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Potrà
sembrare strano, dopo un anno molto intenso speso ad affrontare ed
approfondire tematiche importanti relative alla vita dell'impresa,
soffermarsi su un argomento apparentemente più superficiale. In realtà il
problema evidenziato, peraltro sempre esistito nella nostra società, tende
sempre più ad assumere rilevanza soprattutto se inserito nel contesto
generale e quello ancor più rilevante dell'economia globalizzata.
Non bisogna certamente scomodare i ricordi scolastici relativi ai
"Promessi Sposi" per evidenziare, ricordando "l'azzeccagarbugli" quanto il
linguaggio giuridico in senso stretto sia sempre stato visto in modo
ostile o, almeno, volutamente oscuro.
Rappresenta in un certo senso una sorta di patrimonio della nostra civiltà
questa forma di bizantinismo giuridico che, unita alla nostra indubbia
fantasia, ha sempre costituito e, sia pure in misura minore, costituisce
ancora un elemento caratterizzante la vita di tutti i giorni. Certamente
vi è stata una forte evoluzione-involuzione del linguaggio legato a tutta
una serie di fattori anche esterni che hanno finito per condizionare anche
gli aspetti linguistici della nostra vita.
Nel campo strettamente giuridico il cambiamento appare molto marcato.
Innanzitutto, va detto senza mezzi termini, il livello culturale, inteso
nel senso classico, è calato vertiginosamente. Ciò è addebitabile ad una
profonda crisi del sistema scolastico che non ha saputo contemperare un
tipo di insegnamento tradizionale con le mutate realtà della nuova
società. Ma è altrettanto indubbio che i fenomeni legati a tutto il
contesto sociale corrono a velocità supersonica e non è oggettivamente
facile riuscire a seguirne l'evoluzione.
Resta il fatto che gli atti giuridici sono, nella maggior parte dei casi,
ridotti all'essenziale. Si guarda e si approfondisce l'aspetto fattuale e
non la sua configurazione giuridica. Si tende ad infarcire l'elaborato di
citazioni di sentenze e dottrina per mascherare forse la carenza di
originalità di idee proprie. La prosa è composta di periodi brevi, secchi
evitando addirittura l'uso dei verbi. Il congiuntivo è sempre più raro e
la tendenza è prevalentemente quella di dare a chi legge e decide un
substrato alla propria tesi senza preoccuparsi minimamente di distruggere
quella avversaria.
Manca cioè una dialettica vera e propria. Certamente il linguaggio troppo
ridondante, infarcito di citazioni latine e di autocompiacimento appare
oggi, sotto molti aspetti, quasi ridicolo ma quel modo di esprimersi
presupponeva a monte una sorta di cultura anche generale che non poteva
non dare all'atto una valenza superiore. Il dato di fatto è che si è
passati forse da un estremo all'altro anche perché se, da un lato, si
tende a scrivere poco e in modo essenziale, ciò è dovuto anche al fatto
che chi legge tende a non accettare elaborati lunghi che comportino
valutazioni approfondite da sviluppare. Risulta molto più facile scegliere
e sposare una tesi senza una qualsiasi forma di critica nei confronti
dell'altra. Per quanto attiene il mondo imprenditoriale occorre affermare
che, in tale settore vi è stata da molti anni una sostanziale
anticipazione di una forma di linguaggio essenziale e pragmatica. Tale
tendenza si è accentuata con l'uso sempre più frequente, dei moderni
sistemi di comunicazione: chi invia e-mail, sms e parla attraverso il
telefono cellulare deve necessariamente ridurre all'osso la forma di
espressione. Ovviamente, nell'ottica della globalizzazione, il predetto
indirizzo si accentua sempre di più proprio per evitare questioni
interpretative. Il problema sorge quando i due mondi si incontrano per la
soluzione di una vertenza o per esaminare una situazione particolare. Far
sedere allo stesso tavolo il giurista e l'imprenditore è oggi certamente
più difficile di ieri soprattutto in considerazione del fatto che
l'evoluzione della legislazione crea sempre di più una serie di percorsi
ad ostacoli la cui logica di percorrenza è difficile da individuare.
Da un lato, l'imprenditore tende ad una visione estremamente semplice
cercando di imporre una strategia in tale ottica, dall'altro lato, il
giurista è costretto a ricordare i limiti che il predetto comportamento
incontra.
Da tale incontro-scontro nasce spesso una sorta di dialettica dalla quale
sortisce un risultato vagamente irreale dove le rispettive priorità
vengono spesso salvate attraverso una sorta di compromesso linguistico
sostanziale dove tutti restano soddisfatti e, nello stesso tempo, delusi.
Questa tendenza risulta in maniera inequivocabile negli atti giuridici
classici con sbocco giudiziario; la differenza si annulla, invece,
nell'ambito contrattualistico dove le rispettive esigenze riescono a
contemperarsi in maniera positiva e dove la dialettica con la controparte
è finalizzata all'incontro e non allo scontro. Resta comunque il fatto che
il problema dell'uso di un linguaggio comune è di estrema attualità e, in
prospettiva, di difficile soluzione. Basta vedere, infatti, in quale modo
parlino oggi i giovani, futuri giuristi o imprenditori non ha importanza,
per rendersi conto che i confini di questo mondo si allungano sempre di
più.
La tendenza è quella, tipicamente di scuola anglosassone, di semplificare,
ridurre ma non bisogna dimenticare che tale ottica porta spesso all'errore
in quanto la rapidità non si sposa sempre con la necessità
dell'approfondimento del tema.
Credo che nessuno rimpianga il linguaggio paludato, pieno di aforismi,
citazioni che ha contraddistinto la nostra civiltà giuridica per decenni e
ciò risulta evidente quando si leggono sentenze che per pagine e pagine
affrontano in modo eccessivo tematiche che in sostanza oggi sono
considerate risibili. E ciò per il gusto esclusivo di una forma di
compiacimento culturale.
La cultura, in tutte le sue accezioni, dovrebbe essere finalizzata ad una
sorta di costruzione di un nuovo linguaggio che, da un lato, dovrebbe
guardare alla naturale evoluzione delle forme di comunicazione della
società e, dall'altro, conservare e tutelare quel patrimonio giuridico
che, comunque, è alla base di tutti i sistemi. Il mondo imprenditoriale,
sotto questo profilo, dovrebbe farsi carico di accettare delle regole
valide per tutti dove possano tranquillamente trovare spazio quelle
tematiche giuridiche che, comunque, non possono essere ignorate.
Ne risulterebbero avvantaggiati tutti i rapporti di natura economica e
giuridica e, probabilmente si riuscirebbero ad evitare quelle
conflittualità spesso puramente strumentali che caratterizzano oggi la
società. In tale prospettiva potrebbero guadagnarci tutti perché
attraverso la certezza del linguaggio si ottiene anche una chiarezza dei
rapporti complessivi: in tal modo il lavoro potrebbe essere per tutti più
proficuo.
In caso contrario si accentuerebbe una sorta di tendenza oggi strisciante
che, al contrario, per evitare potenziali problematiche di tipo
giudiziario, è portata ad inserire ed infarcire atti, contratti o ogni
documento avente valenza economica di tutta una serie di dichiarazioni
mignon, di aggiunte, di reiterazioni di concetti per i quali basterebbe il
semplice richiamo alla normativa vigente. In sostanza il divario fra
linguaggio giuridico ed imprenditoriale o commerciale è molto più ridotto
di quanto si creda.
Basterebbe poco per percorrere insieme la stessa strada. Indubbiamente un
rilevante contributo dovrebbe darlo il Legislatore eliminando tutta quella
normativa superata ed obsoleta che troppo spesso, in chiave
interpretativa, allontana i due mondi.
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