|
Parlare
di problematiche relative al recupero dei crediti vuol dire, nella
maggioranza dei casi, per un imprenditore affondare il dito nella piaga.
Nell'attuale difficile situazione, tale aspetto, comunque essenziale nella
vita di una impresa, introduce un elemento di criticità particolarmente
duro da assorbire. È, infatti, indubbio che le difficoltà relative al
recupero del credito, prima ancora che all'effettiva possibilità di uno
sbocco positivo, sono strettamente legate ai tempi dello stesso con le
conseguenze in termini di costi, anche finanziari, a tutti ben note.
L'imprenditore che si trova nella situazione di recuperare propri crediti,
a prescindere dal carattere fisiologico degli stessi, sa perfettamente di
dover oggi prioritariamente valutare la convenienza di procedere in tal
senso in quanto, molto spesso, i costi dell'intera operazione rischiano di
superare il capitale recuperabile.
Nell'esaminare l'attuale legislazione in ottica esclusivamente pratica, è
possibile rendersi conto con facilità di tutta la problematica. Nel caso
in cui il creditore sia privo di un titolo esecutivo (assegno, cambiale,
tratta accettata) dovrà necessariamente richiedere un decreto ingiuntivo
al Giudice competente. Normalmente fra la data di deposito del ricorso e,
in caso di emissione del decreto, il ritiro delle copie per la notifica
decorrono circa dieci giorni, nel migliore dei casi. Successivamente,
dalla data della notifica, il debitore ha quaranta giorni di tempo (in
genere sfruttati integralmente) per poter proporre opposizione con la
quale si dovrebbe fissare una udienza al massimo nei novanta giorni
successivi. Una volta instauratosi il giudizio si dovrà attendere la
seconda udienza per la quale occorrono almeno sessanta giorni, per poter
richiedere la provvisoria esecuzione del decreto nel caso in cui
l'opposizione fosse palesemente infondata o dilatoria. Dato per scontato
il provvedimento positivo del Giudice, occorrono minimo dieci giorni per
l'emissione dell'ordinanza e la relativa notifica alle parti. A questo
punto occorrerà registrare il decreto e, per procedere a tale incombenza
(oggi molto semplificato potendo utilizzare anche internet), occorrerà
mediamente attendere almeno trenta giorni affinché l'atto rientri in
Tribunale per l'apposizione dell'agognata formula esecutiva. Tempo decorso
dal deposito del ricorso: circa duecentocinquanta giorni sempre che,
ovviamente, nel corso della predetta procedura non intervengano elementi
di ulteriori difficoltà come problemi nella notifica, rinvii per
impedimenti del Giudice o comunque udienze più lunghe, scioperi vari o
altri problemi tipo smarrimento di fascicoli.
A questo punto, con l'agognato titolo in tasca, occorrerà scegliere la
procedura da seguire: pignoramento mobiliare, immobiliare o ricorso di
fallimento?
Per il primo sarà necessario notificare preliminarmente l'atto di precetto
(altri quindici giorni) e richiedere poi il pignoramento per il quale
occorrono altri sette giorni compatibilmente con gli impegni
dell'Ufficiale Giudiziario. Preso atto dell'eventuale pignoramento
positivo occorrerà richiedere la vendita dei beni in seguito alla quale il
Giudice dell'Esecuzione fissa l'udienza di comparizione a circa sessanta
giorni: in quella data sarà fissata la vendita con una doppia ipotesi: un
primo tentativo al prezzo di stima ed un secondo a prezzo libero.
All'effettiva vendita, nel migliore dei casi, si perverrà con esito
normalmente semi negativo entro centocinquanta giorni dalla notifica del
precetto. Nell'ipotesi di pignoramento immobiliare i tempi si allungano
ancora di più stimando in circa tre anni i tempi necessari per arrivare
alla vendita dalla notifica del precetto. Se si optasse, invece, per un
ricorso di fallimento si dovrebbe considerare la maggior difficoltà della
procedura in quanto molti Tribunali richiedono preliminarmente l'esercizio
di una procedura esecutiva negativa e, comunque, anche in tal caso, i
tempi non sono brevi. Ovviamente, tutto quanto precedentemente esplicato è
riferibile a situazioni valutate in termini statistici con l'ovvia
conseguenza che i termini enunciati possono ridursi oppure allungarsi
sensibilmente. La conclusione, comunque, non può non essere univoca nel
senso che, aggiungendo alle lungaggini giudiziarie, i costi della
procedura appare chiaro come l'azienda che tenti il recupero dei propri
crediti debba affrontare una via crucis che incide sotto il profilo
economico, finanziario e psicologico. Tanto è vera questa considerazione
che, già da molti anni diverse aziende rinunciano ai tentativi di recupero
preferendo ottenere, attraverso la cessione dei crediti, un vantaggio in
termini fiscali. Quali possono essere le soluzioni alla problematica
evidenziata? La risposta più ovvia dovrebbe essere quella di migliorare la
qualità del sistema giudiziario oppure modificare la procedura al solo
fine di accelerare i tempi sia pure nel rispetto dei diritti dei creditori
e dei debitori. Si tratta però di procedere a riforme di tipo strutturale
che implicano tempi lunghi soprattutto sotto il profilo dell'applicazione
pratica con l'ovvia conseguenza di verificare gli effetti positivi solo
fra qualche anno. Meglio sarebbe, forse, intervenire in maniera diversa
sui bilanci delle aziende. È noto, infatti, a titolo di esempio, che, in
caso di fallimento del debitore, il creditore potrà procedere alla
detrazione Iva del credito solo dopo il piano di riparto che accerti in
modo definitivo la totale o parziale irrecuperabilità del credito. Orbene
si potrebbe consentire alle aziende, appena si accerti l'insolvenza del
debitore, di poter definitivamente scegliere per la rinuncia al credito
con le ovvie conseguenze sul piano fiscale. Oppure, nel caso in cui si
decidesse comunque per il recupero del credito, fare in modo di ottenere i
benefici di cui sopra salvo poi tassare le eventuali sopravvenienze attive
derivanti dall'esito positivo degli atti legali.
Questa ipotesi dovrebbe servire a tutelare il creditore che, nell'attuale
situazione congiunturale, finisce sempre per pagare un prezzo altissimo
soprattutto in termini finanziari:gli interessi calcolati al tasso legale
coprono solo in parte i danni derivanti dal ricorso al credito bancario
per mantenere il giusto equilibrio nell'attività imprenditoriale. In
sostanza occorrerebbe superare l'esigenza di liquidità del creditore,
proponendogli un’alternativa che gli consenta di continuare l'azione di
recupero senza gli assilli cui si accennava in precedenza. Una ulteriore
strada da seguire potrebbe essere quella di penalizzare in qualche modo il
debitore cronico o che, comunque, artatamente ritardi i pagamenti lucrando
sulle spalle dei fornitori.
Ovviamente, atteso che l'imprenditore si trova sia nella condizione di
creditore che di debitore, tale finalità dovrebbe essere perseguita nei
confronti di chi, come detto precedentemente, sfrutti le carenze del
sistema e non nei confronti di che potrebbe trovarsi, spesso per le
difficoltà di ottenere quanto gli spetti in una situazione del genere.
Quello che, però, sembra ormai indifferibile è la necessità di intervenire
in questo delicato settore dando comunque un segnale nella direzione di
una moralizzazione al fine di premiare chi correttamente svolge la propria
attività.
Mantenere inalterata l'attuale situazione significherebbe alimentare una
sensazione di impotenza che non giova a chi, in ogni caso, investe
capitali e risorse con la prospettiva di avere comunque delle certezze e
le certezze in un Paese come l'Italia si possono ottenere solo con riforme
drastiche che devono incidere in primis sull'approccio ai problemi e
successivamente sui comportamenti.
torna su |