 |
LAURA
LANZARA
Area Relazioni Industriali
Con nostra grande soddisfazione abbiamo potuto verificare che la
trattazione di argomenti estremamente tecnici e, per certi aspetti
insidiosi, come il potere disciplinare e le sanzioni, ha suscitato molto
interesse e curiosità. Da più parti, infatti, c'è stato richiesto di
approfondire ulteriormente il tema che abbiamo trattato in più riprese. In
particolare ci sono pervenute sollecitazioni a trattare l'applicazione
delle sanzioni disciplinari alla categoria dei dirigenti di aziende
industriali. Dobbiamo subito esordire affermando che il dirigente è un
lavoratore dipendente ed in quanto tale passibile dell'applicazione di
sanzioni disciplinari. Può sembrare un paradosso, se si considera il ruolo
ricoperto in azienda, ma anche nei confronti di questa figura apicale
della gerarchia aziendale trova applicazione la procedura di tutela
dell'art.7 legge n.300/70.
Ciò nonostante in forza della particolarità del rapporto che lega il
dirigente all'azienda, se pur possibile in via teorica il ricorso ai
provvedimenti disciplinari, nei fatti è veramente raro che al dirigente
venga comminata una sanzione disciplinare classica. È opportuno precisare
che il contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali non
prevede l'obbligo di affissione del codice disciplinare, a differenza dei
principali contratti collettivi delle altre categorie. Per tutte le
ipotesi di sanzioni disciplinari irrogate nei confronti di un dirigente la
logica conseguenza di tale mancata affissione sembrerebbe dover essere, a
priori, la nullità del provvedimento adottato.
Poiché il contratto per i dirigenti prevede espressamente che «per tutto
quanto da essi non regolato trovi la propria disciplina nelle disposizioni
del contratto collettivo applicato in azienda agli impiegati di più alto
livello» (art.27 CCNL Dirigenti di Aziende Industriali), potrebbe,
ritenersi che sulla scorta di tale impostazione di ragionamento anche ai
dirigenti possa essere esteso il codice disciplinare previsto dal
contratto di categoria per gli impiegati. In considerazione della
particolarità del rapporto di lavoro dirigenziale, dovuto allo speciale
vincolo di fiducia che lega questa categoria di dipendenti all'azienda, la
Corte di Cassazione ha, di recente, escluso che ai provvedimenti
disciplinari adottati nei confronti dei dirigenti si applichi la regola di
proporzionalità tra infrazione e sanzione così come dettato dall'art.2106
del c.c.(Cassazione 8934/96).
Per quanto riguarda, poi, il concetto di giusta causa del licenziamento
occorre evidenziare che tale nozione differisce da quella legale pur
prevista dalla legge n.604/66 in quanto, in riferimento ad un dirigente,
può consistere in, così recita la Cassazione nella sentenza 8934/96,
«qualsiasi motivo, purchè giustificato, ossia costituente base di una
decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del
diritto, i quali non richiedano l'analitica verifica di specifiche
condizioni ma una globale valutazione che escluda l'arbitrarietà del
licenziamento del dirigente».
Pertanto, sia nell'applicazione dei provvedimenti disciplinari, sia nel
comminare un licenziamento disciplinare ad un dirigente, al datore di
lavoro viene garantito l'ampio margine di discrezionalità nella
valutazione dell'infrazione. La sentenza n.6041/95 della Cassazione, anche
se datata, è fortemente innovativa rispetto al passato. Infatti ha
stabilito che gli obblighi della preventiva contestazione e
dell'attribuzione di un termine a difesa, di cui all'art.7 L.300/70, non
trovano applicazione nei confronti di quei dirigenti che rivestono la
qualifica di alter ego dell'imprenditore, esercitando i poteri propri di
quest'ultimo con ampia autonomia e ponendosi nei suoi confronti non in
rapporto di subordinazione ma di collaborazione fiduciaria.
In tali circostanze, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o
per giusta causa non potrebbe configurarsi come un provvedimento
disciplinare, rendendo così superflua la necessità di rispettare la
procedura sancita dallo Statuto dei Lavoratori all'art.7.
Si tratta di un orientamento giurisprudenziale ancora nuovo, quindi, non
ancora consolidato e che riguarda ipotesi eccezionali; ciò in quanto il
consueto rapporto di lavoro del dirigente di aziende industriali
solitamente non si avvale di un'autonomia di funzioni così ampia.
Ed è proprio per le ragioni suindicate che consigliamo di ricorrere
sempre, nel caso di licenziamento di un dirigente per motivi disciplinari,
all'osservanza stretta delle procedure di garanzia (art.7 L.300/70).
Sempre in ordine ai dirigenti d'azienda, altro aspetto molto importante è
la cessazione del rapporto di lavoro. Possiamo dire che, in via generale,
il licenziamento del dirigente è sempre sottoposto alle norme del codice
civile di cui agli articoli 2118 e 2119. Tale disciplina viene però
integrata da disposizioni più dettagliate laddove il rapporto di lavoro è
regolamentato da contrattazione collettiva.
Ciò significa che la nozione di giustificatezza del licenziamento di un
dirigente prevista dalla contrattazione collettiva non coincide con quella
di giustificato motivo (art.3 L.604/66) negli ordinari rapporti di lavoro.
Pertanto, fatti non idonei ad integrare una giusta causa o giustificato
motivo di licenziamento per i normali rapporti di lavoro, possono, di
contro, giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro con il
dirigente. Anche ai dirigenti è applicabile quanto previsto dalla legge
relativamente alla nullità del licenziamento determinato da motivi
discriminatori (art.4 L.604/66).
Anche nei loro confronti, tale nullità è sanzionata dalla legge attraverso
la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dallo Statuto dei
Lavoratori.
È giustificato, invece, il licenziamento del dirigente laddove venga
motivato e avvenga per la soppressione della funzione aziendale alla
direzione della quale il dirigente era stato preposto.
Il contratto collettivo dei dirigenti del settore industria, agli articoli
19 e 22, ha previsto l'obbligo per il datore di lavoro di comunicare in
forma scritta il provvedimento del licenziamento e, contestualmente anche
la motivazione dello stesso. Il dirigente può ricorrere al Collegio
Arbitrale laddove reputi la motivazione del licenziamento non
sufficientemente giustificata.
Tra le questioni più dibattute in tema di sanzioni disciplinari rientra
l'ammissibilità del ricorso all'Autorità Giudiziaria da parte del
lavoratore che abbia già attivato la procedura arbitrale contemplata dallo
Statuto dei Lavoratori all'art.7.
Stante l'interpretazione di alcuni giudici, il lavoratore può esercitare
l'azione giudiziaria anche quando abbia già manifestato la volontà di
esperire la procedura arbitrale e fino alla pronuncia del Collegio
Arbitrale; ciò in quanto, dopo tale decisione, il lavoratore potrà
rivolgersi all'Autorità Giudiziaria solamente al fine di impugnare il lodo
arbitrale. Un'altra tesi, di tendenza contraria a quella sopra esposta
afferma che, una volta promossa la costituzione del collegio arbitrale, il
lavoratore non può unilateralmente recedere dalla procedura arbitrale per
impugnare la sanzione innanzi al giudice del lavoro.
Un'ulteriore corrente interpretativa si pone tra le due di cui sopra.
È questo un vero e proprio filone giurisprudenziale, secondo cui, una
volta attivata la procedura arbitrale, è ancora possibile dar vita
all'azione giudiziaria, ma solo sino la momento in cui il negozio
bilaterale di affidamento della lite agli arbitri non si sia
definitivamente perfezionato.
Tale perfezionamento può concretizzarsi o con la formale costituzione del
collegio arbitrale o con l'attribuzione dell'incarico alla Direzione
Provinciale del Lavoro. torna su |