1) IL RECUPERO DEI CREDITI
SOGNO ED INCUBO DELLE IMPRESE
2) TRASFERIMENTO D’AZIENDA
LA POSIZIONE DEI LAVORATORI
3) OBBLIGO DI RESA DEL CONTO GIUDIZIALE
LA NOZIONE DI AGENTE CONTABILE
4) IMPRESE E TASSAZIONE
PRIME RIFLESSIONI

 

a cura di Lavinia Coppola
IL RECUPERO DEI CREDITI
SOGNO ED INCUBO DELLE IMPRESE
Necessità di procedere al rinnovamento di un sistema antiquato
di Gennaro Stellato Avvocato civilista - 
studiostellato@tiscalinet.it
 

Parlare di problematiche relative al recupero dei crediti vuol dire, nella maggioranza dei casi, per un imprenditore affondare il dito nella piaga. Nell'attuale difficile situazione, tale aspetto, comunque essenziale nella vita di una impresa, introduce un elemento di criticità particolarmente duro da assorbire. È, infatti, indubbio che le difficoltà relative al recupero del credito, prima ancora che all'effettiva possibilità di uno sbocco positivo, sono strettamente legate ai tempi dello stesso con le conseguenze in termini di costi, anche finanziari, a tutti ben note. L'imprenditore che si trova nella situazione di recuperare propri crediti, a prescindere dal carattere fisiologico degli stessi, sa perfettamente di dover oggi prioritariamente valutare la convenienza di procedere in tal senso in quanto, molto spesso, i costi dell'intera operazione rischiano di superare il capitale recuperabile.
Nell'esaminare l'attuale legislazione in ottica esclusivamente pratica, è possibile rendersi conto con facilità di tutta la problematica. Nel caso in cui il creditore sia privo di un titolo esecutivo (assegno, cambiale, tratta accettata) dovrà necessariamente richiedere un decreto ingiuntivo al Giudice competente. Normalmente fra la data di deposito del ricorso e, in caso di emissione del decreto, il ritiro delle copie per la notifica decorrono circa dieci giorni, nel migliore dei casi. Successivamente, dalla data della notifica, il debitore ha quaranta giorni di tempo (in genere sfruttati integralmente) per poter proporre opposizione con la quale si dovrebbe fissare una udienza al massimo nei novanta giorni successivi. Una volta instauratosi il giudizio si dovrà attendere la seconda udienza per la quale occorrono almeno sessanta giorni, per poter richiedere la provvisoria esecuzione del decreto nel caso in cui l'opposizione fosse palesemente infondata o dilatoria. Dato per scontato il provvedimento positivo del Giudice, occorrono minimo dieci giorni per l'emissione dell'ordinanza e la relativa notifica alle parti. A questo punto occorrerà registrare il decreto e, per procedere a tale incombenza (oggi molto semplificato potendo utilizzare anche internet), occorrerà mediamente attendere almeno trenta giorni affinché l'atto rientri in Tribunale per l'apposizione dell'agognata formula esecutiva. Tempo decorso dal deposito del ricorso: circa duecentocinquanta giorni sempre che, ovviamente, nel corso della predetta procedura non intervengano elementi di ulteriori difficoltà come problemi nella notifica, rinvii per impedimenti del Giudice o comunque udienze più lunghe, scioperi vari o altri problemi tipo smarrimento di fascicoli.
A questo punto, con l'agognato titolo in tasca, occorrerà scegliere la procedura da seguire: pignoramento mobiliare, immobiliare o ricorso di fallimento?
Per il primo sarà necessario notificare preliminarmente l'atto di precetto (altri quindici giorni) e richiedere poi il pignoramento per il quale occorrono altri sette giorni compatibilmente con gli impegni dell'Ufficiale Giudiziario. Preso atto dell'eventuale pignoramento positivo occorrerà richiedere la vendita dei beni in seguito alla quale il Giudice dell'Esecuzione fissa l'udienza di comparizione a circa sessanta giorni: in quella data sarà fissata la vendita con una doppia ipotesi: un primo tentativo al prezzo di stima ed un secondo a prezzo libero. All'effettiva vendita, nel migliore dei casi, si perverrà con esito normalmente semi negativo entro centocinquanta giorni dalla notifica del precetto. Nell'ipotesi di pignoramento immobiliare i tempi si allungano ancora di più stimando in circa tre anni i tempi necessari per arrivare alla vendita dalla notifica del precetto. Se si optasse, invece, per un ricorso di fallimento si dovrebbe considerare la maggior difficoltà della procedura in quanto molti Tribunali richiedono preliminarmente l'esercizio di una procedura esecutiva negativa e, comunque, anche in tal caso, i tempi non sono brevi. Ovviamente, tutto quanto precedentemente esplicato è riferibile a situazioni valutate in termini statistici con l'ovvia conseguenza che i termini enunciati possono ridursi oppure allungarsi sensibilmente. La conclusione, comunque, non può non essere univoca nel senso che, aggiungendo alle lungaggini giudiziarie, i costi della procedura appare chiaro come l'azienda che tenti il recupero dei propri crediti debba affrontare una via crucis che incide sotto il profilo economico, finanziario e psicologico. Tanto è vera questa considerazione che, già da molti anni diverse aziende rinunciano ai tentativi di recupero preferendo ottenere, attraverso la cessione dei crediti, un vantaggio in termini fiscali. Quali possono essere le soluzioni alla problematica evidenziata? La risposta più ovvia dovrebbe essere quella di migliorare la qualità del sistema giudiziario oppure modificare la procedura al solo fine di accelerare i tempi sia pure nel rispetto dei diritti dei creditori e dei debitori. Si tratta però di procedere a riforme di tipo strutturale che implicano tempi lunghi soprattutto sotto il profilo dell'applicazione pratica con l'ovvia conseguenza di verificare gli effetti positivi solo fra qualche anno. Meglio sarebbe, forse, intervenire in maniera diversa sui bilanci delle aziende. È noto, infatti, a titolo di esempio, che, in caso di fallimento del debitore, il creditore potrà procedere alla detrazione Iva del credito solo dopo il piano di riparto che accerti in modo definitivo la totale o parziale irrecuperabilità del credito. Orbene si potrebbe consentire alle aziende, appena si accerti l'insolvenza del debitore, di poter definitivamente scegliere per la rinuncia al credito con le ovvie conseguenze sul piano fiscale. Oppure, nel caso in cui si decidesse comunque per il recupero del credito, fare in modo di ottenere i benefici di cui sopra salvo poi tassare le eventuali sopravvenienze attive derivanti dall'esito positivo degli atti legali.
Questa ipotesi dovrebbe servire a tutelare il creditore che, nell'attuale situazione congiunturale, finisce sempre per pagare un prezzo altissimo soprattutto in termini finanziari:gli interessi calcolati al tasso legale coprono solo in parte i danni derivanti dal ricorso al credito bancario per mantenere il giusto equilibrio nell'attività imprenditoriale. In sostanza occorrerebbe superare l'esigenza di liquidità del creditore, proponendogli un’alternativa che gli consenta di continuare l'azione di recupero senza gli assilli cui si accennava in precedenza. Una ulteriore strada da seguire potrebbe essere quella di penalizzare in qualche modo il debitore cronico o che, comunque, artatamente ritardi i pagamenti lucrando sulle spalle dei fornitori.
Ovviamente, atteso che l'imprenditore si trova sia nella condizione di creditore che di debitore, tale finalità dovrebbe essere perseguita nei confronti di chi, come detto precedentemente, sfrutti le carenze del sistema e non nei confronti di che potrebbe trovarsi, spesso per le difficoltà di ottenere quanto gli spetti in una situazione del genere. Quello che, però, sembra ormai indifferibile è la necessità di intervenire in questo delicato settore dando comunque un segnale nella direzione di una moralizzazione al fine di premiare chi correttamente svolge la propria attività.
Mantenere inalterata l'attuale situazione significherebbe alimentare una sensazione di impotenza che non giova a chi, in ogni caso, investe capitali e risorse con la prospettiva di avere comunque delle certezze e le certezze in un Paese come l'Italia si possono ottenere solo con riforme drastiche che devono incidere in primis sull'approccio ai problemi e successivamente sui comportamenti.

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