a cura dell’Area Relazioni Industriali Assindustria Salerno
IL POTERE DISCIPLINARE
ANCHE I DIRIGENTI VI SONO SOTTOPOSTI
Un intreccio di norme tra Statuto dei Lavoratori, Codice Civile e Contrattazione Collettiva
di Rosario Gatto & Laura Lanzara Area Relazioni Industriali Assindustria Salerno r.gatto@assindustria.sa.it - l.lanzara@assindustria.sa.it
 

LAURA LANZARA
Area Relazioni Industriali


Con nostra grande soddisfazione abbiamo potuto verificare che la trattazione di argomenti estremamente tecnici e, per certi aspetti insidiosi, come il potere disciplinare e le sanzioni, ha suscitato molto interesse e curiosità. Da più parti, infatti, c'è stato richiesto di approfondire ulteriormente il tema che abbiamo trattato in più riprese. In particolare ci sono pervenute sollecitazioni a trattare l'applicazione delle sanzioni disciplinari alla categoria dei dirigenti di aziende industriali. Dobbiamo subito esordire affermando che il dirigente è un lavoratore dipendente ed in quanto tale passibile dell'applicazione di sanzioni disciplinari. Può sembrare un paradosso, se si considera il ruolo ricoperto in azienda, ma anche nei confronti di questa figura apicale della gerarchia aziendale trova applicazione la procedura di tutela dell'art.7 legge n.300/70.
Ciò nonostante in forza della particolarità del rapporto che lega il dirigente all'azienda, se pur possibile in via teorica il ricorso ai provvedimenti disciplinari, nei fatti è veramente raro che al dirigente venga comminata una sanzione disciplinare classica. È opportuno precisare che il contratto collettivo dei dirigenti di aziende industriali non prevede l'obbligo di affissione del codice disciplinare, a differenza dei principali contratti collettivi delle altre categorie. Per tutte le ipotesi di sanzioni disciplinari irrogate nei confronti di un dirigente la logica conseguenza di tale mancata affissione sembrerebbe dover essere, a priori, la nullità del provvedimento adottato.
Poiché il contratto per i dirigenti prevede espressamente che «per tutto quanto da essi non regolato trovi la propria disciplina nelle disposizioni del contratto collettivo applicato in azienda agli impiegati di più alto livello» (art.27 CCNL Dirigenti di Aziende Industriali), potrebbe, ritenersi che sulla scorta di tale impostazione di ragionamento anche ai dirigenti possa essere esteso il codice disciplinare previsto dal contratto di categoria per gli impiegati. In considerazione della particolarità del rapporto di lavoro dirigenziale, dovuto allo speciale vincolo di fiducia che lega questa categoria di dipendenti all'azienda, la Corte di Cassazione ha, di recente, escluso che ai provvedimenti disciplinari adottati nei confronti dei dirigenti si applichi la regola di proporzionalità tra infrazione e sanzione così come dettato dall'art.2106 del c.c.(Cassazione 8934/96).
Per quanto riguarda, poi, il concetto di giusta causa del licenziamento occorre evidenziare che tale nozione differisce da quella legale pur prevista dalla legge n.604/66 in quanto, in riferimento ad un dirigente, può consistere in, così recita la Cassazione nella sentenza 8934/96, «qualsiasi motivo, purchè giustificato, ossia costituente base di una decisione coerente e sorretta da motivi apprezzabili sul piano del diritto, i quali non richiedano l'analitica verifica di specifiche condizioni ma una globale valutazione che escluda l'arbitrarietà del licenziamento del dirigente».
Pertanto, sia nell'applicazione dei provvedimenti disciplinari, sia nel comminare un licenziamento disciplinare ad un dirigente, al datore di lavoro viene garantito l'ampio margine di discrezionalità nella valutazione dell'infrazione. La sentenza n.6041/95 della Cassazione, anche se datata, è fortemente innovativa rispetto al passato. Infatti ha stabilito che gli obblighi della preventiva contestazione e dell'attribuzione di un termine a difesa, di cui all'art.7 L.300/70, non trovano applicazione nei confronti di quei dirigenti che rivestono la qualifica di alter ego dell'imprenditore, esercitando i poteri propri di quest'ultimo con ampia autonomia e ponendosi nei suoi confronti non in rapporto di subordinazione ma di collaborazione fiduciaria.
In tali circostanze, il licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa non potrebbe configurarsi come un provvedimento disciplinare, rendendo così superflua la necessità di rispettare la procedura sancita dallo Statuto dei Lavoratori all'art.7.
Si tratta di un orientamento giurisprudenziale ancora nuovo, quindi, non ancora consolidato e che riguarda ipotesi eccezionali; ciò in quanto il consueto rapporto di lavoro del dirigente di aziende industriali solitamente non si avvale di un'autonomia di funzioni così ampia.
Ed è proprio per le ragioni suindicate che consigliamo di ricorrere sempre, nel caso di licenziamento di un dirigente per motivi disciplinari, all'osservanza stretta delle procedure di garanzia (art.7 L.300/70).
Sempre in ordine ai dirigenti d'azienda, altro aspetto molto importante è la cessazione del rapporto di lavoro. Possiamo dire che, in via generale, il licenziamento del dirigente è sempre sottoposto alle norme del codice civile di cui agli articoli 2118 e 2119. Tale disciplina viene però integrata da disposizioni più dettagliate laddove il rapporto di lavoro è regolamentato da contrattazione collettiva.
Ciò significa che la nozione di giustificatezza del licenziamento di un dirigente prevista dalla contrattazione collettiva non coincide con quella di giustificato motivo (art.3 L.604/66) negli ordinari rapporti di lavoro.
Pertanto, fatti non idonei ad integrare una giusta causa o giustificato motivo di licenziamento per i normali rapporti di lavoro, possono, di contro, giustificare la risoluzione del rapporto di lavoro con il dirigente. Anche ai dirigenti è applicabile quanto previsto dalla legge relativamente alla nullità del licenziamento determinato da motivi discriminatori (art.4 L.604/66).
Anche nei loro confronti, tale nullità è sanzionata dalla legge attraverso la reintegrazione nel posto di lavoro prevista dallo Statuto dei Lavoratori.
È giustificato, invece, il licenziamento del dirigente laddove venga motivato e avvenga per la soppressione della funzione aziendale alla direzione della quale il dirigente era stato preposto.
Il contratto collettivo dei dirigenti del settore industria, agli articoli 19 e 22, ha previsto l'obbligo per il datore di lavoro di comunicare in forma scritta il provvedimento del licenziamento e, contestualmente anche la motivazione dello stesso. Il dirigente può ricorrere al Collegio Arbitrale laddove reputi la motivazione del licenziamento non sufficientemente giustificata.
Tra le questioni più dibattute in tema di sanzioni disciplinari rientra l'ammissibilità del ricorso all'Autorità Giudiziaria da parte del lavoratore che abbia già attivato la procedura arbitrale contemplata dallo Statuto dei Lavoratori all'art.7.
Stante l'interpretazione di alcuni giudici, il lavoratore può esercitare l'azione giudiziaria anche quando abbia già manifestato la volontà di esperire la procedura arbitrale e fino alla pronuncia del Collegio Arbitrale; ciò in quanto, dopo tale decisione, il lavoratore potrà rivolgersi all'Autorità Giudiziaria solamente al fine di impugnare il lodo arbitrale. Un'altra tesi, di tendenza contraria a quella sopra esposta afferma che, una volta promossa la costituzione del collegio arbitrale, il lavoratore non può unilateralmente recedere dalla procedura arbitrale per impugnare la sanzione innanzi al giudice del lavoro.
Un'ulteriore corrente interpretativa si pone tra le due di cui sopra.
È questo un vero e proprio filone giurisprudenziale, secondo cui, una volta attivata la procedura arbitrale, è ancora possibile dar vita all'azione giudiziaria, ma solo sino la momento in cui il negozio bilaterale di affidamento della lite agli arbitri non si sia definitivamente perfezionato.
Tale perfezionamento può concretizzarsi o con la formale costituzione del collegio arbitrale o con l'attribuzione dell'incarico alla Direzione Provinciale del Lavoro.

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