1) IL RECUPERO DEI CREDITI
SOGNO ED INCUBO DELLE IMPRESE
2) TRASFERIMENTO D’AZIENDA
LA POSIZIONE DEI LAVORATORI
3) OBBLIGO DI RESA DEL CONTO GIUDIZIALE
LA NOZIONE DI AGENTE CONTABILE
4) IMPRESE E TASSAZIONE
PRIME RIFLESSIONI

 

a cura di Francesca Zamparelli
IMPRESE E TASSAZIONE
PRIME RIFLESSIONI
Dalla riforma Visco alla controriforma Tremonti
di Adriano Barbarisi Presidente Ordine Dottori Commercialisti di Salerno
 

L’imposizione sulle imprese costituisce materia estremamente complessa, ed è anche per tale motivo che non esistono opinioni univoche su come dovrebbero essere tassate le imprese. Non meraviglia, allora, se nel nostro Paese ad una riforma fiscale ancora in corso di completamento se ne sovrapponga una nuova, ispirata a linee guida e principi fondanti affatto diversi.
Con questo intervento e gli altri che seguiranno, si prova ad avviare un primo raffronto tra il sistema vigente e quello che verrà, muovendo dalla situazione italiana nella quale si è inserita la riforma Visco.

La posizione deviante dell'Italia all'atto dell'introduzione della riforma Visco

Riconosciuto che la mancanza di opinioni univoche su come tassare le imprese dipende anche dall'estrema complessità della materia, va subito aggiunto che vi sono, però, buoni motivi per ritenere che la relativa normativa dovrebbe essere il più possibile neutrale, evitando, perciò, di interferire con le decisioni delle imprese stesse. Al contrario, l'esperienza concreta è stata caratterizzata, pressoché in tutti i Paesi industrializzati, da un'evoluzione estremamente disordinata della legislazione, essendosi ovunque affiancate alle norme ordinarie del sistema tributario specifiche normative introdotte per i più diversi scopi; e tra questi, preminente quello di aumentare il prelievo a favore dello Stato. L'effetto dell'elevato livello raggiunto dal prelievo tributario nei vari Paesi è stato quello di generare, per un verso, una diffusa e crescente insoddisfazione; e, per altro, una particolare attenzione per i contenuti di efficienza, di equità e di trasparenza, nonché per il grado di semplicità dei sistemi tributari vigenti. Ma, mentre negli altri Paesi considerazioni di efficienza e la consapevolezza degli effetti disincentivanti di aliquote elevate hanno spinto, sin dalla metà degli anni '80, ad una riduzione delle aliquote legali d'imposta e ad un allargamento delle basi imponibili, in Italia si è proceduto ancora per un decennio in direzione opposta, indebolendo ancor di più il sistema di imposizione delle imprese, accettuandone i potenziali effetti disincentivanti e ponendo così seri vincoli allo sviluppo. Ed infatti, nello stesso periodo, dal 1985 al 1996, nel quale gli altri Paesi europei abbassavano le loro aliquote, in Italia i tassi di imposta sui redditi societari aumentavano di ben sette punti percentuali, passando dal 46,37% al 53,20%. Aggiungendo, poi, il peso dei tributi minori si perveniva ad un'aliquota complessiva ampiamente superiore al 60%, che non aveva uguali nei Paesi dell'Unione. E tale posizione di svantaggio già con riferimento alle sole aliquote nominali, si rafforzava se si fossero raffrontate le aliquote effettive, rendendo con ciò particolarmente fertile il terreno di coltura di distorsioni e disincentivazioni.
Ne risultavano particolarmente amplificate le interferenze che il sistema esercitava:
a) sulla localizzazione internazionale degli investimenti;
b) sulla scelta delle fonti di finanziamento;
c) sulla localizzazione degli utili d'impresa;
d) sulle politiche di distribuzione degli utili.
Su tali interferenze conviene soffermarsi un momento almeno, per comprendere con chiarezza le scelte di principio sin qui fatte ed avere a disposizione elementi di valutazione circa il fisco che verrà.
a) Certamente il processo decisionale che guida le imprese nell'effettuazione degli investimenti è estremamente complesso, sicché non è per nulla agevole valutare gli effetti esercitati dal fattore imposte su questa importante componente della domanda aggregata. Ancora meno agevole è allora la valutazione della misura in cui un sistema tributario come quello adottato in Italia in quegli anni, confrontato con quello di altri Paesi, incentivasse o disincentivasse gli investimenti all'interno del Paese rispetto a quelli all'estero, tanto se effettuati da imprese residenti che da imprese estere. Nonostante tali difficoltà, è possibile affermare che il sistema impositivo vigente in Italia non era affatto favorevole all'investimento interno poiché poneva un cuneo di imposta sugli investimenti più elevato di quello posto dai sistemi tributari vigenti in altri Paesi.
b) La penalizzazione degli investimenti interni si attenuava, però, sensibilmente se gli stessi fossero stati finanziati con debito, invece che con capitale proprio. E ciò perché alla deducibilità degli interessi passivi non si accompagnava, nella determinazione del reddito d'impresa, un'analoga deducibilità del costo dei finanziamenti effettuati con capitale di rischio ovvero misura equivalente.
La questione era, ed è, di grande importanza per il nostro Paese, in considerazione soprattutto di due spiccate peculiarità del sistema produttivo nazionale, e cioè: una struttura costituita in larga misura da imprese di piccole e piccolissime dimensioni ed una forte propensione, anche da parte delle imprese maggiori, all'indebitamento. Caratteristiche queste, che, se non avevano ostacolato l'imporsi di un modello italiano di successo, a seguito dell'evoluzione dei mercati e delle tecnologie e delle conseguenti esigenze di ragionare in termini dimensionali diversi e certamente più ampi, ormai mostravano tutti i propri limiti. Lo sviluppo trova, infatti, il propellente ideale nel capitale di rischio e tale principio, pur valido in assoluto, diventa imprescindibile in presenza di situazioni nelle quali gli investimenti aziendali assumono sempre più spesso natura immateriale e la varietà ambientale impone alle imprese un elevato grado di elasticità finanziaria che può essere garantito solo da un elevato livello di capitalizzazione. Nonostante le caratteristiche proprie dell'apparato produttivo italiano e le necessità dimensionali imposte dalla competizione internazionale, il sistema di tassazione adottato in Italia non solo avvantaggiava l'investimento finanziato con debito, ma era, tra i sistemi vigenti nei vari Paesi, quello che offriva il sussidio più elevato, tassando il patrimonio netto; consentendo di dedurre gli interessi passivi e di anticipare nel tempo la deducibilità degli ammortamenti; prevedendo a livello personale una tassazione meno elevata per gli interessi rispetto ai dividendi.
c) L'eccessiva onerosità del sistema di tassazione vigente poteva incidere anche sulla localizzazione di costi e ricavi, rendendo conveniente spostare i ricavi in Paesi con aliquote più basse e a concentrare i costi in Italia.
d) Infine, il sistema vigente avvantaggiava in non pochi casi le politiche di alti pay out in danno di quelle di ritenzione degli utili, ponendo così un ulteriore freno allo sviluppo.
In definitiva, il sistema tributario vigente prima della riforma Visco non possedeva alcuna capacità attrattiva e, quel che più conta, mentre per un verso favoriva le imprese che si finanziavano con l'indebitamento e quelle che, operando su più Paesi, riuscivano a trasferire i ricavi in territori a più bassa fiscalità e a concentrare i costi in Italia; per altro verso, disincentivava sia le nuove imprese che necessitavano di sottoscrizioni di capitali da parte dei soci, sia le imprese già mature, in grado di finanziare i propri progetti d'investimento con utili trattenuti. Ben gravi, allora, gli effetti penalizzanti esercitati da tale sistema sullo sviluppo; tanto più che, a causa della mancata armonizzazione delle normative nazionali in materia d'imposizione diretta, reale si prospettava il rischio di una competizione fiscale che impegnasse i singoli Stati a disegnare il prelievo in modo da massimizzare il benessere del proprio Paese, tenuto conto delle scelte fatte da altri; a preoccuparsi di offrire ai capitali trattamenti migliori di quelli ottenibili altrove; ad essere capaci, in definitiva, di esibire profili di tax appeal.

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