1) IL RECUPERO DEI CREDITI
SOGNO ED INCUBO DELLE IMPRESE
2) TRASFERIMENTO D’AZIENDA
LA POSIZIONE DEI LAVORATORI
3) OBBLIGO DI RESA DEL CONTO GIUDIZIALE
LA NOZIONE DI AGENTE CONTABILE
4) IMPRESE E TASSAZIONE
PRIME RIFLESSIONI

 

a cura di Lavinia Coppola
TRASFERIMENTO D’AZIENDA
LA POSIZIONE DEI LAVORATORI
Alcune normative per fornire nuove garanzie in materia
di Lorenzo Ioele Docente Diritto Sicurezza Sociale Università degli Studi di Salerno
 

I processi di esternalizzazione o di terziarizzazione di settori dell'attività imprenditoriale stanno assumendo, in questi ultimi anni, una rilevanza particolare.
In materia di trasferimento di azienda è stato emanato il d. lgs. 2 febbraio 2001 n. 18 che ha dato attuazione alla Direttiva Comunitaria 29 giugno 1998 n.98/50, novellando la disposizione dettata dall'art.2112 c.c. e modificando le disposizioni contenute nell'art.47, legge n.428/1990.
Si tratta di disposizioni entrate in vigore il 1 luglio 2001, in ordine alle quali non vi è ancora una elaborazione giurisprudenziale tale da fornire indicazioni univoche.
La finalità è la tutela della posizione dei lavoratori subordinati in occasione di trasferimento di azienda, o di parte dell'azienda, tant'è che è stata modificata persino la rubrica dell'art. 2112 cc che oggi recita «Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda». Il concetto di trasferimento di azienda o di parte dell'azienda merita una riflessione, anche perché recenti interventi giurisprudenziali hanno ritenuto la nullità di trasferimenti di azienda imputando nuovamente i rapporti di lavoro al cedente.
Il trasferimento di azienda, o di parte dell'azienda, costituisce espressione della libertà di iniziativa economica e può assolvere a diversi scopi pratici, da quello tradizionale dell'imprenditore che intende dismettere la propria attività, a quello di una razionalizzazione dei diversi segmenti dell'attività produttiva, senza dimenticare che molto spesso può costituire uno strumento per il salvataggio dell'impresa.
Le situazioni sottese alla vicenda trasferimento sono varie, e sovente complesse.
Il principio desumibile dall'ordinamento è quello del mantenimento dei diritti dei lavoratori subordinati attraverso quattro pilastri e cioè: la continuità dei rapporti di lavoro; la regolamentazione dell'applicazione del contratto collettivo; la responsabilità solidale di cedente e cessionario per i crediti maturati al tempo del trasferimento; una specifica procedura di informazione e consultazione sindacale ove siano occupati oltre quindici lavoratori. Il recente intervento legislativo ha inciso su vari aspetti della regolamentazione del trasferimento di azienda.
Il principale profilo di innovazione, sul quale intendo trattenermi, concerne proprio la nozione di "trasferimento di azienda", che è dettata dall'art.2112 c.c. "ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo".
La norma sembra stabilire una cesura netta con una lunga e consolidata tradizione che ricavava la nozione di trasferimento di azienda, ai fini della regolamentazione dei rapporti di lavoro, dalla nozione commercialistica.
Ci troviamo dunque di fronte ad una nozione di trasferimento di azienda funzionale alla disciplina dei rapporti di lavoro subordinati, diversa ed autonoma dalla nozione ricavabile dagli articoli 2555 e 2558 c.c..
Evidentemente la nozione laburistica è più ampia in quanto la sua maggiore latitudine consente l'applicabilità della disciplina di tutela ad un maggior numero di casi.
E questo conferma che la finalità del legislatore, pur nel rispetto dell'autonomia imprenditoriale, è stata quella di consentire l'applicabilità delle norme di tutela anche a casi e situazioni non perfettamente coincidenti con la nozione commercialistica di trasferimento di azienda.
Vi è da sottolineare, poi, che la nozione laburistica di trasferimento di azienda prevista dal legislatore italiano non coincide perfettamente con la nozione comunitaria incardinata nella direttiva n. 98/50, che pure è stata frutto di un processo elaborativo, non sempre univoco, risoltosi, poi, in un senso parzialmente divergente dalla precedente elaborazione della Corte di Giustizia.
L'aspetto fondamentale di differenziazione è dato dalla nozione di azienda, e soprattutto dalla rilevanza dei profili oggettivi, e cioè del complesso dei beni organizzati al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi.
In fin dei conti la Direttiva Comunitaria pone ancora l'accento sul trasferimento di una "entità economica", laddove il legislatore italiano, ha invece optato per una nozione "dematerializzata" in quanto ha posto l'accento sul «mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione e dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità».
La nuova formulazione valorizza il profilo dell'attività, e soprattutto della modificazione soggettiva del suo titolare che dunque viene ad assumere un ruolo centrale rispetto all'elemento oggettivo dato dall'azienda quale "entità economica". Questo non significa che potrebbe anche non esistere una azienda, comunque presupposta dal riferimento fatto dalla norma all'attività organizzata; nella nuova formulazione, però, l'oggetto del trasferimento appare innegabilmente più elastico ed idoneo a ricomprendere anche fattispecie in cui non vi è una cessione di rilevanti beni strumentali. Assume, insomma, rilievo preponderante la cessione di beni immateriali e dei rapporti di lavoro intesi come organizzazione di persone. Il nuovo testo, poi, fornisce anche una definizione di ramo di azienda il cui trasferimento era già ritenuto possibile da una giurisprudenza ormai consolidata.
L'aspetto significativo del nuovo testo normativo va individuato nel fatto che il ramo di azienda, suscettibile di essere trasferito, è individuato in una "articolazione funzionalmente autonoma" della più ampia attività economica organizzata, la quale però, deve essere «preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità», con una formulazione che induce l'accostamento all'unità produttiva individuata dallo Statuto dei lavoratori.
Il trasferimento del ramo di azienda è configurabile quando esso riguarda rami di attività che già presentano una loro autonomia funzionale; a mio avviso non anche gestionale o amministrativa, poiché - prima del trasferimento - tale articolazione è pur sempre riconducibile all'unitaria attività economica e dunque all'unitaria gestione dell'imprenditore cedente. Emerge dunque un limite importante all'autonomia privata dell'imprenditore il quale non potrà cedere un ramo di azienda individuandolo attraverso l'atto di cessione, ma dovrà necessariamente prima organizzare l'autonomia funzionale del segmento di attività da cedere successivamente.
Un limite che può condizionare proprio i processi di esternalizzazione o terziarizzazione di settori dell'attività economica.
La nozione di trasferimento di azienda è stata ampliata anche sotto il profilo del titolo da cui esso deriva, che è costituito da "qualsiasi operazione" dalla quale derivi il mutamento della titolarità dell'attività «a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato».
In tal modo nella fattispecie trasferimento di azienda, possono essere inclusi i trasferimenti coattivi ed anche i processi di esternalizzazione o terziarizzazione dei servizi frutto di una pluralità di atti negoziali.
In conclusione la fattispecie di trasferimento di azienda è stata notevolmente ampliata sotto il profilo dei suoi elementi costitutivi ai fini dell'applicabilità delle garanzie, mentre l'autonomia negoziale dell'imprenditore è stata ristretta con riferimento al trasferimento del ramo di azienda, possibile quando questo ha una sua autonomia funzionale.

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