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La giornalista Lucia
Annunziata, l'economista Rosario Bonavoglia, l'avvocato generale dello
Stato Luigi Mazzella e l'imprenditore Giuseppe Volpe, iscrivono il loro
nome nell'albo d'oro dei "Salernitani illustri", premio istituito nel 1968
dalla Camera di Commercio di Salerno.La manifestazione intende valorizzare
i successi e le affermazioni che cittadini, nati nei Comuni della
provincia di Salerno hanno acquisito in diversi campi: economico, sociale,
scientifico, umanistico ed artistico.
Conosciamo meglio i premiati di quest'edizione attraverso alcune domande
che abbiamo posto loro.
Lucia
Annunziata
Direttore Agenzia di stampa
Ap.Biscom
Ci racconta le tappe del suo prestigioso
percorso professionale?
Sono arrivata a Salerno con la famiglia (che ancora vi risiede) nel 1963,
e qui ho frequentato il Ginnasio ed il Liceo presso l'Istituto Torquato
Tasso. Mi sono iscritta quindi all'Università di Napoli, per poi
trasferirmi dopo due anni all'Ateneo di Salerno appena inaugurato, dove mi
sono laureata con una tesi in filosofia sui rapporti fra movimenti
politici e le prime leggi speciali dello Stato per la industrializzazione
del Sud. Ho iniziato la professione giornalistica con "Il Manifesto",
negli anni in cui questo veniva fondato. Nel 1980, mi sono trasferita
negli Stati Uniti d’America per frequentare un nuovo corso di studi alla
Boston School ed alla New School di New York.
Dopo pochi anni entro al quotidiano "La Repubblica" come inviata in
America Centrale e Latina, ed inizio a seguire una lunga serie di guerre
civili che lacerano il Continente Sudamericano: dal Nicaragua, al
Salvador, al Guatamela, al Perù, passando per l'invasione di Grenada, fino
ad assumere alcuni incarichi mediorientali.
Nel 1988, mi trasferisco proprio in Medioriente, sempre con "La
Repubblica", seguendo l'esplosione della Prima Intifada, la guerra fra
Siria e Libano e, poi, la guerra con l'Iraq. Qui resto quattro mesi e da
Bagdad entro nel Kuwait occupato. Ero l'unica giornalista europea con due
colleghi americani. Passando per un'esperienza al "Corriere della Sera"
arrivo nel 1995 alla RAI per condurre un talk show di politica, "Linea
Tre".
Dal 1996 al 1998 ho svolto poi la funzione di Direttore del Tg3.
Attualmente ho l'incarico di direttore della Agenzia di Stampa Ap.Biscom,
che costituisce il servizio italiano della Agenzia Americana Associated
Press.
Qual è il suo rapporto con la città di Salerno?
Questa è la città della mia adolescenza e dei miei studi classici al Liceo
Tasso, che ha formato una classe dirigente colta e di indubbio valore
professionale, che costituisce la vera ricchezza della nostra città.
Salerno ha molto inciso nella definizione dei caratteri distintivi della
mia personalità. Sono molto affascinata dalla Salerno che ritrovo oggi,
con il recupero del Centro Storico, la cura dei palazzi d'epoca, la
tranquillità che finalmente si respira. Credo che questa città ha tutte le
potenzialità per entrare quanto prima nel circuito del grande turismo
internazionale, anche per il ruolo di raccordo che svolge tra la costiera
amalfitana e quella cilentana.
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Rosario
Bonavoglia
Team Leader nel
Progetto U.E. "Capacity building for
The National Bank of Ethiopia (NBE)"
Quali criticità è necessario
affrontare e superare per garantire una effettiva realizzazione della
"democrazia economica" nel nostro Paese?
Lester Thurow, grande economista, dice che democrazia e capitalismo si
basano su presupposti diversi. La democrazia si basa sull'idea "una
persona, un voto", il capitalismo sulla marginalizzazione degli operatori
inefficienti. Occorre fare attenzione quando si parla di democrazia
economica, non è detto che siano due concetti inseparabili: può esistere
anche capitalismo senza democrazia. Va chiarito, inoltre, che non si può
discutere in generale di "un sistema di democrazia economica"; infatti
"democrazia economica" è un concetto complesso nel quale sono inseriti
diversi elementi quali la partecipazione dei lavoratori ai risultati
dell'azienda, la maggiore trasparenza dei mercati e della gestione delle
public company da parte del management, le liberalizzazioni e le
privatizzazioni. Tutto questo, e non solo, costituisce l'ossatura della
democrazia economica. Per comprendere cosa manca al nostro sistema
dovremmo scendere nel dettaglio di ogni singolo capitolo. In Italia, ad
esempio, sono stati realizzati molti interventi in termini di
privatizzazione ma occorre ancora liberalizzare alcuni mercati, perché
solo in tal modo garantiamo una maggiore efficienza ed efficacia.
Peraltro, questo è molto legato al modo in cui il nostro sistema economico
si è evoluto.
Cosa è accaduto negli anni?
Siamo stati spettatori di una macchina economica nella quale l'intervento
dello Stato non si limitava a regolamentare ma soprattutto gestiva. Questo
avveniva in maniera preponderante fino a qualche anno fa, ma accade ancora
oggi in modo rilevante. Negli anni novanta è iniziato un importante
processo di dismissione da parte dello Stato, ma esiste ancora una sua
forte presenza attraverso le sue diramazioni. È il modello di economia
mista tipicamente italiano a cui si accompagna un sistema basato
principalmente su piccole e medie imprese e dove la grande industria era,
fino a poco tempo fa, per lo più grande industria pubblica.
Public company o capitalismo familiare? Nel nostro Paese, quale sarà il
modello vincente?
Il modello della public company se gestito bene consente di generare
ricchezza e distribuirla. Credo però che il capitalismo familiare non sia
solo vincente ma venga oggi addirittura riscoperto di fronte ai casi
americani che hanno dimostrato che un eccessivo peso attribuito al
management può provocare fortissime distorsioni. Con questo non voglio
dire che il modello public company sia da rifiutare, ma se non si
apportano importanti correttivi rischia di sviluppare effetti negativi. Il
nostro stile imprenditoriale è ancora basato sulla presenza del capitale
dell'imprenditore che, se da un lato garantisce una minore distribuzione
della ricchezza, dall'altro offre una maggiore garanzia di efficienza per
le imprese.
Quali le caratteristiche peculiari del modello economico italiano?
In Italia abbiamo un sistema economico che registra una notevole
polverizzazione delle imprese. Questo, in alcuni casi, costituisce un
punto di forza, perché ci pone in vetta alle classifiche per l'elevato
tasso di imprenditorialità, in altri, rappresenta un elemento di
debolezza. Non è certo la volontà dell'imprenditore a determinare un così
basso livello di crescita, ma deve essere il sistema a garantire gli
strumenti giusti affinché si possano fare salti in avanti. Finché
un'azienda è sottoposta agli attuali eccessi di rigidità nella struttura
dei costi, come ad esempio per il lavoro, è ovvio che le aziende decidano
strategicamente di restare al di sotto della soglia dei quindici
dipendenti, per non essere obbligate alle regole dello Statuto dei
Lavoratori, ad esempio. La piccola impresa è dinamica, riesce a
posizionarsi più facilmente sul mercato scavandosi una nicchia, riesce ad
essere più flessibile, ma uno dei principali difetti è che non ha capacità
di ricerca e sviluppo come invece una grande azienda. Solo quest'ultima,
infatti, può destinare ingenti capitali da investire nel campo
dell'innovazione. Per le Pmi, invece, il rapporto ricerca-impresa diventa,
nella maggior parte dei casi, molto difficile.
Sono molti i settori in cui si stanno attuando processi di
privatizzazione. In quali è da considerarsi ancora strategica a presenza
dello Stato?
La correttezza o meno della partecipazione dello Stato è legata al mercato
a cui facciamo riferimento. L'industria bellica o i sistemi satellitari
sono settori che giocano un ruolo fondamentale nella strategia
geo-politica ed è ovvio che lo Stato debba mantenere su di essi almeno un
controllo. Il caso della liberalizzazione delle Ferrovie dello Stato va
ben ponderato; è, infatti, vero che ci possono essere miglioramenti con la
gestione privata, ma è anche vero che, come è accaduto in Gran Bretagna,
la gestione di tratte in perdita o di "rami secchi" è un fardello non
sopportabile per i privati. Lo Stato potrebbe mantenere la proprietà della
rete e delegare ai privati solo la parte gestionale delle linee. Anche per
il settore dell'energia è bene fare attenzione. Dagli studi che
presenteremo in questi giorni a Capri emerge un dato interessantissimo:
tutte le volte che si è al contempo privatizzato e liberalizzato un
mercato, come nella telefonia, ci sono stati miglioramenti per l'utente
finale in termini di risparmi sui prezzi e incremento della qualità.
Quando si è privatizzato senza liberalizzare, come il caso Enel, sia per
il livello di servizio che per quello relativo alle tariffe non si è visto
un notevole cambiamento. Credo che la giusta chiave interpretativa sia
liberalizzare prima di privatizzare. torna su
Luigi
Mazzella
Avvocato Generale
dello Stato
Tra i ruoli che ha ricoperto, quali sono stati quelli più significativi
nella sua carriera?
Sicuramente le attività legate al mio impegno per lo sviluppo economico e
la lotta alla povertà. Partendo dalla mia esperienza post-universitaria in
SVIMEZ, da lì mi sono sempre interessato sia come Condirettore Centrale
della Banca d'Italia sia negli incarichi governativi che ho svolto per
dieci anni in Asia, altrettanti in America, ma anche in Europa, di
problemi di sviluppo di rilevanza regionale o mondiale.
Presso la Comunità europea ho ricoperto l'incarico di consigliere
finanziario del Governo italiano e poi come amministratore della Banca
Asiatica di Sviluppo e successivamente della Banca Mondiale mi sono in
particolare occupato, con passione, di finanziamenti allo sviluppo.
Mi sono impegnato professionalmente in una missione, un po' forse con la
follia mistica di chi vive nelle frontiere del mondo, che è stata quella
di riuscire a creare le premesse per lo sviluppo economico, sociale e
culturale delle popolazioni meno fortunate del mondo.
E questo obiettivo è stato da me perseguito con passione e forte spirito
volontaristico. Attualmente sono docente universitario presso le
Università Tor Vergata di Roma e Cà Foscari di Venezia e team leader nel
progetto dell'Unione Europea "Capacity building for the National Bank of
Ethiopia (NBE)", nonché consulente economico del Sindaco di Venezia.
Che significato assume per lei essere nominato "Salernitano illustre"?
Soprattutto commozione di fronte a questa prova di affetto ed a questo
abbraccio della mia città, che dimostra di aver apprezzato e seguito il
lavoro, a volte oscuro, che ho svolto in questi anni.
Io ho avuto un rapporto sentimentale costante con la città di Salerno, da
cui mi sono dovuto a malincuore allontanare per motivi di lavoro.
Posso senz'altro affermare che me la porto dietro ovunque: in Asia e negli
Stati Uniti, dove sono stato per tanti anni, ma anche a Roma, dove vivo
adesso.
Sono colpito da una rinascita ec-cezionale, processo in cui si è
manifestata una forte partecipazione popolare, civile e sociale.
La città si è scrollata dalle spalle anni di abbandono e guarda ora con
fiducia in avanti.
Bisogna adesso arricchire la capacità di analizzare, di programmare e di
progettare delle politiche di crescita con una visione di medio periodo
tenendo conto dei diversi aspetti della stessa realtà.
Quali attività ha svolto nel corso della sua carriera professionale?
Dopo essermi laureato in giurisprudenza all'Università di Napoli, ho
vinto uno dei più difficili concorsi in materia giuridica, quello per
l'Avvocatura dello Stato. Assegnato all'Avvocatura Generale di Roma, ho
diretto la rivista giuridica dell'Istituto, con una breve parentesi
triennale alla sede di Napoli.
Ho anche ricoperto per molti anni il ruolo di membro del Comitato
Consultivo della stessa Avvocatura, massimo organo di consulenza e di
difesa delle Amministrazioni in giudizio.
La prestigiosa carica di Avvocato Generale dello Stato è solo la
conclusione di una fulgida carriera che mi ha visto impegnato,
contemporaneamente, in altre attività istituzionali come vicecapo di
Gabinetto alla Presidenza del Consiglio dal '70 al '73, capo dell'Ufficio
Legislativo al Ministero dei Lavori Pubblici dal '73 al '75, consigliere
giuridico del Ministero della Difesa dal '79 all'83, capo di Gabinetto al
Ministero delle Aree Urbane dall'87 al '93.
Qual è il suo rapporto con la città di Salerno?
Il ricordo più forte di questa città è legato agli anni in cui ho
frequentato il Liceo Tasso. Una scuola che mi ha consentito di raggiungere
un livello di formazione culturale tale da permettermi di spaziare con
facilità durante la mia vita in diversi campi professionali. Sono molto
grato alla mia città per questo riconoscimento che ha inteso conferirmi,
dimostrando un importante apprezzamento per le attività che svolgo nel
mondo dell'Avvocatura e delle Amministrazioni dello Stato. torna su
Giuseppe
Volpe
Titolare della
IGV s.p.a.
Ci racconta la sua esperienza di imprenditore?
All'origine di ogni azienda ci sono sogni e sfide, vissuti con tenacia ed
immaginazione. IGV non sfugge alla regola e la sua storia riflette
fedelmente l'avventura imprenditoriale e umana del suo fondatore.
Ho sempre avuto il gusto dell'iniziativa autonoma e non mi sarei mai
rassegnato ad un tranquillo impiego di routine. La società è nata anche da
questo particolarissimo gusto, da una sfida che, peraltro, continua. IGV è
milanese di nascita. Io lo sono di adozione.
Sono nato nel 1930 ad Albanella, da una famiglia di mercanti di campagna e
piccoli proprietari. Infanzia serena in un paesino tranquillo, nel
Mezzogiorno addormentato. Studio a casa, come s'usava nei centri
malserviti, con l'aiuto di don Salvatore, il prete del borgo. Tutto
quieto, tranne la parentesi della guerra, con gli alleati che nel
settembre del 1943 sbarcarono proprio a Paestum, a 10 km da Albanella. La
guerra passa e vado a studiare al liceo della Badia di Cava dei Tirreni,
dai monaci benedettini. Infine, l'Università a Napoli. Ho amato e amo
questa città, ma già allora pensavo a Milano. Un mio amico che ci viveva
mi raccontava dell'energia nella ricostruzione.
Subito dopo la laurea un impiego nel capoluogo lombardo, negli uffici
dell'ENPI, l'ente che si occupava di prevenzione degli infortuni. Presi
servizio il 2 gennaio del 1958, alle 8 del mattino, dopo aver viaggiato
tutta la notte. Resistevo a malapena al sonno, ma appena giunto mi
assegnarono un tavolo ed un ingegnere anziano mi allungò un volume coi
regolamenti sugli ascensori: «Tieni, studiatelo». Quello fu il mio
incontro ravvicinato con gli elevatori. Un'esperienza estremamente utile.
Il controllo degli impianti comportava visite approfondite su tutti i
componenti di quelle macchine, con particolare riguardo agli aspetti della
sicurezza. Fino alle 14 stavo in ufficio, poi collaboravo con alcuni studi
specializzati in brevetti (realizzai infatti la mia prima pulsantiera).
Ero anche assistente alla cattedra di costruzione di macchine al
Politecnico di Milano. Nel 1963 sposo una milanese, Graziella, conosciuta
in casa di colleghi. Anche quello è un passo importante.
La serenità familiare è una condizione irrinunciabile per potersi
impegnare con successo nel lavoro. Bisogna avere l'armonia sul fronte
interno per poter lottare efficacemente fuori. Il 1966 è l'anno del gran
passo: nasce IGV, una piccola sede di soli 100 mq a Milano.
L'azienda produce congegni elettrici per porte automatiche, quadri di
manovra e altri componenti per elevatori. Ci sono un disegnatore, un
operaio, una segretaria. Dopo un po' i 100 mq non bastano più, si cambia
sede e si passa a 500. Mi era venuta l'idea di progettare e fornire tutto
l'ascensore.
L'elevatore è una macchina che nasce in cantiere, assemblando pezzi
diversi, ognuno dei quali pone problemi di trasporto, magazzino, eccetera.
Una miriade di piccole e medie aziende installatrici avrebbero potuto
razionalizzare il loro lavoro se qualcuno avesse progettato tutto
l'ascensore a prezzi contenuti.
La mia idea è sempre stata quella di servire i clienti, non di spennarli.
L'espansione della IGV non ha soste. Nel 1972 acquista il terreno per lo
stabilimento di Segrate, nel 1981 l'area per l'impianto di Vignate,
entrambi alle porte di Milano. E intanto la struttura cresce, si articola
e si irrobustisce per gli impegni che nascono dal successo. Nasce anche,
nel 1972, la rivista "Elevatori" (bilingue, in italiano ed inglese)
l'unica pubblicazione specializzata d'Italia, con una mailing list di 4000
interessati in tutto il mondo. Quando trasferii l'azienda a Segrate e
vissi lo stress del trasloco, mi dissi che mi sarei fermato. Invece, poi
venne Vignate. Alle sfide non ci si può sottrarre. Ricette segrete?
Innanzitutto bisogna avere l'hobby del lavoro.
Poi, non so se sia una ricetta, ma ho sempre reinvestito tutto
nell'azienda. Niente barche e case di lusso. Infine, cosa importantissima,
il rapporto coi collaboratori. Ho debiti di gratitudine con tantissimi di
loro. Il clima che si respira in azienda è importante.
Un esempio? Alla fine degli anni '80 ricevemmo la visita dei dirigenti di
una grande impresa di Genova, che stava realizzando la sede della Banca
Centrale di Gedda, in Arabia Saudita.
Con loro vennero anche tre architetti americani, consulenti della banca,
per valutare la nostra capacità di realizzare, in tempi veramente
strozzati, quattro meravigliosi ascensori in cristallo capaci di portare
25 persone.
Ebbene, dopo avere visto gli stabilimenti, i visitatori vennero a cena con
noi della IGV.
Colsero subito lo "spirito di corpo" e ci diedero subito la commessa.
Avevano capito che della nostra squadra ci si poteva fidare.
E noi provvedemmo a tutto in tempo.
Da allora è stato un susseguirsi di successi e sfide, regolati da
attenzione al cliente, qualità, inventiva, spirito di squadra, cura dei
rapporti umani, tanta voglia di lavorare divertendosi.
Cosa significa per lei essere "Salernitano illustre"?
Mi riempie di gioia e mi provoca una indescrivibile emozione.
Perché? Semplice, il cerchio si chiude. Partii per Milano con tanti sogni,
speranze e progetti nel cassetto. Questo "Salernitano illustre" mi
consente di dire che ritorno qui tra la mia gente, nella mia terra, dopo
aver realizzato i miei sogni. Realizzare i sogni della vita è la più
grande e irripetibile ricompensa per il lavoro di una vita.
Consente di dire che la vita è bella almeno 24 ore al giorno.
Vorrei ringraziare di cuore la Giunta della Camera di Commercio di
Salerno, il Presidente di Assindustria Salerno Antonio Paravia e voi di
Costozero che mi consentite di comunicare questi sentimenti. torna su
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