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L’articolo 35 della finanziaria 28 dicembre 2001 n. 448 "Norme in materia di servizi pubblici locali" è ormai
da tempo una mina vagante per il settore dei servizi pubblici, e quindi per le amministrazioni locali. Nell'originaria versione, come in quella corretta dopo le prime censure dell'Unione
Europea, ha già avuto l'effetto di rendere insicura qualsiasi operazione di affidamento di servizi pubblici e di costituzione di società miste non effettuati in tutte le fasi con gare ad
evidenza pubblica. La letteratura in materia è già molto ampia, ma trarre delle vere e proprie conclusioni appare defatigante di fronte al fatto che anche la ristesura della norma che doveva
soddisfare l'Unione Europea è stata da questa censurata con la nuova messa in mora da parte della Commissione Europea del 26 giugno 2002. Correva anche l'opinione che, visto che il comma 16
dell'articolo 35 prevede un regolamento governativo di applicazione, la situazione poteva ritenersi congelata.
Il TAR di Napoli, I sezione, con sentenza n. 4203 dello scorso 27 marzo, è però pesantemente intervenuto nella complessa questione anzitutto con due affermazioni secche:
- che la previsione di regolamenti attuativi statali appare in conflitto con l'attribuzione di competenze alle Regioni che deriva dal nuovo Titolo V della Costituzione;
- che comunque la lettera di costituzione in mora della Commissione Europea anche contro il nuovo testo dell'articolo 35 mette in discussione gli affidamenti diretti della gestione delle reti e
li rende praticabili solo in via del tutto eccezionale.
Il Tribunale Amministrativo Regionale ha precisato che l'affidamento diretto dei servizi (e delle reti) pubblici deve avvenire nel rispetto delle regole di concorrenza con riferimento
all'articolo 86 del Trattato U.E., con eccezione solo per quei ristretti casi in cui il rispetto delle regole della concorrenza può impedire oggettivamente la realizzazione della funzione da
affidarsi. Sottolineando espressamente che ciò resta valido con o senza regolamento attuativo statale, con la conseguenza che gli affidamenti diretti di pubblici servizi e reti (salvo quello
spazio veramente esiguo lasciato alla deroga) sono sin d'ora da considerarsi illegittimi.
Il caso deciso dal TAR riguardava l'affidamento diretto della gestione di parcheggi pubblici da parte del Comune di Napoli ad una società mista partecipata in minoranza dal Comune stesso e in
larga maggioranza da una s.p.a. (la A.N.M.) di totale proprietà del Comune: e l'operazione è stata annullata.
Dai principi fermamente enunciati, e richiamati prima, in forma tale da costituire un monito per future operazioni analoghe che possano venire all'esame del giudice amministrativo, il TAR è
disceso a formulare altri due ordini di rilievi di un certo interesse.
Anzitutto ha precisato che solo per i servizi pubblici privi di rilevanza industriale l'articolo 35 (al comma 15) consente l'affidamento diretto; e che questi sono soltanto quelli aventi natura
solidaristica e non orientata al profitto, laddove invece devono intendersi servizi di natura industriale tutti quelli a connotazione economico-produttiva. Non conta quindi il carattere
industriale nel senso di attività di trasformazione della materia, e vanno considerati di natura industriale anche i servizi postali, telefonici, ferroviari, elettrici, radiotelevisivi. Questi
gli esempi del TAR, ma è evidente che non si tratta di una lista chiusa, e che essa comprende, tra l'altro, ad esempio anche i servizi idrici.
Dunque, l'affidamento diretto di questi servizi è stato ritenuto già oggi illegittimo. Ma il Tribunale Amministrativo Regionale ha ulteriormente argomentato, evidentemente intenzionato a far
conoscere in anticipo il proprio pensiero in generale. Ammesso e non concesso che si possa discutere se determinati servizi abbiano carattere industriale, e quindi se si applichi il divieto di
affidamento diretto, sarebbe comunque insuperabile la regola per cui non si può affidare il servizio senza gara ad una società che non sia interamente pubblica o, se mista, nella quale il socio
privato non sia stato scelto con gara. E, questo è il punto cruciale, per socio privato deve intendersi anche una società di capitali di totale proprietà pubblica. Il principio è che una società
di esclusiva proprietà dell'Ente pubblico va considerata pur sempre come un soggetto privato, e non può essere scelta senza un'apposita gara per partecipare a sua volta ad una società con l'Ente
pubblico cui affidare un pubblico servizio.
Riassumiamo i principali elementi dell'intervento normativo:
a) una società a totale partecipazione pubblica va considerata alla stregua di una società privata;
b) essa non può essere prescelta senza gara per partecipare con l'Ente pubblico ad una nuova società cui affidare servizi pubblici;
c) è illegittima e va annullata la costituzione di una siffatta società;
d) l'affidamento del servizio pubblico (con la sola eccezione di quelli "sociali" di natura solidaristica) non può avvenire direttamente neanche in favore di società miste correttamente
costituite (cioè con socio privato scelto a gara);
e) l'affidamento diretto in violazione di quanto sopra è, quindi, illegittimo e va annullato;
f) queste illegittimità vanno rilevate senz'altro già oggi, a prescindere dall'emanazione del regolamento statale di attuazione dell'articolo 35;
g) l'art. 35 stesso rischia di non sopravvivere alla denuncia di infrazione della CE e alla denuncia di incostituzionalità nella misura in cui contrasta con le competenze oramai attribuite alle
Regioni.
Se la normativa sull'affidamento di pubblici servizi era diventata un bel pasticcio con l'articolo 35, adesso è diventata una vera e propria trappola, nel senso che le operazioni di affidamento
di servizi pubblici condotte in base a questa norma rischiano di essere travolte, senza neanche aspettare le definitive pronunce europee o quelle della Corte costituzionale, a meno che ogni
passaggio non sia avvenuto tramite gara.
Non c'è dubbio che il TAR di Napoli, per quanto autorevole, non è il Consiglio di Stato: ma, a questo punto, è veramente sostenibile il rischio di impiantare operazioni così complesse con la
quasi certezza di vedersele smantellate? Nell'attesa di pronunce giurisprudenziali ai massimi livelli o di una riforma della norma incriminata appaiono senz'altro rischiose le architetture
societarie e di affidamento di pubblici servizi che saltino uno dei due passaggi di evidenza pubblica, o che si basino sul considerare una società a totale partecipazione pubblica come
equivalente all'Ente pubblico stesso. È veramente arduo consigliare percorsi alternativi alle gare per nuove operazioni in un contesto come quello che si è oramai stabilito. Tanto più che è
consolidato il principio giurisprudenziale in base al quale un ricorso al Tribunale Amministrativo Regionale contro un affidamento diretto, o una scelta diretta di partner dell'Ente pubblico in
una società, può essere proposto da qualunque imprenditore del settore, legittimato a tanto dal solo fatto che avrebbe potuto concorrere alla gara se essa si fosse tenuta come dovuto.
Se non siamo all'ultima parola in materia, ci troviamo però senz'altro di fronte ad un forte invito giudiziario alla prudenza.
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