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Il sistema della previdenza pubblica è sotto pressione in Italia ed in altri Paesi europei. In maniera ossessiva viene evidenziata la sua onerosità, l'insufficienza
dei contributi versasti per far fronte alle prestazioni da erogare. Alla previdenza integrativa, aziendale e privata, si richiede un maggior peso per alleggerire quella pubblica. Con la
previdenza, però, non si scherza. La recente crisi dei mercati finanziari negli Stati Uniti ha fatto registrare il fallimento di molte imprese con pesanti, negative ripercussioni sui relativi
fondi pensione che avevano investito in azioni delle stesse società. Credo che questo sia uno dei motivi del calo di fiducia complessivo degli americani che va traducendosi nella perdita di
valore del dollaro nei confronti di euro e yen. I lavoratori americani dipendenti da società in crisi, in molti casi hanno perso il posto di lavoro ed hanno vista compromessa la loro posizione
previdenziale. Un lavoratore in giovane età, pur con tutte le difficoltà, può ricercare un nuovo impiego, ma se è in età pensionabile, difficilmente potrà ricostituire un'adeguata posizione
previdenziale. Le vicende finanziarie relative agli Stati Uniti sono di grande insegnamento per l'Europa. La prima riflessione attiene all'opportunità che determinati servizi di pubblica utilità
vengano forniti dallo Stato. La gestione della previdenza, a mio avviso, è una di queste particolari attività, paragonabile alla difesa nazionale, ordine pubblico, sanità, istruzione,
approvvigionamento energetico per il sistema produttivo nazionale. Ciò non toglie validità all'idea che la previdenza pubblica, non esaustiva dei bisogni dei cittadini serviti, venga integrata
con fondi di previdenza aziendali e con sottoscrizione di piani personali di investimento con medesima finalità. Olanda e Regno Unito fanno scuola in questo campo, vista l'entità del patrimonio
dei regimi pensionistici del secondo pilastro (quelli non statali) in rapporto al prodotto interno lordo: rispettivamente 111,1% e 80,9%; in Italia siamo al 2,6%, in Germania, Spagna e Francia
il rapporto è pari al 16,3%, 7%, 6,6%. Il diverso trattamento fiscale che incentiva lo sbocco pensionistico privato per risparmi individuali e collettivi ha un peso determinante. Il dato
inglese, in particolare, consegue ad una maggiore flessibilità della politica previdenziale con opzioni che consentono di ridurre i contributi versati all'assicurazione generale. Resta la
necessità di preservare il primo, fondamentale pilastro della previdenza a cura dello Stato, non escludendo interventi condivisi con le parti sociali interessate, tesi a favorire l'equilibrio
dei conti nel mutevole scenario demografico e reddituale del Paese. Va in questa direzione l'impegno preso dai 15 Paesi membri della Comunità europea di presentare entro il 2004 un programma
nazionale di adeguatezza, sostenibilità e modernizzazione del proprio sistema pensionistico. Le riforme realizzate nel nostro Paese hanno rimesso in carreggiata il sistema: dal 13,8% del 2000 la
spesa pensionistica si adeguerà al 15,7% del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2040, con successiva discesa al disotto del 14% del Pil, non lontano dal 13,3% che è la media attesa nell'Europa dei
quindici. A legislazione invariata, senza le riforme Prodi e Dini, tale incidenza sarebbe stata del 23,27%. La Francia e la Germania hanno avviato programmi di modifiche ai loro sistemi
pensionistici. In Francia si registrano reazioni popolari che potrebbero destabilizzare il sistema sociale. Come dicevo sopra, con la previdenza non si scherza. Il governo francese ha affrontato
il problema con inusitata determinazione, suscitando perplessità sull'opportunità di un simile atteggiamento che potrebbe rivelarsi controproducente. Ritengo che i sistemi pensionistici europei,
a prevalente matrice statale, in questa fase storica rappresentino uno strumento importante di stabilizzazione dell'economia attraverso livelli incomprimibili di consumi e servizi riferibili ai
percettori degli assegni di pensione. Ritengo altresì che la relativa tranquillità sociale in Europa e l'accettabile livello di fiducia complessivo non siano disgiunti dal funzionamento del
sistema pensionistico che sovente svolge una vera e propria funzione di sostegno al reddito delle famiglie, offrendo un segno tangibile di solidarietà dello Stato. Questo spiega in parte il
perché dei flussi finanziari che premiano l'euro in sostituzione del dollaro. Non si può certo dire che l'economia europea sia in miglior salute attuale e prospettica rispetto a quella
americana. Evidentemente i risparmiatori e gli investitori danno grosso peso e merito al giudizioso modello europeo, rispettoso delle esigenze di lavoratori e pensionati, avendo toccato con mano
l'insensibilità e superficialità del sistema americano che non ha saputo porre freno alla scorrettezza delle aziende laddove hanno bruciato anche le risorse accantonate e finalizzate alla
copertura previdenziale. A tal riguardo la General Motors ha programmato emissioni record di prestiti obbligazionari per 13 miliardi di dollari destinati a rafforzare la propria posizione
finanziaria ed a risanare i piani pensionistici aziendali in crisi. Gran parte dei fondi sarà spesa quindi per solidificare i piani pensionistici che a fine 2002 risultavano sottocapitalizzati
per 19,3 miliardi di dollari. General Motors è diventata una delle grandi aziende americane a dover affrontare simili conseguenze senza possibilità di rinvio. I deficit pensionistici accumulati
dalle società rappresentate dall'indice di borsa "Standard & Poor's 500", secondo stime dell'Unione di Banche Svizzere (UBS), hanno raggiunto i 239 miliardi di dollari. "Il Sole 24 Ore" dell'11
luglio (a firma di Corrado Poggi) riporta alcuni dei tanti casi di aziende americane che hanno gestito con leggerezza i fondi pensione dirottando denaro su altri conti in sofferenza,
contribuendo con queste pratiche alla nascita del problema pensioni. La "Lucent Technology", ad esempio, tra il 2001 e il 2002 ha utilizzato 800 milioni di dollari del fondo pensionistico per
pagare le liquidazioni di 54mila impiegati che era stata costretta a licenziare. Il piano Lucent è così passato dall'avere 5,5 miliardi di dollari di più di quelli previsti dalla legge alla data
del 30 settembre 2001 all'essere in rosso per 1,7 miliardi di dollari rispetto ai limiti previsti dalla legge esattamente un anno dopo. Per il nostro Paese si richiamano in maniera ossessiva le
difficoltà di equilibrio finanziario nel periodo 2020-2040, tenendo conto del prevedibile calo demografico e del costante aumento della speranza di vita. Si ragiona prevedendo sviluppi
dell'economia a livelli insufficienti per sostenere il bilancio previdenziale pubblico. Tutto questo può essere vero ma riflette sfiducia e pessimismo. Il Consiglio Europeo in occasione di
riunioni a Lisbona e Stoccolma ha definito strategie che tengono insieme maggiore impiego, riforme sociali e mercato del lavoro, evidenziando che la chiave di congiunzione di questi obiettivi è
l'innalzamento del tasso d'occupazione. In Europa si discute e si propone di non tener conto delle risorse destinate agli investimenti ai fini del calcolo del deficit annuale di bilancio in
rapporto al prodotto nazionale lordo (pil). Penso che la medesima considerazione possa farsi per una quota di deficit relativa al travaso previdenziale, limitatamente ad un numero ristretto di
esercizi, laddove i consumi conseguenti rappresentino un benefico strumento di stabilizzazione, nelle more del ritorno in positivo del ciclo economico che faccia recuperare risorse e consenta di
rettificare i fondamentali parametri regolatori del sistema (livello di contributi, anni di contribuzione, età pensionabile).
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