da qualcuno e dallo stesso Libro bianco, il nuovo testo dell'art,117, comma 3, Cost. debba intendersi nel senso che esista una potestà legislativa concorrente anche delle Regioni nella specifica materia.
Questioni giuridiche complesse e notevoli interessi sociali ed economici che potranno variamente incidere sulla materia ed orientare il successivo percorso dello schema di d.l.vo prima di giungere alla definizione della nuova normativa, fermi restando i "paletti" imposti dalla normativa comunitaria.
Lo schema di d.l.vo, infatti, sembra svincolato dall'accordo interconfederale del 12 dicembre 1997 ed è piuttosto ispirato all'attuazione della regolamentazione comunitaria.
Esso detta taluni principi minimi di tutela salvaguardando, peraltro, il ruolo della contrattazione collettiva alla quale sono fatti ampi rinvii onde consentire un adeguamento della regolamentazione dell'orario alle peculiari caratteristiche dei diversi settori produttivi. Il principio non derogabile è quella della durata settimanale del normale orario di lavoro, fissato in 40 ore settimanali. Lo schema prevede, altresì, una definizione di orario di lavoro che sembra superare il concetto di lavoro effettivo sancito dall'art.3 R.D.L. n.692/1923. L'orario di lavoro, infatti, è «qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell'esercizio della sua attività o delle sue funzioni». Si supera, inoltre, un'annosa questione in quanto si chiarisce definitivamente che l'unico limite dell'orario, oltre il quale è computabile il lavoro straordinario, è il limite settimanale e non quello giornaliero. Si tratta di un profilo della flessibilità dell'orario, la cui regolamentazione, peraltro, è demandata alla contrattazione collettiva.
Sono tuttavia previsti alcuni limiti alla flessibilità entro i quali la stessa contrattazione collettiva deve muoversi. Innanzitutto, si tratta di una novità rispetto alla regolamentazione previgente in Italia, è sancito il principio della necessaria fruizione da parte del lavoratore di un periodo giornaliero di riposo continuativo di 11 ore consecutive. Inoltre la durata media dell'orario di lavoro non può superare le 48 ore nell'arco di 7 giorni, ivi comprese le ore di lavoro straordinario.
La durata media dell'orario di lavoro, poi, deve essere calcolata con riferimento ad un periodo non superiore a 4 mesi, con facoltà della contrattazione collettiva di elevare questo periodo di riferimento a 6 e a 12 mesi ove sussistano ragioni obbiettive di carattere tecnico produttivo ed organizzativo. Queste ragioni dovranno essere chiaramente specificate dalla stessa contrattazione, la quale dunque dovrà, in buona sostanza, giustificare la sua scelta. Ove siffatta norma dovesse essere approvata, evidentemente si porrà il problema del controllo da parte del Giudice (se formale o sostanziale e di merito) e degli effetti di una ipotetica pronunzia di invalidità della clausola contrattuale, che, a prima vista, dovrebbe comportare l'applicazione del regime legale. In assenza di contrattazione collettiva prestazioni di lavoro straordinario potranno essere richieste solo previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore entro un massimo di 250 ore annuali. Lo schema di d.l.vo regolamenta anche le pause, i riposi, le ferie e il lavoro notturno. Del riposo giornaliero si è già detto, al quale vanno aggiunti il diritto ad una pausa dopo 6 ore di lavoro ed il diritto al riposo settimanale, di regola in coincidenza con la domenica salvo deroghe per particolari lavori o specifiche attività. Il periodo annuale di ferie è determinato in 4 settimane. Il lavoro notturno, poi, va effettuato nel limite di una media di 8 ore nell'arco di 24 ore, salvo diverse previsioni dei contratti collettivi, anche aziendali, che potranno ampliare il periodo di riferimento entro cui calcolare il limite sopra detto. Come accennavo, sono numerosi e particolarmente ampi i rinvii alla contrattazione collettiva, anche di secondo livello. Quest'ultima, però, dovrà rispettare le regole fissate dagli accordi nazionali. Un profilo di novità va individuato nella previsione della possibilità di intervento del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali in mancanza di disciplina collettiva.
Il Ministero, infatti, su richiesta delle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, ovvero delle Associazioni di categoria dei datori di lavoro firmatarie dei contratti collettivi potrà, con decreto, sancire deroghe che avrebbero dovuto essere previste dai contratti collettivi, ove siano giustificate dalle particolari caratteristiche dell'attività lavorativa. In sostanza sembra che il legislatore, pur riconoscendo il ruolo e l'autonomia della contrattazione collettiva, non ha inteso riconoscerle una competenza esclusiva anche se occorrerà, poi, valutare l'ambito dell'intervento ministeriale, e cioè se esso sia circoscritto alla sola mancanza o inesistenza della contrattazione collettiva ovvero se l'intervento ministeriale sia ammissibile anche nei casi in cui l'accordo manchi sullo specifico profilo relativo all'orario di lavoro. Problema complesso che si intreccia con le vicende della contrattazione collettiva e della stessa fase di negoziazione.
Per quanto concerne, poi, i contratti collettivi vigenti essi dovrebbero mantenere efficacia sino alla loro scadenza e, ove già scaduti, fino al 31.12.2004. Mi sono limitato a taluni aspetti significativi e ad alcuni spunti di riflessione, la tematica, però, è innegabilmente complessa e meritevole di ben più adeguati approfondimenti.

torna su