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La dottrina prevalente definisce pubblica quell'opera eseguita da un ente pubblico, di carattere immobiliare, destinata al conseguimento di un pubblico interesse.
L'opera pubblica si contrappone all'opera di pubblica utilità, riconoscendosi che quest'ultima, pur soddisfacendo interessi collettivi e possedendo un carattere immobiliare, non è realizzata da un ente pubblico, ma da un soggetto privato. Più precisamente, considerato che l'esproprio è eseguito per realizzare opere di "pubblico interesse" (si vedano art. 42, co. 3, Cost. e art. 2 L. n.
2359/1865: i termini "pubblica utilità", "pubblico interesse", "interesse generale" sono sostanzialmente equivalenti), queste si dividono in due categorie, a seconda che il soggetto incaricato sia pubblico oppure privato; le prime, compiute da soggetti pubblici, verranno definite opere pubbliche; le seconde, compiute da privati, verranno definite opere (private) di pubblica utilità.
La distinzione, nell'ambito delle opere di "pubblico interesse", tra opere pubbliche e opere (private) di pubblica utilità, è rilevante soprattutto nella individuazione del regime giuridico - e quindi del procedimento - applicabile. In particolare, con l'entrata in vigore della L. n. 1/78, la distinzione tra opere pubbliche e opere (private) di pubblica utilità rileva (oltre che allo scopo
di riconoscere all'approvazione del progetto il valore di dichiarazione "implicita" di pubblica utilità) in relazione alla possibilità per l'ente pubblico di redigere lo stato di consistenza - ai sensi dell'art. 3 della L. n. 1/78 cit. - dopo l'adozione del decreto di occupazione d'urgenza, contestualmente all'immissione in possesso dell'immobile (in deroga alla regola generale posta
dall'art. 71 della L. n. 2359/1865, secondo cui la redazione dello stato di consistenza precede il provvedimento di occupazione d'urgenza).
Alle opere (private) di pubblica utilità non si applica lo speciale regime acceleratorio previsto dall'art. 3 della succitata L. n. 1/78, che trova invece applicazione con riferimento alle opere pubbliche contemplate nell'art. 1 della stessa legge, di competenza degli "organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e di Bolzano e degli altri enti territoriali".
È sorta questione se gli interventi di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata realizzati dagli Istituti Autonomi per le Case Popolari (Enti pubblici non territoriali) delegati da Enti territoriali rientrino fra le opere pubbliche individuate dall'art. 1 della L. n. 1/78 e meritino ex se la qualifica propria di "opere pubbliche".
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha più volte affermato (si vedano sentt. 6 febbraio 1990, n. 1; 6 ottobre 1995, n. 29; 13 dicembre 1995, n. 35), in riferimento ad interventi di edilizia residenziale pubblica c. d. agevolata o convenzionata eseguiti da soggetti privati (che si traducono nella realizzazione di beni di proprietà privata, superficiaria o piena), che tali interventi
non possono essere qualificati come opere pubbliche in senso stretto (per difetto del requisito soggettivo).
La Sez. IV del Consiglio di Stato (sent. n. 1389 del 27/10/98 - giudizio di appello promosso dall'Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Salerno) ha osservato che - in ossequio ai principi esposti nelle citate sentenze dell'Adunanza Plenaria - anche nel caso di edilizia sovvenzionata (realizzata da I.A.C.P.) l'art. 3 della L. n. 1/78 è inapplicabile, non trattandosi di
opere pubbliche realizzate da Enti territoriali. E nell'ordinanza n. 521 del 6/4/99, con la quale la Sez. IV del Consiglio di Stato ha rimesso all'esame dell'Adunanza Plenaria la soluzione della questione, il Collegio - pur ritenendo che per l'edilizia residenziale pubblica sovvenzionata potrebbe seguirsi un diverso e opposto ordine di argomentazioni rispetto a quelle della sent. n. 1389 del
27/10/98 cit. - sostiene che gli interventi di edilizia residenziale pubblica, "quale che sia il soggetto che li realizza, non potrebbero essere qualificati come opera pubblica in senso stretto, ma solo come opera di pubblica utilità".
"Ed invero, l'opera pubblica si connota per la sua fruibilità in via contemporanea da parte di un numero potenzialmente indeterminato di soggetti (es.: strade, acquedotti, scuole); invece, gli alloggi di edilizia residenziale non sono suscettibili di un godimento contemporaneo e collettivo, ma di godimento individuale, sulla base di una graduatoria di assegnazione". Appare, peraltro, curiosa
la creazione di una categoria di opere di pubblica utilità che, pur appartenendo ad enti pubblici, non costituiscano "opere pubbliche"; una sorta di tertium genus tra opere pubbliche e opere (private) di pubblica utilità. Di recente, l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con la decisione n. 9 del 25 gennaio 2000, è pervenuta alla conclusione che le opere realizzate dagli Istituti
Autonomi per le Case Popolari presentano i requisiti propri dell'opera pubblica. Il requisito soggettivo, giacché gli alloggi, una volta costruiti, entrano a far parte del patrimonio di enti pubblici (del Comune, al quale perverranno successivamente per consolidazione). L'I.A.C.P. sono enti pubblici, strumentali alle Regioni e il risultato dell'attività dell'I.A.C.P. è sostanzialmente
riferibile alla Regione (che approva il programma e finanzia l'intervento).
Sicché, quando questi ultimi curano la costruzione di alloggi di edilizia residenziale pubblica (art. 2, lett. b, D.p.r. 14/2/75, n. 226), agiscono al "servizio di funzioni attribuite alle Regioni" (Corte Cost., 29/12/1992, n. 486).
Inoltre - rileva l'Adunanza Plenaria - nell'atto di localizzazione, con il quale i Comuni individuano l'area dove realizzare l'opera, è insito il sostanziale assenso del Comune circa il progetto da attuare. Cosicché la riferibilità dell'intervento di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata all'art. 1 della L. n. 1/78 trova un ulteriore sostegno, poiché la norma (co. 1) richiede che gli
organi degli "enti territoriali" si pronunzino sul progetto di opera pubblica, non anche che il progetto sia definito da organi o uffici tecnici degli stessi enti. Il requisito finalistico (e, sul punto, la pronuncia introduce una nozione innovativa di "pubblico interesse"), in quanto, diversamente da quanto ipotizzato nella ordinanza di rimessione n. 521 del 6/4/99, l'uso generale da parte
della collettività non costituisce connotato indefettibile dell'opera pubblica, "ed è normale che la fruizione avvenga in base a criteri selettivi, quando l'interesse pubblico che l'opera è destinata a realizzare consista nella soddisfazione di interessi individuali e la domanda dei privati risulti eccedente rispetto alla disponibilità del bene".
Per completezza di indagine, è significativo porre in rilievo che i regimi giuridici delle opere pubbliche e delle opere di pubblica utilità sembrano essere unificati nelle innovazioni introdotte dall'art. 32 della L. n. 265/99, poi confermato dall'art. 121 del D.Lgs. n. 267/2000 (che si riferiscono alle "opere e lavori pubblici o di pubblico interesse, compresi gli interventi di edilizia
residenziale pubblica" realizzati dai Comuni); ancora più incisivamente, nel Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità (D.p.r. n. 327/2001), laddove si legge (art. 12 L-R) che la dichiarazione di p. u. si intende disposta "quando è approvato il progetto definitivo dell'opera pubblica o di pubblica utilità".
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