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I
processi di esternalizzazione o di terziarizzazione di settori
dell'attività imprenditoriale stanno assumendo, in questi ultimi anni, una
rilevanza particolare.
In materia di trasferimento di azienda è stato emanato il d. lgs. 2
febbraio 2001 n. 18 che ha dato attuazione alla Direttiva Comunitaria 29
giugno 1998 n.98/50, novellando la disposizione dettata dall'art.2112 c.c.
e modificando le disposizioni contenute nell'art.47, legge n.428/1990.
Si tratta di disposizioni entrate in vigore il 1 luglio 2001, in ordine
alle quali non vi è ancora una elaborazione giurisprudenziale tale da
fornire indicazioni univoche.
La finalità è la tutela della posizione dei lavoratori subordinati in
occasione di trasferimento di azienda, o di parte dell'azienda, tant'è che
è stata modificata persino la rubrica dell'art. 2112 cc che oggi recita
«Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di
azienda». Il concetto di trasferimento di azienda o di parte dell'azienda
merita una riflessione, anche perché recenti interventi giurisprudenziali
hanno ritenuto la nullità di trasferimenti di azienda imputando nuovamente
i rapporti di lavoro al cedente.
Il trasferimento di azienda, o di parte dell'azienda, costituisce
espressione della libertà di iniziativa economica e può assolvere a
diversi scopi pratici, da quello tradizionale dell'imprenditore che
intende dismettere la propria attività, a quello di una razionalizzazione
dei diversi segmenti dell'attività produttiva, senza dimenticare che molto
spesso può costituire uno strumento per il salvataggio dell'impresa.
Le situazioni sottese alla vicenda trasferimento sono varie, e sovente
complesse.
Il principio desumibile dall'ordinamento è quello del mantenimento dei
diritti dei lavoratori subordinati attraverso quattro pilastri e cioè: la
continuità dei rapporti di lavoro; la regolamentazione dell'applicazione
del contratto collettivo; la responsabilità solidale di cedente e
cessionario per i crediti maturati al tempo del trasferimento; una
specifica procedura di informazione e consultazione sindacale ove siano
occupati oltre quindici lavoratori. Il recente intervento legislativo ha
inciso su vari aspetti della regolamentazione del trasferimento di
azienda.
Il principale profilo di innovazione, sul quale intendo trattenermi,
concerne proprio la nozione di "trasferimento di azienda", che è dettata
dall'art.2112 c.c. "ai fini e per gli effetti di cui al presente
articolo".
La norma sembra stabilire una cesura netta con una lunga e consolidata
tradizione che ricavava la nozione di trasferimento di azienda, ai fini
della regolamentazione dei rapporti di lavoro, dalla nozione
commercialistica.
Ci troviamo dunque di fronte ad una nozione di trasferimento di azienda
funzionale alla disciplina dei rapporti di lavoro subordinati, diversa ed
autonoma dalla nozione ricavabile dagli articoli 2555 e 2558 c.c..
Evidentemente la nozione laburistica è più ampia in quanto la sua maggiore
latitudine consente l'applicabilità della disciplina di tutela ad un
maggior numero di casi.
E questo conferma che la finalità del legislatore, pur nel rispetto
dell'autonomia imprenditoriale, è stata quella di consentire
l'applicabilità delle norme di tutela anche a casi e situazioni non
perfettamente coincidenti con la nozione commercialistica di trasferimento
di azienda.
Vi è da sottolineare, poi, che la nozione laburistica di trasferimento di
azienda prevista dal legislatore italiano non coincide perfettamente con
la nozione comunitaria incardinata nella direttiva n. 98/50, che pure è
stata frutto di un processo elaborativo, non sempre univoco, risoltosi,
poi, in un senso parzialmente divergente dalla precedente elaborazione
della Corte di Giustizia.
L'aspetto fondamentale di differenziazione è dato dalla nozione di
azienda, e soprattutto dalla rilevanza dei profili oggettivi, e cioè del
complesso dei beni organizzati al fine della produzione o dello scambio di
beni o servizi.
In fin dei conti la Direttiva Comunitaria pone ancora l'accento sul
trasferimento di una "entità economica", laddove il legislatore italiano,
ha invece optato per una nozione "dematerializzata" in quanto ha posto
l'accento sul «mutamento nella titolarità di una attività economica
organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione e dello
scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva
nel trasferimento la propria identità».
La nuova formulazione valorizza il profilo dell'attività, e soprattutto
della modificazione soggettiva del suo titolare che dunque viene ad
assumere un ruolo centrale rispetto all'elemento oggettivo dato
dall'azienda quale "entità economica". Questo non significa che potrebbe
anche non esistere una azienda, comunque presupposta dal riferimento fatto
dalla norma all'attività organizzata; nella nuova formulazione, però,
l'oggetto del trasferimento appare innegabilmente più elastico ed idoneo a
ricomprendere anche fattispecie in cui non vi è una cessione di rilevanti
beni strumentali. Assume, insomma, rilievo preponderante la cessione di
beni immateriali e dei rapporti di lavoro intesi come organizzazione di
persone. Il nuovo testo, poi, fornisce anche una definizione di ramo di
azienda il cui trasferimento era già ritenuto possibile da una
giurisprudenza ormai consolidata.
L'aspetto significativo del nuovo testo normativo va individuato nel fatto
che il ramo di azienda, suscettibile di essere trasferito, è individuato
in una "articolazione funzionalmente autonoma" della più ampia attività
economica organizzata, la quale però, deve essere «preesistente come tale
al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità»,
con una formulazione che induce l'accostamento all'unità produttiva
individuata dallo Statuto dei lavoratori.
Il trasferimento del ramo di azienda è configurabile quando esso riguarda
rami di attività che già presentano una loro autonomia funzionale; a mio
avviso non anche gestionale o amministrativa, poiché - prima del
trasferimento - tale articolazione è pur sempre riconducibile all'unitaria
attività economica e dunque all'unitaria gestione dell'imprenditore
cedente. Emerge dunque un limite importante all'autonomia privata
dell'imprenditore il quale non potrà cedere un ramo di azienda
individuandolo attraverso l'atto di cessione, ma dovrà necessariamente
prima organizzare l'autonomia funzionale del segmento di attività da
cedere successivamente.
Un limite che può condizionare proprio i processi di esternalizzazione o
terziarizzazione di settori dell'attività economica.
La nozione di trasferimento di azienda è stata ampliata anche sotto il
profilo del titolo da cui esso deriva, che è costituito da "qualsiasi
operazione" dalla quale derivi il mutamento della titolarità dell'attività
«a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base
dei quali il trasferimento è attuato».
In tal modo nella fattispecie trasferimento di azienda, possono essere
inclusi i trasferimenti coattivi ed anche i processi di esternalizzazione
o terziarizzazione dei servizi frutto di una pluralità di atti negoziali.
In conclusione la fattispecie di trasferimento di azienda è stata
notevolmente ampliata sotto il profilo dei suoi elementi costitutivi ai
fini dell'applicabilità delle garanzie, mentre l'autonomia negoziale
dell'imprenditore è stata ristretta con riferimento al trasferimento del
ramo di azienda, possibile quando questo ha una sua autonomia funzionale.
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